Sopra. Foto di Letizia Battaglia.
“Immagini&Vita. ClaudioCaligari”. 2 “Troppo incisivo da scordare”: L'ora dell'appuntamento, nel più anonimo dei bar, l'aveva scelta lui. Così come aveva eletto il tavolino al quale sedersi e cosa consumare mentre tutto, intorno, si stava consumando. Con la voce bassa, le parole giuste e il pudore di raccontarsi senza mai indulgere all'autocommiserazione, c'era un uomo che aveva ancora un paio di desideri. Realizzare l'atto conclusivo di un'esistenza arricchita dai dubbi e non sembrare, neanche per un istante, chi non era mai stato. Conclusi l'intervista e il suo braccio si posò sul mio: «Mi raccomando», disse lui che una raccomandazione non l'aveva mai chiesta né ricevuta. «Non vorrei apparire rivendicativo. Io non mi lamento, lotto». Claudio Caligari se ne andò 10 anni fa, ma è come se in omaggio alla contraddizione che ne aveva guidato ogni metro, fosse ancora tra noi e al tempo stesso non ci fosse mai stato. Troppo incisivo, feroce e breve da dimenticare, il suo segno. Troppo diverso dal suo tempo e dai suoi simili per avere anche uno straccio di riconoscimento, il regista che aveva girato tre soli film in 67 anni di vita. Caligari era quello da lasciare fuori dalla porta: «Ci sono quelli che devono lavorare per forza e poi ci sono tutti gli altri, quelli a cui si può dire "la prossima volta". Ho sempre fatto parte della seconda categoria». Claudio l'inclassificabile, il difficile, l'eretico che nel 1983, al Festival di Venezia, aveva portato Amore Tossico. Qualche anno prima, nel 1976, Caligari era andato a Milano per indagare sui sogni e soprattutto sugli incubi del proletariato giovanile. E al professor Guido Blumir, reduce dal successo di un libro sulla droga, aveva proposto di pensare a una storia per il cinema che senza sinistre apologie, ma anche senza moralismi, non si limitasse a descrivere paternalisticamente il flagello dell'eroina, ma ragionasse sul perché la gente si bucava con l'illusione di approdare all'eden. Un punto di vista onesto e originale che aveva spinto uno dei padri dell'operazione, Marco Ferreri, incline a vedere il futuro a tinte nere come Leonard Cohen, all'auspicio benevolo. Speso il suo centesimo d'ottimismo - «Questo film farà tantissimi soldi» - Ferreri si scoprì più povero. Dopo una conferenza stampa lagunare tratta da una pagina di Hunter S. Thompson - il casinò non era a Las Vegas, ma sono dettagli - in cui lo stesso Ferreri, lanciò un cappello in aria, sbaragliò una fila di sedie e in piena pugna dialettica con Tatti Sanguineti lo accarezzò a modo suo: «Non sei un regista, sei uno stronzo e non capisci un cazzo», il film, proprio come molti protagonisti di quella storia, morì. Costato pochissimo e portato a termine in condizioni disperate, Amore Tossico uscì in 15 sale e fu travolto dall'oblio, dai debiti della produzione, dagli interventi della magistratura, dal generalizzato timore che tutta quella libertà espressiva sventolata da un esordiente, in fondo, fosse un magro affare. «"Questo sa comunicare, è pericoloso", ecco cosa dicevano di me», ricordava Caligari che con il passato aveva fatto i conti. «Fuggi in America», gli avevano consigliato gli amici «non ti perdoneranno mai». Caligari, un muro, ma anche un mulo per coerenza e dignità, preferì evitare la fuga e proprio come Mia Martini, divenne prigioniero delle cattiverie, dell'ostracismo e della pigrizia. Il suo nome non veniva mai in mente a nessuno se non alle persone sbagliate. Incontrò produttori in rovina: «Gente che in ufficio aveva in bella vista il plastico della stazione di New York e si gloriava di aver vinto l'appalto per la ristrutturazione e poche settimane dopo mi chiedeva di lasciargli il pacchetto di sigarette», promesse tradite, rimpianti: «Sarebbe stato meglio girare una cazzata, una storiella leggera, non avrei avuto problemi». Sul suo ultimo set, con i fratelli Mastandrea e Borghi, Claudio stava per morire, ma sorrideva. Poi, per paura di darlo a vedere, tornava severo. «Se gli dicevi "ti voglio bene"», ricordava Marco Giallini, «eri morto». Hanno ammazzato Claudio, Claudio è vivo.
N.d.r. I brani sopra riportati sono a firma di Malcom Pagani e sono stati pubblicati sul settimanale “d” del quotidiano “la Republica” rispettivamente l’otto ed il primo di febbraio dell’anno 2025.
Nessun commento:
Posta un commento