"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 13 agosto 2024

Piccolegrandistorie. 89 Malcom Pagani: «Agosto è senso di colpa, assenza, rimpianto. Agosto è menefreghismo e allegria senza un perché. Agosto è un carnevale senza carri».

                            Sopra. Porto Torres (Sassari, 3 di luglio 2024).

ElachiamanoEstate”. 1“Agosto è una sceneggiatura” di Malcom Pagani, pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 10 di agosto 2024: Quando si ribellano anche gli elettrodomestici, come in un vecchio film di Stephen King, si torna all'essenziale. Il tecnico che mi guarda senza riuscire a nascondere il dubbio sull'origine del danno tiene a farmi sapere che sto comunque assistendo a un miracolo: «Mica ce l'ha rotta solo lei l'aria condizionata, sa?», Per convincerlo a fare un salto nella casa più calda di Roma ho impiegato due settimane. Ora è qui, valuta la temperatura e non sa esattamente come comportarsi. Il suo disagio è il mio. Però ci mette fantasia, ipotizza, suppone, agita le mani, non dà nulla per scontato. Potrebbero essere i fili invertiti dice, i tubi ossidati o addirittura, azzarda, una perdita di gas. Non so se ridere, apprezzare lo sforzo, abbracciarlo, smascherare il bluff, affrontarlo scriteriatamente sul terreno della tecnica pura o prenotare un albergo. Tenta di far partire le macchine una, due, tre volte. La luce verde lampeggia e illude. Poi diventa rossa, le bocche di plastica sollevano il ponte levatoio e io so, in un istante, che tornerò agli anni 80. Con l'odore dello spray anti-zanzare ad accompagnare ogni passo, le finestre spalancate, l'anguria nel frigo e le docce fredde in piena notte. Le chiamano notti tropicali, ma non so se ai tropici vantino questa orchestra di cicale e antifurti che accompagna le ore fino a quando la luce non ha la meglio sul buio. È agosto. Lo spazio in cui ogni gesto va meditato. Il luogo in cui ogni distrazione è fatale. La città è un set, nelle strade vuote spuntano cartelli stradali semoventi e nastri bianchi a recintare i parcheggi. Se parti per le vacanze e ambientano un film d'epoca nel tuo quartiere puoi dire addio alla tua auto. Vengono a rimuoverla guidatori insofferenti al sentimento, la issano su un camioncino giallo, la traducono in larghi spazi ai margini della città e anche questo è un segno. Agosto è più finzione che realtà, agosto è una sceneggiatura, agosto è un racconto di resistenza urbana in cui l'improbabile diventa protagonista. Più d'uno, come in Caro Diario, senza scandalo, va in giro in ciabatte. Ci si riconosce a vista. Vita di quartiere, di metropoli trasmutata in provincia, di spazi ridotti e conversazioni con il barista in cui l'unico premio è confessarsi che idea luminosa sia non essere in spiaggia con qualche altro milione di persone. Sudiamo. Non ci guardiamo negli occhi. Ci manca la convinzione per continuare. Ad agosto si mente, più che in altri periodi. Ad agosto il telefono non squilla mai e se squilla c'è da preoccuparsi. Dai familiari arrivano notizie lontane in cui il dramma si nasconde dietro il sipario della normalità: «Il cane» - pausa - «il cane è stato molto male, sai?», E giù una storia simile a quella del condizionatore, una storia piena di forse e di proiezioni immaginarie. «Ha mangiato qualcosa che non avrebbe dovuto, in campagna capita», argomentano. La campagna, come ogni cosa, ha i suoi lati pericolosi. Ma il cane è salvo e a me pare dicano che si è salvato nonostante non ci fossi. Agosto è senso di colpa, assenza, rimpianto. Agosto è menefreghismo e allegria senza un perché.  Agosto è un carnevale senza carri. Agosto corre e finisce in fretta.  Agosto è pieno di «avrei potuto».  Agosto, avrebbe scritto Antonio Delfini, è un mese per uomini non moderni. Agosto ti mette i conti sul tavolo e non basta far finta di non vedere. Agosto è un'oasi per respirare. Agosto è un passo di Tondelli: "Agosto è bello starsene a casa con la città vuota nessun rompiballe in giro, magari arrivi che senti la tua solitudine farsi pesante ma è un gioco diverso ed esser soli fa molto più male in mezzo alla gente". Agosto è tutto ciò che tra poche settimane non ci sarà più permesso d'essere.

ElachiamanoEstate”. 2 “Quasi quasi vado a Coccia di Morto” di Massimo Giannini, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 9 di agosto ultimo: Sono ancora indeciso sull’estate. Pencolo tra le ipotesi più suggestive. Un soggiorno sulle Dolomiti trentine, schivando i proiettili della Forestale incaricata dal fiero presidente della Provincia, Fugatti, di sterminare tutti gli orsi “cattivi” (cioè colpevoli di fare gli orsi, che osano cercare tra i boschi il cibo per sé e per i piccoli orsacchiotti). Un tuffo nelle chiare, fresche e dolci acque della costa tra Ansedonia e Orbetello, scansando giusto quelle 200 tonnellate di orate e ombrine lesse che galleggiano in superficie dopo la perfetta bollitura naturale a 34 gradi indotta dal global warming. Un Interrail sull’Alta Velocità Salviniana, bivaccando nelle confortevoli carrozze dei nostri Frecciarossa fermi sui binari per 60-120 minuti, con aria condizionata in avaria, in attesa della sacrosanta manutenzione di Ferragosto, periodo di traffico notoriamente fiacco. O una scelta di rottura, da ceto medio molto riflessivo: agosto a casa in modalità Fantozzi, ventilatore a palla, tv accesa h24, canottiera e mutande, frittatona di cipolle e birra gelata, rutto libero e tifo indiavolato, per Gimbo Tamberi alle Olimpiadi francesi o per Jenny e Tony alla 43ª replica di Temptation Island. Nell’attesa di sciogliere la riserva, mi alleno con una specie di Ritorno a Coccia di Morto. Festa serale di compleanno di una lontana parente, in uno stabilimento del litorale romano il cui nome scimmiotta Gotham City. Repertorio classico. Al buffet: frittini e rigatoni all’amatriciana. Al banco: il famoso barman, 100 chili di sapienza alcolica, bandana in testa e tatuaggi policromi. Sul palco: band di musica rigorosamente tricolore. In pista: varia e un po’ attempata umanità. Sulla spiaggia: coppiette in love e in coda per la foto iconica, dentro un grande cuore illuminato cui fa da sfondo il rudere della torre romana. Al camping adiacente: quattro file di roulotte, affiancate l’una all’altra. Famigliole che stazionano nelle piazzole, mangiando panzanelle sui tavoli pieghevoli. Un padre, torso nudo e asciugamano in spalla, strilla a un figlioletto, che non vuole andare a lavarsi ai bagni comuni insieme al fratellino: «Tomas, hai rotto er cazzo, io e Cristian annamo da soli, te t’arrangi…». Dalla semioscurità del camper echeggia la voce della madre: «A Giovà, e aspetta che mo’ ariva…». Pochi secondi, e il ragazzino esce caracollando. Me ne torno nella Capitale con l’immagine di quei tre che si allontanano in costume, ciabattando verso la doccia e la sera. Metto da parte le riflessioni colte sul carnage di Ventotene tra i Molino e i Mazzalupi. E, scusate, ma un’altra volta mi torna in mente Gaber: avete mai visto le spalle di un uomo che cammina davanti a voi? Sono le spalle comuni di un uomo qualsiasi. Ma si prova una sensazione simile alla tenerezza, c’è tutta la normalità umana, i piaceri di cui è fatta la sua esistenza, quello che io provo per quell’uomo è una comprensione diretta, senza ideologie sociali. Intelligenti, stupidi, che differenza fa? Tentativi di persone che, comunque, esistono. Quasi quasi vengo qui, in vacanza.

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