"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 12 febbraio 2025

CosedalMondo. 34 Alessandro Robecchi: «La signora White non è solo predicatrice, ma anche teologa, avendo affinato e perfezionato la speciale Prosperity Theology (teologia della prosperità)».


Come tutti sappiamo, e la Storia ce ne ha date infinite prove a partire dal balcone di piazza Venezia, essere ridicoli non esclude l’essere pericolosi, anzi. L’ultima conferma ci viene – ma guarda un po’ – dalla Casa Bianca, un posto dove abita Donald Trump, in subaffitto Elon Musk e poi giù giù per la scala gerarchica una pletora infinita di consiglieri squinternati, estremisti bianchi, portavoce isterici, funzionari che sembrano usciti da un film di Kubrick (scegliete voi tra Il dottor Stranamore e Shining). Uno si dice che gli autori della commedia devono essere bravissimi, per inventarsi una trovata tutti i giorni, e anche più volte al giorno, e il pubblico sceglie la sua gag preferita da raccontare al bar. Ecco: la creazione del Faith Office, l’Ufficio della Fede, sembra finora una delle migliori, perché si scivola da Kubrick ai Monty Python e viene da fare i complimenti al cast. Nella foto diffusa dalla Casa Bianca – quella dove una trentina di predicatori, telepredicatori, guru paracristiani, pastori delle più improbabili chiese e congregazioni posano intorno a Trump – c’è tutto, ma proprio tutto, il campionario dell’attuale follia americana. Roba che se un autore satirico l’avesse consegnata al direttore se la sarebbe vista respinta: “Va bene il grottesco, ma non esageriamo!”. E invece. Non si capisce bene cosa dovrebbe fare il nuovo ufficio presidenziale a proposito di fede, ma quel che si legge qui e là è che dovrebbe arginare i “pregiudizi antricristiani”. Perbacco. Per arginare i pregiudizi anticristiani Trump ha scelto la sua personale consigliera spirituale (eh? ndr), una certa Paula White, una che dice che “Opporsi a Trump equivale a opporsi a Dio”, e che vuole dichiarare la Casa Bianca “Luogo santo”, aggiungendo che “E’ la mia presenza che santifica il posto” (la modestia è tutto, sapete). La compagnia di giro nella foto è già di per sé esilarante senza nulla aggiungere. Ci sono il cantante Kid Rock e il tastierista dei Jouney, incidentalmente marito della White (secondo marito, per essere precisi), poi vari mental coach, gente che ha scritto libri su come liberarsi dai debiti, creazionisti, autori di podcast sulla Bibbia, quasi tutti tengono corsi sulla fede, chi in presenza e chi online, gente convinta che Darwin era un farabutto comunista.  La regina però è lei, la telepredicatrice Paula, che dice di aver visto Dio nel 1984, e da allora non si è più ripresa. A leggere la sua biografia ci si perde tra chiese fondate, fallite, rifondate, fuse con altre chiese, dove distinguere tra preti e amministratori delegati è una fatica, quella sì, di portata biblica. Tra le note di colore ci sono 900.000 dollari di fondi pubblici per costruirsi una villa e un milione per distribuire stipendi ai famigliari (è il caro-chierichetti, una vera piaga). La signora White non è solo predicatrice, ma anche teologa, si direbbe, avendo affinato e perfezionato la speciale Prosperity Theology (teologia della prosperità) che dice che se sei ricco e in salute è perché Dio ti vuole bene e ti ricompensa; mentre invece se sei povero e sfigato, magari col diabete e la pressione alta, a Dio gli stai sul cazzo. Cosa risolvibile, comunque, donando un minimo di mille dollari alla Chiesa di Paula White. Così, a occhio, sembrerebbe una cosa ridicola, e lo è senza dubbio. Peccato che, come si diceva, essere ridicoli non escluda l’essere pericolosi, e se Dio esiste, da qualche parte, si spera in un suo intervento tempestivo. Un fulmine ben assestato dovrebbe bastare. (Tratto da «Misteri della fede. “Donald theology”, quando i poveri ti stanno sulle scatole» di Alessandro Robecchi pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, 12 di febbraio 2025).

“Gli adoratori di Trump che minimizzano tutto”, testo di Gad Lerner pubblicato sulla edizione de’ “il Fatto Quotidiano” di oggi: Era il 1925, giusto cento anni fa, quando venne pubblicato il Mein Kampf. In Germania pochi diedero peso alle farneticazioni di Adolf Hitler. Sette anni dopo vinse le elezioni e andò al potere. Ma la stampa internazionale – in testa il New York Times a proprietà ebraica, (…) – continuò a definirlo un politico ragionevole le cui ruvidezze non erano da prendersi alla lettera; meglio dialogare con quel nazionalista tanto abile nel cavalcare il vittimismo dei tedeschi. Un po’ come Donald Trump che non smette di lamentarsi per quanto gli americani vengono maltrattati da Europa, Messico, Canada. So quanto le comparazioni storiche suscitino l’ironia di chi si sente protagonista di un mondo nuovo nel quale le categorie politiche novecentesche sarebbero morte e sepolte. Anche se, curiosamente, chi prova fastidio a sentir parlare tanto del passato europeo (fascismo, protezionismo ecc.) poi sono gli stessi che minimizzano il fattore Trump, perché sarebbe in continuità col passato delle presidenze Usa: niente di nuovo, così fan tutti. Spargono scetticismo. La torsione autoritaria da lui impressa al sistema politico statunitense, la bellicosa riscrittura della geopolitica planetaria, la guerra delle tariffe e quella contro i migranti, sarebbero più un bluff che un vero salto d’epoca. Lo avevano descritto come fautore dell’isolazionismo Usa e dunque: “Anche se può apparire paradossale è un pacifista”. Pronostico infelice. Lo stesso cessate il fuoco fra Russia e Ucraina non sarà certo agevolato dalla sua previsione che un giorno quest’ultima possa venir riannessa dal Cremlino. Riesce altresì difficile immaginare un futuro di pace in Medio Oriente sulle ceneri della nazione palestinese. Forse i posteri ricorderanno The Donald come il volto truce del secolo americano che volge al termine. Di certo come il leader che ha infranto l’Occidente liberale. Ma la Russia di Putin insegna che anche una potenza declinante può diventare molto aggressiva. Non stupisce che il campionario italiano degli esegeti di Trump vada facendosi molto assortito. Hanno per denominatore comune l’intenzione di rassicurarci: suvvia, non sarà la fine del mondo, i suoi sono colpi sparati a salve per incutere rispetto negli interlocutori, ricordatevi che nasce immobiliarista, alzare la posta per meglio trattare sul prezzo rientra fra i trucchi del mestiere, mica lo prenderete sul serio quando si proclama inviato da Dio e la sua consigliera spirituale indica la Casa Bianca “luogo santo”. A fronte degli scettici ci sono i trumpiani entusiasti. Tale è la loro devozione per Giorgia Meloni da fargli perdere il senso delle proporzioni e destinarla al ruolo storico di paciere fra America e Europa, essendosi ridotta l’Onu a “caldera maleodorante, piena di dittatori e antisemiti” che va sostituita (testuale) con una “lega delle democrazie” (…). Altri, meno enfatici, sul Corriere della Sera, reputano inevitabile la dissoluzione del diritto internazionale nato all’indomani del 1945 (…); e fanno notare che in materia di brutalità con i migranti Trump viene imitato anche da governanti di sinistra (…). Ma è Federico Rampini, onore al merito, il capitano dei trumpiani di sinistra che del presidente americano invidia la sintonia con il popolo, tant’è che molla ceffoni perfino ai “globalisti” del Wall Street Journal quando si permettono di criticare la sua politica dei dazi. Chi poi aveva scelto una linea di neutralità fra Trump e Harris, con lieve preferenza per il primo in quanto “non fomenta le guerre ma le chiude” (M5S) ora pare rallegrarsi che sia venuta meno la cortina d’ipocrisia dell’era democratica e fatica a distinguere fra il giovane Musk e il vecchio Soros. Non bastasse l’appoggio di Musk all’estrema destra tedesca (per inciso: la sinistra “rossobruna” di Sahra Wagenknecht, in caduta libera nei sondaggi, ha votato assieme ai post-nazisti di Afd e alla Cdu la proposta di legge Merz sulla “limitazione dei flussi migratori”) a chiarire come stanno le cose è sopraggiunto il piano del trapiantatore Trump per Gaza. Liquidarlo perché velleitario, oltre che ignobile, sarebbe un errore. Il trasferimento forzato dei palestinesi dalla Striscia, senza diritto al ritorno, vanta numerosi precedenti nel secolo scorso dalla Turchia di Atatürk all’Urss di Stalin alla tragica Partizione fra India e Pakistan. Trump non si sente certo da meno. Fa leva, con viltà, sulla disperazione di tante famiglie che vedrebbero in quell’esodo la loro salvezza dopo che Netanyahu ha distrutto Gaza proprio per renderla inabitabile. Basta la prudenza con cui il portavoce del Cremlino sospende il giudizio sul piano di deportazione (“aspettiamo dettagli”) per intuire che quando Trump si metterà d’accordo con Putin avremo ben poco di cui compiacerci.

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