Già da parecchio era cessato il cattivo tempo;
la stagione veniva avanti; e all'improvviso fiorirono i mandorli il primo di
marzo. Scendo il mattino in Piazza di Spagna. I contadini hanno spogliato dei
suoi rami bianchi la campagna, e i fiori di mandorlo caricano le ceste dei
venditori. La mia attrazione è così forte che ne compro un fascio intero. Ci
vogliono tre uomini a portarlo. Rientro insieme a tutta quella primavera. I
rami si impigliano nelle porte, dei petali nevicano sul tappeto. Ne metto
dappertutto, in tutti i vasi; ne faccio bianco il salotto, dove Marceline, in
quel momento, non c'era. Già mi rallegro della sua gioia... La sento venire.
Eccola. Apre la porta. Vacilla... scoppia in singhiozzi. «Che cos'hai, mia
povera Marceline?». Mi affretto accanto a lei; la copro di tenere carezze.
Allora, come per scusarsi delle sue lacrime: «L'odore di questi fiori mi fa
male» dice lei. Ed era un fine, fine, un discreto odore di miele... (Tratto
da “L'immoralista” – 1902 – di André
Gide).
“Padri&Figli”. 1“Mi fido di Te”: Quando il piccolo Luke aveva 18 mesi di vita
suo padre gli regalò una lavagna magnetica su cui lanciare le freccette che era
più alta di lui. Il bambino trovò il gioco divertente e, incoraggiato, proseguì
a farlo. A 11 anni il padre, intervenendo di nuovo, gli fece appendere al
chiodo gli scarpini da calcio e gli disse di concentrarsi sulle freccette. Aveva
ragione. All'inizio dell'anno Luke Littler, appena 17enne, ha conquistato il
titolo di campione del mondo della specialità e accumulato oltre un milione di
sterline in premi, al netto degli ingaggi degli sponsor. Mai l'acquisto di un
giocattolo si è rivelato più redditizio. Capita che i padri abbiano dei sogni
e, non avendoli realizzati, li trasferiscano ai figli. O che ne concepiscano di
nuovi, su misura per loro. Qualche volta fanno centro, molto spesso la freccia
finisce lontana dal bersaglio. Prima di tutto: è giusto farlo? Il desiderio più
semplice è la continuità. Avvocati, medici, calciatori immaginano il figlio
sulle proprie orme o, meglio, nelle proprie scarpe. È un vantaggio o un
condizionamento? Probabilmente entrambe le cose. Durante gli anni di
università, alla facoltà di Giurisprudenza, ho visto compagni di corso
schiacciati dalla responsabilità di dover diventare, come i padri, magistrati o
notai. Quasi tutti ci sono riusciti e molti non sono stati felici. Alcuni sono
esplosi, a distanza di anni, come ordigni con la miccia lunga. Di solito, accade
a quelli che avrebbero avuto altre vocazioni, compresa quella di perdersi lungo
la strada. Chi ne era privo è stato ben lieto di restare nei ranghi. Differente
è quando il padre ha un desiderio ai confini tra intuizione e speranza, quando
immagina per il figlio un avvenire fuori dalle righe. Un tempo accadeva (è
successo ad alcuni miei conoscenti) che al ritorno da un provino di successo
per una squadra di calcio il genitore dicesse: "Bene, ti sei tolto la
soddisfazione, adesso pensa a studiare e trovati un lavoro vero". Ora è
più facile che i padri vadano a prendere i figli da scuola a metà delle lezioni
per portarli su un campo di calcio, confidando di allevare un nuovo Totti,
perfino quando non si chiamano Totti. Poi c'è quell'idea folle che ti fa uscire
una mattina a comprare una lavagna magnetica e delle freccette per un
bambinello con le dita ancora grassocce. Andre Agassi con la sua autobiografia
Open ci ha insegnato, o meglio ha insegnato ai genitori, una cosa importante:
"va bene, trasformate i vostri figli in atleti, ma poi non perseguitateli
con la vostra ossessione". Lasciate che perdano, falliscano, smettano,
cambino strada. Luke Littler ha battuto un uomo con il doppio dei suoi anni,
potrebbe essere suo padre, deve per forza passare i prossimi 17 anni lanciando
freccette e aumentando il conto in banca? Può permettersi il lusso di deludere
suo padre, adesso che l'ha reso felice? L'unica volta in cui ho partecipato a
un talk, per amicizia con Maurizio Costanzo, il conduttore mi chiese:
"Qual è il regalo più bello che tu abbia mai ricevuto?". Risposi:
"La fiducia, da mio padre". Che, ascoltando, si commosse. Lui non
scriveva per vivere e ha sempre guardato alle mie scelte come a un film
iraniano, ma le ha assecondate. A Marcello Fois, dopo 10 libri, il padre
chiedeva ancora: "Sì, ma a parte questo hobby, che fai veramente?".
“Padri&Figli”. 2 “Guardare meglio le pietre”: La voce che parla dalle pagine di Malbianco (Einaudi),
ultimo romanzo di Mario Desiati, è (…) piena di tentennamenti: ferma. Anzi,
dico meglio: la voce è ferma e il corpo da cui quella voce arriva è pieno di
tentennamenti. Voce e corpo sono di Marco Petrovici, lavoratore nel terziario,
"multinazionali talmente anonime che nemmeno conoscevo i miei capi di
persona". Ma niente è metaforico, Marco cambia vita e geografia perché
tentenna. E per cambiare vita deve cambiare geografia - impedire gli esodi
significa impedire la letteratura e consegnarsi a cronaca e fake news - e
grazie a un'intuizione che darà struttura al romanzo, Marco torna a casa. La casa,
come ci si aspetta – (…) - ha le finestre, e tutti i Petrovici sono felici
davanti alle finestre. E nemmeno questo è metaforico perché attraverso le
finestre passano aria e luce e si vedono gli altri, gli alberi e le pietre. E
guardare meglio le pietre, (…), significa imparare a guardare meglio il mondo.
Così Marco - come molti dei protagonisti di Desiati, alcuni a dire il vero non
si sono mai mossi - torna in Puglia, in una casa tra gli alberi dove i genitori
stanno invecchiando. Pensa di essere tornato per prendersi cura di sé stesso e
si ritrova a prendersi cura dei genitori. Se non fosse che la cura non è per
questo o quell'altro, noi o gli altri, ma un sentimento che ha a che fare con
tenacia, coraggio, un pizzico di fortuna. E con la memoria. Se non fosse che
questa memoria è un caso, uno sbaglio, una stanchezza, un lapsus, perché i
genitori di Marco, invecchiando, dimenticano di ottemperare al dovere di
famiglia: tramandare la dimenticanza. E qui si può andare in tante direzioni,
si può pensare a Mrs Dalloway di Virginia Woolf e cioè a nevrotici che,
ritenendo di avere un gusto estetico, trasformano i loro drammi in occasioni
mondane e, contemporaneamente, chiedersi che significa sopravvivere a una
guerra mondiale. O andare verso la Shirley Jackson di Abbiamo sempre vissuto
nel castello, correre incontro al gotico rurale, ritmi, canzonette (in questo
caso una filastrocca che si scoprirà yiddish). Si può andare verso Fleur Jaeggy
e gridare che basta, basta, la malinconia ci ha assalito col senso comune e noi
non riusciamo più a respirare, nessuno ci riesce. Si può essere più didascalici
e andare da Il gigante sepolto di Kazuo Ishiguro, dove si impara che la
dimenticanza è l'unica possibilità per mantenere la quiete e, infatti, Michela
Murgia ha scritto che L'inferno è una buona memoria. Si può andare dovunque
perché questo romanzo è un grande romanzo. E lo è perché Mario Desiati, più che
in qualsiasi altro romanzo, non ha paura della luce, della verità, della
difficoltà, della debolezza e della miseria che ci impolvera anche quando
pensiamo di aver passato bene gli stracci sul nostro io. E così Marco Petrovici
è l'eroe della vertigine, in senso proprio e lato. E sempre per dirla con Jaeggy
"di tutti coloro che capiscono che non è importante essere perfettamente
felici, ma anche che non bisogna essere troppo pazienti".
N.d.r. I testi sopra riportati sono a firma,
rispettivamente, di Gabriele Romagnoli e di Chiara Valerio pubblicati sul periodico
“U” del quotidiano “la Repubblica”
del 27 di febbraio 2025.
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