“
Cronachedell
Estateed
Altro”.
1 “Andavamo a Villa La Certosa”
di Filippo Ceccarelli: Fra i mille
enigmi dell'estate, irrilevanti per lo più, ma forse proprio per questo degni di
un tempo al tempo stesso fastoso, irrilevante e sgangherato, si propone anche quello
sul destino di Villa La Certosa e delle sue festose eruzioni. Sono anni in
realtà che si scrive e si legge di una vendita. Ma da quando Silvio Berlusconi
non c'è più, e i suoi figli hanno mostrato di voler mettere ordine nell'immenso
patrimonio, l'ipotesi ha acquistato verosimiglianza e sulla fantasmagorica
magione avrebbero piantato gli occhi ora il sultano del Brunei, pure avvistato
in Costa Smeralda, ora la super company che gestisce gli albergoni Four
Seasons, quanto al prezzo si ondeggia, con sospetta genericità, dai 300 ai 500
fischioni. Ma vatti a fidare, Ci vuole in effetti un bel coraggio a comprare
Villa La Certosa, acquistando in tal modo anche lo sfolgorio visionario e
vagamente allucinatorio che ha segnato qui, più che in qualsiasi altro luogo,
l'intera avventura berlusconiana: vita, ricchezza, miracoli e follie. Tanto per
cominciare le ville sono quattro o cinque più alcuni bungalow sparsi dentro un
enorme parco, oltre cento ettari di macchia mediterranea completi di cinghiali,
tartarugone ultracentenarie e forse anche cervi; un unicum di prati, scogli,
orti e terreni incolti che si getta sulla Costa Turchese contenendo in sé anche
aree sotterranee, bunker antinucleare e tunnel sottomarini con luci strobosco
piche dotati di reconditi attracchi di sicurezza tipo film di 007. Durante il
suo secondo governo, nel 2004, infastidito da invasori occasionali e incursioni
ecologiste effettuate anche via mare, il padrone di casa fece apporre
sull'intera dimora il Segreto di Stato, rendendola teoricamente inaccessibile
anche all'autorità giudiziaria. Sennonché proprio la cronaca si preoccupò di
dimostrare come Villa La Certosa - nome probabilmente inventato di sana pianta
non esistendo alcuna certosa da quelle parti - fosse già fin troppo aperta agli
imminenti sollazzi di amici, amiche e illustri ospiti stranieri. Ciò che del
resto apparve chiaro nel 2009, allorché giornali e siti di tutto il mondo
pubblicarono gli insidiosi ed eloquenti scatti di un tignosissimo fotografo
sardo, a nome Zappadu, che si era creato sicuri nascondigli nella boscaglia da
cui immortalò dolci ozi, sensuali docce e il nudo tuffo in piscina del satiro
Topolanek, protetto da militari armati e in tuta mimetica. Per il resto
l'eventuale compratore, emiro o magnate che sia, potrebbe trovarsi sul
groppone: il laghetto dei cigni («ma quando vogliamo farci il bagno» - chiarì
Berlusconi alle sue giovani amiche, una delle quali lo registrò - «li togliamo»),
poi l'anfiteatro posticcio, il finto nuraghe, i dolmen fasulli, 8 grandi
megaliti del vero meteorite gigante atterrato nella lontana Orissa (al momento
dell'impatto ci fu anche una vittima); quindi l'enorme balena di cemento con
schizzo· ni a comando, le sirene di pietra, la centaurona in moto, pure di pietra,
la serra delle farfalle perpetuamente rifornita di larve dal Brasile, oltre a
una romantica giostrina con cavalli e musica e un autoscontro da Luna Park
pensata per i nipotini del Cavaliere, ma che almeno in un'occasione fece la
gioia anche dei capogruppo di Forza Italia. Alla guida di una candida auto
elettrica da golf, spiegava compunto l'architetto Gamondi che aveva progettato
il tutto, il presidente impiegava non meno di tre ore per fare ammirare ai suoi
ospiti le principali e ulteriori meraviglie del parco: il "Museo di
Euforbia", ovvero una collezione di 2.500 cactus con sistema di
ventilazione ari· ciclo dell'aria, le 1.200 palme, i 500 ibiscus incorniciati
da serpenti· ne d'acqua per l'irrigazione, il labirinto delle camelie, un
agrumeto comprendente 26 varietà provenienti da tutto il pianeta, l'orto mediceo
con 180 specie di piante profumate officinali e annesso laboratorio ipogeo per
la lavorazione delle medesime. A Villa La Certosa, finché Lui era vivo,
esisteva anche una vera e pro· pria gelateria. «Tu vai lì», spiegò Dell'Utri,
«e ti servono tutto il gelato che vuoi. Gratis». Quest'ultima precisazione
sulla gratuità del gelato non faceva in realtà troppo onore al sentimento
d'ospitalità del Cava· liere, né del suo scomodo amico palermitano: ci mancava
giusto che per gustarsi un cono o una coppetta in casa del Munifico i suoi
ospiti fossero costretti a cacciare il portafoglio. In compenso, nei locali
del· la premiata gelateria presidenziale c'era pure un finto registratore di
cassa che faceva gli scontrini, finti anch'essi, e anch'essi qui invocati a
riprova di un'atmosfera di trasognata e fanciullesca innocenza. Ha detto una
volta il professor Cacciari che il Cavaliere rappresentava "una catastrofe
estetica", prima che politica, ammesso e non con· cesso che quella incredibile
dimora, stupefacente apoteosi del berlusconismo reale e applicato, potesse ieri
come oggi misurarsi con i criteri del bello. Per cui si respinge la tentazione
di qualsiasi schizzinosa disamina dello stile cafone o pacchiano; non solo
perché or· mai inutile, ma anche e soprattutto in quanto limitativa rispetto a
quel circo barocco per il quale sono stati via via scomodati Versailles,
Bomarzo, Walt Disney, Palladio, Neverland Ranch, il Vittoriale, l'hotel Caesar
Palace di Las Vegas e, a causa di arcani cosmici osservati dall'alto,
addirittura il tempio di Re Salomone. Trovalo dunque un miliardario all'altezza
di quel po' po' di baraccone che l'egotica sovranità di Silvione aveva ideato
come la massima calamita dello sguardo e della sorpresa. Trova qualcuno che
metta a reddito quell"'accessorio pertinenziale" - così definito nei
documenti di proprietà - che costituiva la meraviglia delle meraviglie di Villa
La Certosa: il vulcano che durante le feste, a comando del Cavaliere, dalla
sommità della collina con spaventoso frastuono emetteva una nuvola di vapore ad
alta pressione mentre nel buio il miraggio di una colata di lava con tanto di
lapilli rovinava lungo il pendio facendo crocchiare le rocce. La prima volta,
estate del 2006, i vicini di casa chiamarono i vigili del fuoco. Ora è spento,
forse l'impianto avrebbe anche bisogno di una revisione. Ma quale nuovo padrone
potrebbe mai ridargli vita?
“CronachedellEstateedAltro”. 2 “Tra decisivo e irrilevante” di Malcom Pagani: La luce si è fatta via via più violenta
e adesso, alle porte di mezzogiorno, nel mercato sciamano in pochi. Ci sono ragazzini
che aspettano le vacanze d'agosto e inseguono qualche capo a poco prezzo, signore
dall'età indefinibile che cercano riparo dal sole chiedendo ribassi sulle
tovaglie, avventori abituali che trattano con sguardi, cifre e mezze parole:
una lingua di mezzo che è la summa del compromesso. Poi ci sono i maniaci come
me, i rabdomanti del segnale stradale, della schedina del Totocalcio del '59,
della tabella della bibita o del manifesto appeso in un cinema di retroguardia
che scartabellano poster e locandine cinematografiche nella speranza del colpo
di fortuna. Dal mazzo delle carte esce Flirt, un film del 1983, l'unico girato
da Roberto Russo. Monica Vitti, la sua compagna, è in primo piano e mette un
dito davanti alla bocca di Jean-Luc Bideau. Alla loro sinistra, in alto, due
cuscini prendono aria da un davanzale e omaggiano Magritte. Sul progressivo
allontanamento di chi amava dal resto del mondo, sul suo segreto, su ciò che
non si può e soprattutto non si deve spiegare, per due decenni, Russo ha tenuto
chiuse le finestre. Lo ha fatto da gentiluomo, da innamorato, da custode di una
morale che non conosce complesso e non cova rancore. Quando ero bambino e gli
adulti nominavano Monica Vitti, il nome di Roberto Russo veniva sempre dopo il
suo. Si erano conosciuti su un set, lui aveva capito subito che certi tuffi
capitano una volta nella vita e lei aveva deciso di nuotarci insieme per mezzo
secolo. In quelle conversazioni però, cosa sentissero l'uno per l'altro,
ammesso che qualcuno lo sapesse, non contava. Si nominava Russo e subito ci si
ritrovava in tribunale. Chi lo accusava di delitti maupassantiani: «Si è
sistemato», chi lo diffamava per puro esercizio classista: «Batteva il ciak, si
è ritrovato a fare il regista», chi ne parlava senza conoscerlo. C'era in quei
giudizi la frustrazione che provoca ogni amore felice, la consapevolezza rabbiosa
che Monica e Roberto stavano bene con tutti, ma non avevano bisogno di nessuno.
Russo ascoltava, sapeva e capiva tutto. Conosceva il copione, ma non studiava
le battute. Sopportò per un tempo lunghissimo ogni tipo di cattiveria gratuita
opponendo alla volgarità la grazia di chi sa distinguere il decisivo e
l'irrilevante. Non proferì parola, non diede mai un'intervista, non soddisfò la
curiosità degli altri. Attraversò l'amore per Monica Vitti alla maniera di William
Blake: un mistero che gonfia le vele nel mare della discrezione, ma se cede
alla tentazione di raccontarsi scopre che non c'è più vento per navigare né destinazione
da raggiungere. Roberto Russo aveva una mappa precisa. E una baia, tutta sua,
da dividere con la persona giusta. C'era una memoria comune anche quando la
memoria somigliava a una marea e intorno a quella memoria, Russo e Vitti,
avevano gettato l'ancora. Fu una storia straordinaria perché la promessa di restare
vicini non fu mai obbligo, ma desiderio. Di Roberto Russo e Monica Vitti chi mi
vende il manifesto non sa nulla. Guarda l'anno, dice una cifra. È un accordo
facile, sterile, quasi deludente. Gli chiedo se sappia cosa sto comprando.
Ricorda vagamente lei, non ha mai sentito nominare lui. A Roberto Russo, nemico
dell'ego, sarebbe stato benissimo. Litigava, faceva pace, costruiva, ricostruiva,
aveva paura, si rassicurava, piangeva, rideva e ricominciava sempre da Monica. L'aveva
incontrata sul set, all'inizio degli anni Settanta. Anche nella finzione, lei
pareva avere le idee chiare: «Per me donare è la prova dell'amore». Scrissero
una sceneggiatura che smentì tutti quelli che avevano previsto un finale
diverso. Nessuno ha mai chiesto scusa a Roberto Russo e nessuno lo farà. Flirt
era un bel film, Monica e Roberto non ne parlavano mai.
N.d.r. Le “CronachedellEstateedAltro” sono state
riportate sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 3 di agosto
2024.
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