"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 25 febbraio 2025

Cosedalmondo. 35 Nietzsche: «Cerco Dio! Cerco Dio… Dove se n’è andato Dio? Ve lo voglio dire! Siamo stati noi a ucciderlo».

 


“Danze macabre. Meglio più armi con Trump o più armi con Ursula?”: “Mi spiace, la sua Tac è rimandata, perché abbiamo dovuto comprare un bazooka”. “Ah, grazie, mi sento già meglio”. In attesa di sentire dialoghi come questo (che già sentiamo oggi, peraltro, anche se del bazooka non ci dicono ancora niente), possiamo analizzare qualche scenario per il futuro prossimo venturo, perché la confusione è grande sotto il sole, come diceva il compagno Mao, ma la situazione è tutt’altro che eccellente (lui diceva il contrario).  Dunque c’è questo cittadino che ha bisogno urgente di una Tac, o di un ricovero, che in sala d’attesa si svaga leggendo i giornali, e finito lo sfoglio delle notizie importanti (Sanremo, per esempio), arriva alle noiose pagine economiche. Lì scopre che se un giorno gli Stati europei ubbidissero all’immobiliarista pazzo della Casa Bianca dovrebbero spendere per armi, annessi e connessi, il 5 per cento del loro Pil, il che vorrebbe dire (per noi italiani), a occhio e croce, 107 miliardi di euro all’anno, cioè molto più di quanto spendiamo per pagare le pensioni dei dipendenti pubblici, moltissimo di più di quanto ci costa l’istruzione, e quasi quanto destiniamo alla sanità (l’80 per cento). Ce n’è abbastanza per rivedere la storica frase “Volete la pace o i condizionatori?”, perché oltre ai condizionatori dovremmo venderci anche i frigoriferi, le caldaie, le automobili e forse anche un rene, ammesso di trovare qualcuno che lo compra. E ammesso, tra parentesi, che comprare tante armi aiuti la pace, cosa che fin qui la Storia ha sempre smentito, dato che dopo una furibonda corsa agli armamenti si finisce sempre per usarli. Avvertenza: la faccenda non è così semplice. Chi non vuole stare con Trump, che ci chiede lacrime e sangue, è chiamato a stare con la famosa Europa, che anche lei ci dice ogni giorno che dobbiamo aumentare le spese militari (si viaggia a vele spiegate verso il 2,5-3 per cento del Pil nei prossimi anni). Tutti e due le ipotesi, comunque, prevedono di comprare armi dal principale fornitore, gli Stati Uniti. Quindi se ci armiamo alle dipendenze degli Usa dobbiamo comprare le armi da loro, mentre se riusciamo a fare una forza di difesa europea dobbiamo comprare le armi da loro lo stesso. Intanto – sempre mentre aspettiamo la nostra Tac, per svagarci – possiamo assistere al tetro balletto delle posizioni in rapido spostamento, una vera danse macabre. Chi ci ha sempre intirizzito gli zebedei sulla “più grande democrazia del mondo, patria della libertà” impallidisce un po’ vedendola caduta in mano a una manica di matti. Chi invece teorizzava un’Europa forte e unita si scopre chiamato a rispondere alla richiesta di spese militari con… più spese militari. Camerati fieri e littori contrari al dominio Usa si scoprono patrioti sì, ma della patria di Trump; mentre democratici più o meno variegati sperano di armarsi contro Putin, che però nel frattempo flirta con Trump, il quale ci vende il gas a un prezzo triplo di quando lo compravamo da Putin, e sono contenti. Pagando l’energia sei-sette volte più di quanto la pagano gli Usa (40 dollari al Megawatt contro 7) l’industria europea farà parecchia fatica, e ammesso di riuscire a costruirci qui i nostri bazooka, ci costeranno parecchio di più. A questo punto, al povero cittadino in sala d’attesa non resta che dimenticare la sua Tac, andare a casa, svagarsi, rifugiarsi in un mondo fatato dove invece va tutto bene, che so, il Tg1, consapevole che il suo sacrificio sanitario sarà ricompensato dall’acquisto di un drone d’attacco o di un missile. Per la sua libertà, eh!

“Serviva un folle per dire che l’Occidente è morto”: (…). Occorreva che un folle irrompesse alla Casa Bianca perché fosse annunziato al mondo che l’idolo era caduto, il Dio annunziato dai messianismi terreni. Quel Dio è morto, è il messaggio propalato in tutta la Terra. Lo aveva preannunciato il “folle uomo” descritto da Nietzsche nella Gaia scienza, quel folle che “corse al mercato e si mise a gridare: ‘Cerco Dio! Cerco Dio… Dove se n’è andato Dio? Ve lo voglio dire! Siamo stati noi a ucciderlo’”. Era questo il Dio per il quale si erano fatte guerre umanitarie e genocidi, il Dio della competizione strategica e della deportazione dei migranti, il Dio impotente a impedire “l’apertura delle porte dell’inferno”, proprio quando papa Francesco dice di credere, senza farne un dogma, che l’inferno è vuoto. Ma quel Dio non era il vero Dio, era un idolo, veicolato dal messianismo americano, che a sua volta l’aveva ricevuto, secondo la ricostruzione fattane dal teologo gesuita tedesco Erich Przywara nella sua Idea d’Europa, dalla “comunità degli eletti predestinati” della Ginevra di Lutero, “che comportava l’idea di una terra di Dio, quella cioè degli eletti anglosassoni, che vollero e vogliono tutt’oggi essere i conquistatori del mondo con crociate morali”. I documenti ufficiali sulla strategia americana, prima e dopo l’attentato alle due Torri, affermavano in effetti che c’è “un unico modello sostenibile” per i popoli di tutto il mondo e in tutti i tempi, “Libertà, Democrazia, e Libera Impresa” e che “gli Stati Uniti godono di una posizione di impareggiabile forza militare e di grandioso potere economico e politico” per “proteggere questi valori contro i nemici” (compresi i neonazisti tedeschi?). Perciò, promettevano la Casa Bianca e il Pentagono, “estenderemo la pace promuovendo società libere ed aperte in tutti i continenti” (anche a Gaza?). Ed ecco che quel Dio, con l’avvento di Trump alla Casa Bianca, è caduto con un grande strepito, non come il vero Dio che se ne è andato nel silenzio di una sola frase sulla croce, ma come il falso Dio fuso nel vitello d’oro, che è stato fatto a pezzi nel “rumore del popolo che urlava” dinanzi a Giosuè e subito provocò tremila morti nell’accampamento di Mosè come a Gaza. Così è caduto l’idolo dello scudo atlantico, dell’invincibilità americana, della superiorità e assolutezza dei valori liberali occidentali contro gli orrori delle autocrazie, del nazismo cattivo solo se perseguita gli Ebrei. Ed ecco il risultato, l’Europa non si rassegna a essere sconfitta in Ucraina, e implode, a Gaza c’è il via libera per “finire il lavoro” dello sterminio; e dove è seminato il sangue di un così gran numero di vittime sacrificali, ebraiche e palestinesi, sono pronti i piani edilizi per le villette sulla futura Riviera del Medio Oriente. Ma l’Europa, Netanyahu, l’Occidente, hanno poco da prendersela con Trump: sono come lui. È chiaro che quando va in pezzi un idolo ne segue un terremoto, forse uno tsunami, ma può anche venirne un rovesciamento salutare. In crisi vanno l’Europa, Zelensky e l’Ucraina. L’Europa, invece di esser contenta della pace in casa sua, si agita scompostamente perché non riesce ad accettare la sua sconfitta in Ucraina. Ha avuto la sua guerra patriottica, che ha fatto fare agli ucraini per conto Usa e ora, succube come è stata degli uni e degli altri, è gettata via: certo non può mandare a combattere un esercito che non ha. Qui la rinascita consiste nel capire che l’“idea di Europa” è un inizio di futuro di un mondo diverso, l’Ue non può ridursi a essere uno Stato come gli altri, con il suo esercito, la sua politica di potenza, la sua sovranità insofferente al diritto, governata da Ursula e da Mark Rutte. Zelensky è disperato perché non lo vogliono alle trattative, forse gli daranno uno strapuntino. Uomo di televisione, ha calcato tutte le scene con piglio da demiurgo, signore della guerra e della pace (che intanto aveva provveduto a vietare per legge). Come aspirano a fare i grandi attori (che per questo non dovrebbero mai essere fatti capi di governo o di Stati), vuole morire sulla scena, lui con tutta la compagnia. Così oggi all’Ucraina manca solo una cosa. Il 25 luglio. L’Ucraina finalmente può e deve vivere. Senza i missili della Nato sul confine non dà fastidio a nessuno, la Russia non ha nessuna ragione di invaderla, bastandole quello che ha fatto finora, sia rispetto alla popolazione russa fuori dei suoi confini, sia rispetto alla sua sicurezza, compreso il mar Nero. I Paesi scandinavi possono tornare alla loro bella neutralità. E Trump, se smettesse di attizzare il fuoco tra Israele e Palestina, potrebbe occuparsi della Cina. Forse è venuto il tempo di riprendere sul serio il tema del messianismo, quello vero, che poi vuol dire la salvezza del mondo.

N.d.r. I testi sopra riportati sono, rispettivamente, di Alessandro Robecchi e di Raniero La Valle e sono stati pubblicati su “il Fatto Quotidiano” del 19 di febbraio 2025.

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