"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 1 marzo 2025

Lavitadeglialtri. 76 Gabriele Romagnoli: «L'unica volta in cui ho partecipato a un talk, il conduttore mi chiese: "Qual è il regalo più bello che tu abbia mai ricevuto?". Risposi: "La fiducia, da mio padre"».


Già da parecchio era cessato il cattivo tempo; la stagione veniva avanti; e all'improvviso fiorirono i mandorli il primo di marzo. Scendo il mattino in Piazza di Spagna. I contadini hanno spogliato dei suoi rami bianchi la campagna, e i fiori di mandorlo caricano le ceste dei venditori. La mia attrazione è così forte che ne compro un fascio intero. Ci vogliono tre uomini a portarlo. Rientro insieme a tutta quella primavera. I rami si impigliano nelle porte, dei petali nevicano sul tappeto. Ne metto dappertutto, in tutti i vasi; ne faccio bianco il salotto, dove Marceline, in quel momento, non c'era. Già mi rallegro della sua gioia... La sento venire. Eccola. Apre la porta. Vacilla... scoppia in singhiozzi. «Che cos'hai, mia povera Marceline?». Mi affretto accanto a lei; la copro di tenere carezze. Allora, come per scusarsi delle sue lacrime: «L'odore di questi fiori mi fa male» dice lei. Ed era un fine, fine, un discreto odore di miele... (Tratto da “L'immoralista” – 1902 – di André Gide).

Padri&Figli”. 1“Mi fido di Te”: Quando il piccolo Luke aveva 18 mesi di vita suo padre gli regalò una lavagna magnetica su cui lanciare le freccette che era più alta di lui. Il bambino trovò il gioco divertente e, incoraggiato, proseguì a farlo. A 11 anni il padre, intervenendo di nuovo, gli fece appendere al chiodo gli scarpini da calcio e gli disse di concentrarsi sulle freccette. Aveva ragione. All'inizio dell'anno Luke Littler, appena 17enne, ha conquistato il titolo di campione del mondo della specialità e accumulato oltre un milione di sterline in premi, al netto degli ingaggi degli sponsor. Mai l'acquisto di un giocattolo si è rivelato più redditizio. Capita che i padri abbiano dei sogni e, non avendoli realizzati, li trasferiscano ai figli. O che ne concepiscano di nuovi, su misura per loro. Qualche volta fanno centro, molto spesso la freccia finisce lontana dal bersaglio. Prima di tutto: è giusto farlo? Il desiderio più semplice è la continuità. Avvocati, medici, calciatori immaginano il figlio sulle proprie orme o, meglio, nelle proprie scarpe. È un vantaggio o un condizionamento? Probabilmente entrambe le cose. Durante gli anni di università, alla facoltà di Giurisprudenza, ho visto compagni di corso schiacciati dalla responsabilità di dover diventare, come i padri, magistrati o notai. Quasi tutti ci sono riusciti e molti non sono stati felici. Alcuni sono esplosi, a distanza di anni, come ordigni con la miccia lunga. Di solito, accade a quelli che avrebbero avuto altre vocazioni, compresa quella di perdersi lungo la strada. Chi ne era privo è stato ben lieto di restare nei ranghi. Differente è quando il padre ha un desiderio ai confini tra intuizione e speranza, quando immagina per il figlio un avvenire fuori dalle righe. Un tempo accadeva (è successo ad alcuni miei conoscenti) che al ritorno da un provino di successo per una squadra di calcio il genitore dicesse: "Bene, ti sei tolto la soddisfazione, adesso pensa a studiare e trovati un lavoro vero". Ora è più facile che i padri vadano a prendere i figli da scuola a metà delle lezioni per portarli su un campo di calcio, confidando di allevare un nuovo Totti, perfino quando non si chiamano Totti. Poi c'è quell'idea folle che ti fa uscire una mattina a comprare una lavagna magnetica e delle freccette per un bambinello con le dita ancora grassocce. Andre Agassi con la sua autobiografia Open ci ha insegnato, o meglio ha insegnato ai genitori, una cosa importante: "va bene, trasformate i vostri figli in atleti, ma poi non perseguitateli con la vostra ossessione". Lasciate che perdano, falliscano, smettano, cambino strada. Luke Littler ha battuto un uomo con il doppio dei suoi anni, potrebbe essere suo padre, deve per forza passare i prossimi 17 anni lanciando freccette e aumentando il conto in banca? Può permettersi il lusso di deludere suo padre, adesso che l'ha reso felice? L'unica volta in cui ho partecipato a un talk, per amicizia con Maurizio Costanzo, il conduttore mi chiese: "Qual è il regalo più bello che tu abbia mai ricevuto?". Risposi: "La fiducia, da mio padre". Che, ascoltando, si commosse. Lui non scriveva per vivere e ha sempre guardato alle mie scelte come a un film iraniano, ma le ha assecondate. A Marcello Fois, dopo 10 libri, il padre chiedeva ancora: "Sì, ma a parte questo hobby, che fai veramente?".

Padri&Figli”. 2 “Guardare meglio le pietre”: La voce che parla dalle pagine di Malbianco (Einaudi), ultimo romanzo di Mario Desiati, è (…) piena di tentennamenti: ferma. Anzi, dico meglio: la voce è ferma e il corpo da cui quella voce arriva è pieno di tentennamenti. Voce e corpo sono di Marco Petrovici, lavoratore nel terziario, "multinazionali talmente anonime che nemmeno conoscevo i miei capi di persona". Ma niente è metaforico, Marco cambia vita e geografia perché tentenna. E per cambiare vita deve cambiare geografia - impedire gli esodi significa impedire la letteratura e consegnarsi a cronaca e fake news - e grazie a un'intuizione che darà struttura al romanzo, Marco torna a casa. La casa, come ci si aspetta – (…) - ha le finestre, e tutti i Petrovici sono felici davanti alle finestre. E nemmeno questo è metaforico perché attraverso le finestre passano aria e luce e si vedono gli altri, gli alberi e le pietre. E guardare meglio le pietre, (…), significa imparare a guardare meglio il mondo. Così Marco - come molti dei protagonisti di Desiati, alcuni a dire il vero non si sono mai mossi - torna in Puglia, in una casa tra gli alberi dove i genitori stanno invecchiando. Pensa di essere tornato per prendersi cura di sé stesso e si ritrova a prendersi cura dei genitori. Se non fosse che la cura non è per questo o quell'altro, noi o gli altri, ma un sentimento che ha a che fare con tenacia, coraggio, un pizzico di fortuna. E con la memoria. Se non fosse che questa memoria è un caso, uno sbaglio, una stanchezza, un lapsus, perché i genitori di Marco, invecchiando, dimenticano di ottemperare al dovere di famiglia: tramandare la dimenticanza. E qui si può andare in tante direzioni, si può pensare a Mrs Dalloway di Virginia Woolf e cioè a nevrotici che, ritenendo di avere un gusto estetico, trasformano i loro drammi in occasioni mondane e, contemporaneamente, chiedersi che significa sopravvivere a una guerra mondiale. O andare verso la Shirley Jackson di Abbiamo sempre vissuto nel castello, correre incontro al gotico rurale, ritmi, canzonette (in questo caso una filastrocca che si scoprirà yiddish). Si può andare verso Fleur Jaeggy e gridare che basta, basta, la malinconia ci ha assalito col senso comune e noi non riusciamo più a respirare, nessuno ci riesce. Si può essere più didascalici e andare da Il gigante sepolto di Kazuo Ishiguro, dove si impara che la dimenticanza è l'unica possibilità per mantenere la quiete e, infatti, Michela Murgia ha scritto che L'inferno è una buona memoria. Si può andare dovunque perché questo romanzo è un grande romanzo. E lo è perché Mario Desiati, più che in qualsiasi altro romanzo, non ha paura della luce, della verità, della difficoltà, della debolezza e della miseria che ci impolvera anche quando pensiamo di aver passato bene gli stracci sul nostro io. E così Marco Petrovici è l'eroe della vertigine, in senso proprio e lato. E sempre per dirla con Jaeggy "di tutti coloro che capiscono che non è importante essere perfettamente felici, ma anche che non bisogna essere troppo pazienti".

N.d.r. I testi sopra riportati sono a firma, rispettivamente, di Gabriele Romagnoli e di Chiara Valerio pubblicati sul periodico “U” del quotidiano “la Repubblica” del 27 di febbraio 2025.  

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