“
Quel
Mondodi
Tahar
Ben
Jelloun”.
Ho preso quindi la bicicletta, e
sono andato alla ricerca dei bambini. Un pastore mi indica un edificio,
all'orizzonte. Non ci avevo mai fatto caso. Mi dice che gli piacerebbe andare
in quell'edificio bianco, ma non trova nessuno che gli controlli gli animali.
"Cos'è quell'edificio?". "Un posto dove si guadagnano dei
soldi". "E come?". "Non lo so. Tutti quelli che ci vanno,
escono con dei soldi. Io non ho mai avuto denaro. Anche le capre sono attirate
da quell'edificio bianco. Un giorno, anch'io partirò al mattino e tornerò la
sera con dei soldi. Credo che a quel punto non tornerò qui, andrò in città. Lì,
col denaro si ottiene tutto. Qui, abbiamo solo vento e polvere. Passo il mio
tempo contando il bestiame. Dò un nome a ogni capra. La più grossa, la chiamo
'Palazzo Bianco'. Peccato che sia nera!". La porta dell'edificio è chiusa.
La forzo. Un guardiano mi minaccia con un bastone. Faccio un passo indietro e
aspetto. Gli offro delle sigarette e a quel punto mi apre. Entro in un
corridoio e mi trovo di fronte a una sala in cui un centinaio di ragazzi stanno
cucendo pezzi di cuoio, bianco e nero. In fondo, una dozzina di ragazze molto
giovani lavora con le macchine da cucire. I miei allievi fanno palloni da
calcio o scarpe. Sulle pareti sono appesi dei manifesti pubblicitari in cui c'è
un campione sportivo negro che sta per iniziare una corsa. Il simbolo della
marca assomiglia a un grande accento grave bianco su un fondo nero. Cosa
rappresenta questo accento grave? Un uccello senza testa, un piede strappato,
un'onda o una semplice freccia disegnata male? Non lo so. Leggo: "Le
scarpe da pallacanestro del terzo millennio", "Lo spirito della vittoria".
Quale vittoria? Quella che fa lavorare i bambini, quella che li allontana dalla
scuola per poterli sfruttare visto che sono poveri e non possono difendersi?
Con la testa bassa, lavorano in silenzio e senza perdere tempo. Gli oggetti
confezionati vengono controllati da un capo bianco, occidentale, quindi messi
dentro scatole di cartone. Mi avvicino. Lui si stupisce, poi mi dice:
"Immagino che lei sia il maestro". "I tuoi studenti preferiscono
la mia fabbrica alla tua scuola. Almeno qui guadagnano". "Ma sono dei
bambini, dei minorenni, lei non ha il diritto di farli lavorare".
"Non li obbligo io. Del resto, è qui tutta la tua classe. Potrai tenere le
lezioni quando avrai dato loro da mangiare. Perché io, qui, li faccio anche
mangiare. In America, si lavora con le macchine. Qui, si cuce ancora a mano. È
roba buona, questa. Si fa notare". "La denuncerò. Le ricordo
l'articolo 4 della Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo: 'Nessuno
potrà essere tenuto in condizione di schiavitù e di servitù; la schiavitù e la
tratta degli schiavi saranno proibite in qualsiasi forma'. Ha capito? 'In
qualsiasi forma'. Il lavoro minorile è una forma di schiavitù. È punito dalla
legge". "O la smetti o ti spacco la testa con questo bastone. Qui non
abbiamo bisogno di persone che ci diano lezioni di morale. Chiedigli di
seguirti. Vedrai che nemmeno un ragazzino lascerà il suo posto. È meglio che tu
te ne vada". Gli allievi non osano guardarmi in faccia. Forse per paura,
forse per vergogna. Cerco di rivolgermi a loro, ma il capo occidentale mi
spinge verso la porta. Mi ritrovo fuori senza sapere cosa fare, solo con la mia
rabbia. Mi ripeto: "Far lavorare i bambini anziché lasciarli andare a
scuola, che cattiveria! È una forma di sfruttamento, di schiavitù." Il
guardiano mi osserva, un po' imbarazzato. "Lì dentro, ho due bambini. Dopo
la stagione, sono sicuro che torneranno alla tua scuola. Per il momento,
portano a casa un po' di soldi." Tornando al villaggio, racconto tutto a
Hadj Baba, che scuote la testa e mi dice: "Non sei più forte del vento, né
più crudele del cielo. La terra ha sete e il bestiame è in pessimo stato. Un
dollaro al giorno, per ogni bambino: quasi nulla. La scuola è lì, non si
sposterà. Quando andrà meglio, riprenderai le tue lezioni. Il sapere può
attendere, la pancia degli uomini, no. Sai, i poveri non li ama nessuno. È
così, non c'è niente da fare. Vedi, potrai prendertela col cielo, con Dio...
Hai ragione, sarebbe meglio la scuola della fabbrica; ma non abbiamo scelta.
Ah! Imparare la storia, la geografia, la matematica e le scienze, la tecnica e
la medicina... È importante, ma per noi, in questo momento, è un lusso. Siamo
abbandonati, crepiamo, viviamo di ciò che la gente di città vuole donarci. La
scuola sarà per un'altra volta, abbi pazienza, resta con noi; sono sicuro che
troverai una soluzione." Alla fine della giornata, sono tornato a scuola;
ho guardato le stuoie per terra, le pareti screpolate, ho sentito le urla dei
bambini e poi il silenzio. Cosa fare in una classe vuota? Non ho nessuno con
cui parlare. Ho pensato che avrei potuto aspettare il ritorno dei bambini. Una
settimana. Un mese. Forse più. Aspettare leggendo. Andare in città a cercare le
sedie e i tavoli. Ma non ho denaro. Ho raccolto le mie cose, il vocabolario, i
libri. Ho fatto un po' d'ordine nella stanza e sono uscito senza voltarmi
indietro. Ho preso la bicicletta per ritornare in città. Ho ripensato a quello
che diceva il mio maestro, il saggio. La miseria non è una fatalità, qualcosa
di inevitabile. Non sta scritto da nessuna parte che questo villaggio debba
continuare ad essere maledetto, senza ricchezza, senz'acqua, senza scuola e
senza avvenire. Bisogna combattere, non bisogna incrociare le braccia. Ma io
qui sono il solo a reagire. Gli altri, soprattutto i vecchi, sono pigri e passano
il tempo a parlare per non dirsi nulla. Si direbbe che tutti siano stati punti
dalla mosca tze-tze. No, la mosca tze-tze non esiste. Ma un insetto strano deve
girare intorno a questi uomini, che non si muovono e aspettano che la manna
scenda dal cielo. Per strada, ho incontrato alcuni studenti. Stranamente, erano
calmi e disciplinati. Parlavano tra di loro a voce bassa. Appena mi hanno
visto, mi sono venuti incontro impedendomi di proseguire. Sul loro viso, mi è
sembrato di leggere una preghiera: "Resta!" Credo anche di aver
sentito qualcosa come: "Abbiamo bisogno di te, torneremo presto."
Prima devo avere fatto un passo indietro, poi due, spinto da tutti questi
bambini stretti l'uno contro l'altro. Ho indietreggiato, commosso. Erano cambiati.
Forse la mia visita alla fabbrica li aveva fatti riflettere. Il fatto che non
vengano a scuola non significa che non siano intelligenti. Qualche giorno dopo,
il pastore bussa alla mia porta. Mi dice: "Mio padre non è più malato; ha
ripreso il suo gregge, quindi io tomo a scuola." "Non hai più voglia
di andare alla fabbrica?". "No, ci ho pensato. Ho voglia di imparare
a leggere, a scrivere, a contare, a guidare il camion, a conoscere il nome
delle stelle, a fare molte cose”. "Ma non potrò aprire la scuola per un
solo ragazzo." "Non sarò solo. Ci saranno anche Dialo, quello che ha
un braccio solo, la fabbrica non l'ha voluto; Mah, quello che ha un occhio
distrutto dalla polvere e che non si è nemmeno presentato all'incontro per
l'assunzione; e Souleymane, quello che il capo ha mandato via dalla fabbrica
perché non era abbastanza veloce; e ci sarà Felix, quello che non parla con
nessuno e gioca con gli scorpioni, i suoi genitori hanno un frutteto dall'altra
parte della collina. Altri due bambini arriveranno dall'oasi, perché hanno
sentito parlare della nostra scuola e preferiscono venire qui; e poi ci sarà
Modibo, quel bambino piccolo e grasso a cui la scuola piace, e la sorella
gemella Aisha: non si lasciano mai". Ecco, siamo abbastanza per fare una
piccola classe... aspettando. (Tratto da
“La scuola o la scarpa” – Editore Bompiani, 2000 – di Tahar Ben
Jelloun).
“Ho visto
bimbi con due proiettili in pieno torace”, intervista di Alessio Marri al
chirurgo Mark Perlmutter (ebreo-americano) pubblicata su “il Fatto Quotidiano”
del 21 di agosto 2024: “Il 90% arrivavano al pronto soccorso dove
ho prestato servizio erano bambini, 1'80% dei pazienti che ho portato in sala
operatoria per ferite acute erano bambini. Ho trovato proiettili di cecchini
conficca-ti nel loro petto... In alcuni casi sono stati colpiti due volte,
entrambi al centro del petto e in altri casi al lato della testa. Israele si
vanta di avere i migliori cecchini al mondo. Tiratori così abili non colpiscono
per errore un bambino piccolo due volte. (…).
Il massacro è accuratamente incentrato su bambini, operatori sanitari e
giornalisti (…) ovvero i cittadini più vulnerabili tra gli innocenti, chi può
prendersi cura di loro, e chi può denunciare al mondo questo deliberato eccidio
di massa". La guerra a Gaza è una legittima risposta alla strage del 7
ottobre? “Ciò che Hamas ha fatto il 7 ottobre è terribile. Ma per me Israele
sta compiendo un genocidio. Con l'uso sistematico delle bombe a frammentazione
su aree prettamente civili. Lo scopo di questa guerra è uccidere la
cittadinanza palestinese, con il pretesto di colpire Hamas. I cittadini
palestinesi non sono danni collaterali sfortunati di questa guerra, ma sono il
bersaglio principale della guerra. Perché altrimenti Israele sgancerebbe bombe
bunker buster da duemila libbre su case e tendopoli? Perché concentrare in
maniera sistematica i bombardamenti all'ora della preghiera serale, quando il
cittadino comune è radunato in massa, se non per aumentare l'efficacia letale
indiscriminata di un attacco? Sono stati distrutti il 100% dei musei, scuole,
università, ogni ospedale, sistemi di stoccaggio e distribuzione alimentare,
rete elettrica, impianti di trattamento delle acque reflue, impianti di
purificazione dell'acqua. Tutti obiettivi non militari. Perché negare quasi il
100% dell'assistenza sanitaria e degli aiuti alimentari, tra cui cibi
deperibili e forniture mediche salvavita a una popolazione affamata? Perché
negare l'ingresso o assassinare giornalisti indipendenti se non per coprire
queste atrocità?”.
L'Onu ha denunciato anche la strage degli
operatori umanitari a Gaza: oltre duecento vittime... “Ho visto migliaia di
camion fermi di Oxfam, World Central Kitchen, Croce Rossa, Mezzaluna Rossa,
Unhcr, Care, Feed the Children, e molti altri ancora. Altri trasportavano
patate, verdure, sacchi di farina con il marchio "Un" sul lato,
cisterne d'acqua, altri generi di prima necessità. Questo mentre il Valico di
Rafah era ancora aperto. Ma gli israeliani negavano l'accesso. E quando i
veicoli erano autorizzati, sono stati comunque deliberatamente bersagliati
dall'Idf, come i tre furgoni della World Central Kitchen inseguiti e colpiti da
un drone che ha ucciso i 7 operatori”.
Il sistema sanitario reggerà? “No, perché la
distruzione totale del sistema sanitario è uno degli obiettivi dell'Idf. Non si
doveva chiudere nessun ospedale! Avrebbero potuto occuparli, valutando ogni
eventuale legame con Hamas rispettando la Convenzione di Ginevra. Invece,
scelgono, di bruciare gli ospedali e torturare gli operatori sanitari: ho
assistito personalmente un infermiere colpito ad una gamba in sala operatoria,
arrestato e torturato per 45 giorni”.
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