"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 4 febbraio 2025

Lastoriasiamonoi. 30 Giuseppe Montesano: «Mentre leggi sono solo segni neri sul bianco che tu, e solo tu, con tutto il tuo corpo e tutta la tua mente, rendi palpabili e concreti. E davvero questo potere immenso sarebbe una cosa superata a cui sfuggire?».


(…). L'oscurità ci guarda, sempre. Non siamo noi che guardiamo le tenebre, sono le tenebre che ci sorvegliano. Ci tengono d'occhio. Ci penso ogni momento, in queste settimane di cambiamenti epocali che avvengono in un teatro più grande, il teatro del mondo, e sono ugualmente messi in scena ad uso del pubblico. (…). A vedere altri pazzi che guidano ciechi, o ciechi che guidano pazzi, sono stati davanti alla tv miliardi di persone. Come se anche quello fosse uno spettacolo, solo per una più grande platea, e lo era. Ma no, invece. Fa molta paura, questa incapacità di distinguere lo show dalla realtà, un cappello a tesa larga e un braccio teso all’insediamento del presidente, da una recita. L'oscurità ci guarda e ci sorveglia: aspetta che ci assopiamo sul divano stanchi di un giorno lungo, di molte fatiche e frustrazioni, di un bicchiere bevuto la sera, che ci consola e ci addormenta. Non si sa più come dirlo, non ci sono le parole: si sono consumate nell'abuso, non hanno più valore. Non c'è reazione, non sufficiente comunque, non quella che cambierebbe il corso delle cose: non è più il tempo delle rivoluzioni. Ci si stordisce divagando, la tv del pomeriggio, i reel che fanno ridere, e ci si stanca lavorando: qualcuno deve pur trovare il modo di mandare avanti famiglie dove i vecchi costano e i figli di più. Siamo prigionieri nella terra di mezzo: gli obblighi di figlie e quelli di madri si accavallano e si sovrappongono, il tempo proprio non c'è né ci sarà. Non parlo mai di politica in questo spazio, non direttamente per lo meno. (…). Io stessa sono stanca, a questa altezza della vita, di ripetere quel che ho sempre pensato fosse giusto, quello per cui valeva la pena spendersi sebbene non convenisse affatto, una vita controvento. Se fosse convenuto, se avessimo insieme combattuto per avere posti al sole, ci troveremmo altrove. Al sole, appunto, in qualche posizione di vantaggio. Ma no. Siamo qui sulla trincea della spiaggia, ancora adesso, e non pensiate che siano troppo diverse le vostre e la mia postazione. Sembrano, lo capisco, ma credetemi: non lo sono. Ancora mi sento di dire, non mi stanco: vi prego, facciamo attenzione. Non lasciatevi distrarre dai dettagli, non prestate tutta la vostra residua attenzione a quello che vorrebbero fosse il nostro motivo di interesse. Fuochi d'artificio, mongolfiere e giochi di prestigio. Tutto il loro investimento è qui: fare in modo che guardiamo altrove. Ma, invece, fate facciamo appello alla ragione. Al vecchio stile. Osservare, dubitare, chiedere. Se necessario pretendere. Imparare, conoscere. Viviamo tempi difficilissimi. Il futuro è incerto come non è stato mai. L'oscurità ci guarda. (Tratto da “Vi prego, non prestate la vostra residua attenzione a quello che vorrebbero loro” di Concita De Gregorio, pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del primo di febbraio 2025).

“Rivoglio indietro il tempo perduto”, racconto di Giuseppe Montesano – scrittore, vincitore del “Premio Viareggio” dell’anno 2016, docente di filosofia al Liceo, traduttore – pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” del 2 di febbraio 2025: Mi stanno abbandonando anche i miei amici più cari?  Qualche giorno fa eravamo insieme, si beveva e si ciarlava di Hamilton stilista di sé stesso, e, tra una battuta e l'altra, mi è venuto di dire che avevo letto un romanzo che evitavo da anni perché era lungo, ma ora lo avevo letto di furia, in pochi giorni meravigliosi, non solo leggendo ma facendo un'esperienza. Per un attimo è sceso il silenzio, uno strano silenzio, e quando nel silenzio ho detto il nome dell'autore, un'amica ha replicato «ah», un'altra «ma certo», un amico «ancora 'ste cose», un altro «ti stai fissando», e io volevo spiegare perché ero esaltato, ma all'improvviso le voci ridenti hanno mescolato «il ciuffo di Trump è uno spasso», «la Formula uno è superata», «ci governano i pazzi», e io sono rimasto con le parole in gola come una lisca di traverso. Intanto G. e M. si sono messi a guardare i loro cellulari, accanto ai bicchieri degli altri giacevano altri telefoni, le risate si sfilacciavano tutto intorno e mi sono sentito escluso, allora arrossendo ho preso dalla giacca il mio iphone e ho finto di controllare i messaggi: mi stanno abbandonando anche gli amici, o mi sto abbandonando io stesso? Quella sera volevo dire che soffro come tutti della malattia mortale del clic ma che per qualche giorno ero sfuggito alle catene digitali, che leggendo ero stato investito da un vento salmastro, che si erano risvegliate emozioni, pensieri, ricordi, passato, futuro, volti, sensi, sogni, e mi era sembrato un miracolo quello che fino a poco fa era la vita. Sì, anch'io sempre più spesso prendo un libro solo se credo di non avere niente di più eccitante da fare, e mi preparo, lo apro, comincio - e ecco che dopo un po' le palpebre scendono a mezzo, fa troppo freddo o fa troppo caldo, ho sentito un rumore strano, la schiena che stava bene mi fa male, mi sembra di perdere tempo, allora mi alzo e bevo, mi chiedo se non devo fare qualcosa che ho dimenticato di fare, penso che non sto producendo niente, penso che dovrei lavorare, comincio a sentire una specie di ansia, riprendo a leggere ma le parole si sconnettono, penso che il libro è troppo difficile, che l'autore non è famoso, e quindi che lo leggo a fare, ma va be', devo farlo, però prima guardo un attimo le news, solo un attimo, e vado con i pollici, clic clac clic clac, e mi incanto, e sì, sono di nuovo con tutti, di nuovo come tutti, leggero, libero. Che orrore! Come può essere entrato nelle mie cellule questo ripugnante calvinismo da poveracci? Io non voglio essere il servo sciocco che produce like! E chi mai potrebbe volere questa mezza vita nel crepuscolo generale che ci spegne? Eppure la fabbrica dei like ci adesca, le sabbie mobili al silicio ci blandiscono, le nebbie del cloud ci sembrano arcobaleni, e ci ritroviamo anestetizzati nel sentire e nel pensare, incerti se siamo felici o depressi. E come sono diventati i nostri amori? Sempre più siamo Narcisi che fissano Narcisi, tutti davanti allo specchio delle mie brame chi è il più bello del reame, tutti eccitati e svuotati da sveltine digitali, da micro-passioni in cui non siamo più individui diversi che si scelgono proprio perché diversi, ma specchi di specchi di specchi. Che fare? Forse bisognerà cominciare a liberarci dalla mitologia del produrre come salvezza, l'orrenda etica del denaro che Max Weber chiamò la pietrificazione, una pietrificazione che se non fosse stata combattuta, diceva lui, ci avrebbe trasformati in «specialisti senza testa e edonisti senza cuore, dei nulla illusi di essere ascesi a un grado di umanità mai raggiunto prima»: una profezia di centoventi anni fa realizzata oggi dall'analfabeta funzionale, il cui cliccare è il lavoro del tempo libero nel quale ingrassa chi lo fa ammalare. E allora? E allora bisogna voltare le spalle al nulla che si crede tutto, e fare spazio al dolce far niente: spazio alla noia saporosa dei pomeriggi d'estate e dei buchi che si aprono nei giorni e non devono essere riempiti per forza, spazio a un tempo che non può essere sempre misurato dall'autocensura alleata al divertimento, spazio a quella vita altra che ci appare nell'amore: quando il tempo non esiste perché siamo completamente dentro la vita, quando sentiamo che può esserci un tempo ritrovato solo se abbiamo avuto un tempo perduto. Possibile che, in preda al clic cerebrale regrediamo fino a credere a bocca aperta a menzogne senza alcuna razionalità? Siamo liberi, ci dicono: ma se lasci che un Politico o una IA pensi al tuo posto presto diventerai il servo sciocco di Politici e IA. Ci sussurrano nell'inconscio che leggere è roba da vecchi, da retrò non all'altezza dei tempi, da sfigati superati dal nuovo: ma è esattamente il contrario. Per leggere sul serio dobbiamo attingere all'estremo a tutte le nostre risorse intellettuali e sensoriali, nessun romanzo può essere letto passivamente, perché un grande romanzo ti obbliga a immaginare attivamente un mondo: e per immaginarlo devi risvegliare la memoria, il pensiero, la conoscenza sensibile di occhi e orecchie e polpastrelli, devi sentire passioni e emozioni ma anche visualizzare luoghi e gesti, e sentire aromi e sapori che mentre leggi sono solo segni neri sul bianco che tu, e solo tu,  con  tutto  il  tuo  corpo  e  tutta  la  tua  mente,  rendi  palpabili  e  concreti. E davvero questo potere immenso sarebbe una cosa superata a cui sfuggire? Al contrario, amici miei! Come scrivono invano da trent'anni i neuroscienziati, i tuoi sensi e la tua mente, la tua emotività e la tua intelligenza diventano più acuti, più duttili e più inventivi quando sei tu a ricordare e a pensare, e a ricostruire dentro di te la Parigi di Proust e o quella di Céline, le midtown di Carver e i barrios di Cortazar, i deserti di McCarthy e le valli di Bernhard, la New York di Malamud e la Città del Messico di Fuentes, il Nordamerica di Joshua Cohen e di Foster Wallace o il Sudamerica di Carmen Moreno e Roberto Bolano. Facile? Difficile? Forse solo indispensabile, a meno che, dopo aver delegato a memorie esterne la memoria personale, non vogliamo dormire il sonno dei vampirizzati servitori di chi possiederà l'IA, e quindi possiederà il nostro inconscio che avremo donato come sangue fresco all'IA. In un giorno di acqua e fango a Parigi, affamato, senza meta e con la giacchetta logora, Rilke entra alla Bibliothèque Nationale, prende un libro, lo apre, è Verlaine, e lui capisce che forse non tutto è perduto, e dice sì, la pioggia mi entra nelle scarpe, sono povero, la vita mi offende, ma io, io ho un libro, ed è il libro di un poeta - e sente che può tornare a vivere. Quando capiremo quello che capì Rilke? Entrare nella lettura vuol dire seguire Eros, il bimbo selvaggio che cerca amore perché amore gli manca: e entrati là viviamo vite che non sono la nostra ma ci parlano dei nostri misteri, là siamo sospinti da un'ebbrezza che ci divora ma ci restituisce moltiplicato ciò che doniamo, là corpo e mente accrescono sé stessi nella gioia di esercitare la propria forza. Sarà poco? Sarà molto? Ah, e come si può decidere senza provare? Via dalla ripetizione, via dall'obbedienza, via dagli specchi: nel fiume controcorrente dell'inconscio io ricomincio a sognare con tutti i sensi spalancati.

1 commento:

  1. Definire straordinario questo post? Non può bastare, è tutto vero e urge prendere coscienza e cambiare... Non è mai troppo tardi!

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