“
Storiedalla
Russia”.
1“Anton, il nipote dei servi della gleba
diventato medico (e intellettuale)”:
Il mondo si divide un po' tra quelli che gli
piace il mare e quelli che gli piace la montagna; io, le due città che mi
piaccion di più, al mondo, sono Parma e Mosca, che non c'è né mare né montagna.
A me piace la pianura, si vede, che di quella ce n'è tanta, sia a Parma che a
Mosca, e Parma, a Parma ci vado spesso, è a 90 chilometri da casa mia, a Parma
non c'è problema, a Mosca invece è un po' più complicato ma quest'anno, mi
hanno invitato i primi di settembre a un convegno di traduttori, e io ho
pensato che ci vado. Se uno vuole andare in Russia, da qualche mese, deve
chiedere il visto direttamente su Internet, che è una cosa che ho fatto i primi
di agosto giorni fa e pochi giorni dopo mi è arrivata la risposta che è stata,
è incredibile, positiva. Così, io, i primi di settembre, è incredibile, vado a
Mosca, che è, per me, la città più bella del mondo (insieme a Parma). Tanta di
quella pianura. Dal 2015 al 2019 io tutti gli anni ho guidato dei gruppi di
appassionati di letteratura a vedere i luoghi dove è nata la letteratura russa,
Gogol' maps, si chiamavan quei viaggi, abbiamo cominciato con Pietroburgo, e
quelli che sono venuti a Pietroburgo mi hanno poi chiesto di farne uno uguale
anche a Mosca e io l'ho fatto e mi sono stupito che la maggior parte di loro,
Pietroburgo gli era piaciuta moltissimo, ma Mosca gli è piaciuta di più.
Pietroburgo è bellissima, una città imperiale, costruita perché tu la veda e dica
"È bellissima", Mosca, invece, ti vien da dire lo stesso "È
bellissima", ma non capisci il motivo, e allora forse ti sembra ancora più
bella. Uno dei posti in cui ho portato i partecipanti di Gogol' maps, a Mosca,
è un posto dove vado per piangere, il cimitero del monastero di Novodevic'e. Ci
vado per portare tre fiori sulla tomba del poeta su cui ho fatto la tesi, che
si chiama Velimir Chlebnikov e che è nato nel 1885 e è morto nel 1922. Tutte le
volte che sono lì, sulla tomba di Chlebnikov, mi torna in mente la prima poesia
di Chlebnikov che ho letto, nell'ottantanove, alla biblioteca Guanda di Parma:
"Quando stanno morendo, i cavalli respirano, Quando stanno morendo, le
erbe si seccano, Quando stanno morendo, i soli si bruciano, Quando stanno
morendo, gli uomini cantano delle canzoni". Al cimitero di Novodevic'e
sono sepolti molti altri scrittori, Nikolaj Gogol', Michail Bulgakov e Anton
Cechov, per esempio. Cechov, che è nato al sud, a Taganrog, sul mar d'Azov,
quando si è trasferito a Mosca, a 17 anni, ha detto "Io, per il resto
della mia vita, sarò un moscovita"; qui ha studiato e praticato la
medicina, qui ha cominciato a scrivere racconti. In uno di questi racconti, si
intitola Van'ka, c'è un ragazzo che, per Natale, si mette a scrivere al nonno
mentre il cielo, moscovita, "era tutto cosparso di stelle che brillavano,
allegre, e la Via Lattea si disegnava così chiaramente come se, prima delle
feste, l'avessero lavata e sfregata con la neve". Uno dei posti dove siamo
stati coi partecipanti a Gogol' Maps è la casa-museo Cechov, al numero 6 di via
Sadovaja-Kudrinskaja, dove, sulla porta, ho visto la targa "Anton Cechov,
dottore in medicina', e avevo appena letto la biografia di Cechov scritta da
Fausto Malcovati nella quale si racconta che, quando a Cechov "muoiono due
pazienti di tifo (moglie e figlia del pittore Janov, ndr) fa togliere dalla porta
la targa 'dottore in medicina': si vergogna della sua imperizia". In quel
libro ho scoperto che Cechov era nipote di un servo della gleba, e ho letto un
passo che racconta bene, secondo me, cosa voleva dire, essere discendenti di
servi della gleba, nella Russia di fine Ottocento: "Provate un po' ascrivere
la storia di un giovane, figlio di un servo della gleba, che è stato garzone di
bottega, cantore in chiesa, allievo di ginnasio, studente universitario, spesso
frustato, educato a venerare le gerarchie, a baciar la mano ai popi, a inchinarsi
alle idee altrui, a profondersi in ringraziamenti per ogni boccone di pane; di
un giovane che andava a dar ripetizioni senza galosce, s'azzuffava con i
compagni, pranzava con piacere dai parenti ricchi, era ipocrita con Dio e con
gli uomini senza nessun bisogno, solo perché consapevole della propria nullità.
Provate a raccontare come quel giovane sia riuscito a strizzare fuori, goccia a
goccia, il servo che ha in sé, e come destandosi un bel mattino, sente che
nelle sue vene non scorre più sangue di servo ma vero sangue di uomo
libero". A Mosca. Questa cosa, a Cechov è successa a Mosca, credo. C'è un altro
libro, che ho riletto quest'estate, Anton Cechov. Vita attraverso le lettere, a
cura di Natalia Gin-zburg, e una cosa che mi piace, di Cechov, è che i suoi amici
e i suoi parenti lo trattavan malissimo. Il fratello Aleksandr,
per dire, quando esce il primo libro di Anton gli scrive: "La Russia
sentirà parlare di te, Antosa. Muori presto, che ti piangeranno anche al di là
dal mare. Ma intanto, la gente il tuo libro lo compera molto
malvolentieri". E Tolstoj, che era un suo caro amico, e al quale i
racconti di Cechov piacevano moltissimo, non era molto attratto dal suo teatro:
"Sapete - gli dice una volta - io detesto Shakespeare, ma le vostre commedie
le trovo perfino peggio delle sue".
“StoriedallaRussia”. 2 “Non so se farmi censurare in
Russia come Puskin o no”: Nella storia della letteratura russa un
argomento non marginale è la censura. Il fondatore della letteratura russa
moderna, Aleksandr Puskin, aveva un censore speciale, lo zar Nicola Primo.
Puskin non poteva pubblicare niente che non fosse stato letto e approvato da
Nicola. E, siccome lui faceva circolare lo stesso le sue poesie, Nicola aveva
fatto istituire, dalla polizia segreta, un ufficio i cui funzionari avevano il
compito di controllare i movimenti di Puskin. Jurij Lotman, nella biografia che
ha dedicato a Puskin, si stupisce del fatto che questo ufficio è stato chiuso
anni dopo la morte di Puskin. Ci son stati dei funzionari del governo russo il
cui compito è stato, per anni, seguire un morto, cosa che fa venire in mente la
fine del racconto di Gogol' Il cappotto, quando il fantasma di Akakij Akakievic
ricompare a Pietroburgo e strappa i cappotti ai passanti e il capo della
polizia dà ai suoi uomini l'ordine di "catturare il morto vivo o
morto". Un secolo più tardi, quando il poeta Osip Mandel'stam muore in un
gulag, sua moglie, Nadezda, scrive: "Da noi si uccide per la poesia; a
conferma dell'eccezionale considerazione in cui la poesia è tenuta".
Effettivamente, la censura e la violenza dello Stato contro la letteratura e
contro la cultura in generale sono un indice del fatto che la letteratura e la
cultura, in generale, fanno paura, allo Stato, e quando, qualche giorno fa,
dalla casa editrice russa AST mi hanno fatto sapere che avevano quasi finito di
tradurre il mio romanzo su Anna Achmatova (Vi avverto che vivo per l'ultima
volta. Noi e Anna Achsnatova, pubblicato in Italia da Mondadori), ma che, per
pubblicarlo, avrebbero dovuto censurarlo, che non era una decisione loro ma che
la censura dipendeva dalle leggi in vigore in Russia, che loro avevano le mani
legate e speravano nella mia comprensione, io, devo dire, sono stato anche
contento, un po'. Perché quel libro lì l'ho scritto nel 2022, quando è
cominciata la guerra in Ucraina, e della guerra in Ucraina un po' si parla, nel
libro, e sapere che quel che penso io della guerra in Ucraina non è conforme
alla legislazione russa è una cosa che mi conforta, così come mi conforta e mi
lusinga la prospettiva di diventare, anch'io, un autore censurato dal governo
russo. Alcune delle censure me le hanno anticipate e mi sembrano stranissime.
Tutte le volte che nel romanzo compare la parola "Guerra", per
esempio, sarebbe sostituita con l'espressione "Operazione speciale".
Il secondo capitolo, che si intitola Guerra, loro propongono di intitolarlo
Tempi difficili. Che è una proposta così singolare. Una decina di giorni fa,
ero a Ragusa, a fare una lettura, dopo la lettura ci siamo trovati in cinque,
al tavolino di un bar, ho raccontato questa cosa, una persona che era lì al mio
tavolino, una scrittrice, ha detto: "Io non accetterei mai, mi sentirei
complice di Putin", Io le ho detto: "Guarda, a te non l'han chiesto,
il problema non si pone". Il problema si pone a me, e è un bel problema, e
la soluzione dipende dall'entità dei tagli, che dalla casa editrice russa si
sono impegnati a farmi sapere presto, e da un po' di altre cose sulle quali
bisognerà ragionare, a esserne capaci. Tempi difficili, per esempio, è un
bellissimo titolo, ma non è esattamente quello che si racconta poi nel
capitolo. Tempi difficili e difficilissimi sarebbe forse già meglio, ma
l'ideale sarebbe Guerra, se si potesse dire. Il problema è quello, che, in
Russia, la guerra non si può nominare. Bisognerà ragionare (a esserne capaci).
N.d.r. I due testi sopra riportati sono stati
scritti da Paolo Nori e pubblicati su “il Fatto Quotidiano” rispettivamente il
27 di agosto 2024 ed il 30 di giugno dello stesso anno.
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