“Serviva un folle per dire che l’Occidente è morto”: (…). Occorreva che un folle irrompesse alla Casa Bianca perché fosse annunziato al mondo che l’idolo era caduto, il Dio annunziato dai messianismi terreni. Quel Dio è morto, è il messaggio propalato in tutta la Terra. Lo aveva preannunciato il “folle uomo” descritto da Nietzsche nella Gaia scienza, quel folle che “corse al mercato e si mise a gridare: ‘Cerco Dio! Cerco Dio… Dove se n’è andato Dio? Ve lo voglio dire! Siamo stati noi a ucciderlo’”. Era questo il Dio per il quale si erano fatte guerre umanitarie e genocidi, il Dio della competizione strategica e della deportazione dei migranti, il Dio impotente a impedire “l’apertura delle porte dell’inferno”, proprio quando papa Francesco dice di credere, senza farne un dogma, che l’inferno è vuoto. Ma quel Dio non era il vero Dio, era un idolo, veicolato dal messianismo americano, che a sua volta l’aveva ricevuto, secondo la ricostruzione fattane dal teologo gesuita tedesco Erich Przywara nella sua Idea d’Europa, dalla “comunità degli eletti predestinati” della Ginevra di Lutero, “che comportava l’idea di una terra di Dio, quella cioè degli eletti anglosassoni, che vollero e vogliono tutt’oggi essere i conquistatori del mondo con crociate morali”. I documenti ufficiali sulla strategia americana, prima e dopo l’attentato alle due Torri, affermavano in effetti che c’è “un unico modello sostenibile” per i popoli di tutto il mondo e in tutti i tempi, “Libertà, Democrazia, e Libera Impresa” e che “gli Stati Uniti godono di una posizione di impareggiabile forza militare e di grandioso potere economico e politico” per “proteggere questi valori contro i nemici” (compresi i neonazisti tedeschi?). Perciò, promettevano la Casa Bianca e il Pentagono, “estenderemo la pace promuovendo società libere ed aperte in tutti i continenti” (anche a Gaza?). Ed ecco che quel Dio, con l’avvento di Trump alla Casa Bianca, è caduto con un grande strepito, non come il vero Dio che se ne è andato nel silenzio di una sola frase sulla croce, ma come il falso Dio fuso nel vitello d’oro, che è stato fatto a pezzi nel “rumore del popolo che urlava” dinanzi a Giosuè e subito provocò tremila morti nell’accampamento di Mosè come a Gaza. Così è caduto l’idolo dello scudo atlantico, dell’invincibilità americana, della superiorità e assolutezza dei valori liberali occidentali contro gli orrori delle autocrazie, del nazismo cattivo solo se perseguita gli Ebrei. Ed ecco il risultato, l’Europa non si rassegna a essere sconfitta in Ucraina, e implode, a Gaza c’è il via libera per “finire il lavoro” dello sterminio; e dove è seminato il sangue di un così gran numero di vittime sacrificali, ebraiche e palestinesi, sono pronti i piani edilizi per le villette sulla futura Riviera del Medio Oriente. Ma l’Europa, Netanyahu, l’Occidente, hanno poco da prendersela con Trump: sono come lui. È chiaro che quando va in pezzi un idolo ne segue un terremoto, forse uno tsunami, ma può anche venirne un rovesciamento salutare. In crisi vanno l’Europa, Zelensky e l’Ucraina. L’Europa, invece di esser contenta della pace in casa sua, si agita scompostamente perché non riesce ad accettare la sua sconfitta in Ucraina. Ha avuto la sua guerra patriottica, che ha fatto fare agli ucraini per conto Usa e ora, succube come è stata degli uni e degli altri, è gettata via: certo non può mandare a combattere un esercito che non ha. Qui la rinascita consiste nel capire che l’“idea di Europa” è un inizio di futuro di un mondo diverso, l’Ue non può ridursi a essere uno Stato come gli altri, con il suo esercito, la sua politica di potenza, la sua sovranità insofferente al diritto, governata da Ursula e da Mark Rutte. Zelensky è disperato perché non lo vogliono alle trattative, forse gli daranno uno strapuntino. Uomo di televisione, ha calcato tutte le scene con piglio da demiurgo, signore della guerra e della pace (che intanto aveva provveduto a vietare per legge). Come aspirano a fare i grandi attori (che per questo non dovrebbero mai essere fatti capi di governo o di Stati), vuole morire sulla scena, lui con tutta la compagnia. Così oggi all’Ucraina manca solo una cosa. Il 25 luglio. L’Ucraina finalmente può e deve vivere. Senza i missili della Nato sul confine non dà fastidio a nessuno, la Russia non ha nessuna ragione di invaderla, bastandole quello che ha fatto finora, sia rispetto alla popolazione russa fuori dei suoi confini, sia rispetto alla sua sicurezza, compreso il mar Nero. I Paesi scandinavi possono tornare alla loro bella neutralità. E Trump, se smettesse di attizzare il fuoco tra Israele e Palestina, potrebbe occuparsi della Cina. Forse è venuto il tempo di riprendere sul serio il tema del messianismo, quello vero, che poi vuol dire la salvezza del mondo.
N.d.r. I testi sopra riportati sono, rispettivamente, di Alessandro Robecchi e di Raniero La Valle e sono stati pubblicati su “il Fatto Quotidiano” del 19 di febbraio 2025.
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