"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 17 agosto 2024

MadeinItaly. 30 Lucrezia Lante della Rovere (a proposito del soggetto): «Disinvoltissimo figlio di puttana».


“Megalò, re del Coni: buoni uffici (e natali) e ottime cerimonie”, testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 15 di agosto 2024: Giovanni Malagò, re del Coni, principe dell’Aniene, visconte di Roma Nord, marchese di Sabaudia, cavaliere di (quasi) ogni fanciulla, purché alta di gamma e in edizione limitata, è inconsolabile. Anche se lo è con massima gentilezza verso il carissimo ministro dello Sport, l’invidioso Andrea Abodi che vorrebbe sgomberarlo dal suo trono. Lui replica: “Vedremo”. Ha appena indossato tutte e 40 le medaglie che i Giochi di Parigi hanno coniato per lui, e a dirla tutta quella luccicanza gli piace, ma nun je basta. E neppure troppo si cura che tutti gli specchi in circolazione si inchinino al suo passaggio: da quelli più preziosi del Quirinale, fino a quelli maneggiati da tutte le tifoserie, financo quella più popolana e impopolare dei giornalisti che si mangia con gli occhi la sua storia, le sue amicizie, le sue pupe. Ma specialmente le sue automobili, quelle del suo premiato Autosalone Samocar, che da mezzo secolo spaccia Maserati e Ferrari come fossero sigarette in tabaccheria, ma non lesina su qualche Mercedes gettata in prestito ai poveri giornalisti, basta chiedere. Giovanni è al terzo mandato di presidente Coni, un bagaglio che vale intorno ai 400 milioni di euro e altrettanta gloria. Ora vorrebbe il quarto, anche se la legge lo vieta. Embè? È grato alla politica (di destra, di centro, di sinistra) e alle federazioni tutte che gli hanno dato fiducia in quel lontano 18 febbraio 2013. Ci mancherebbe. Ma siccome è stato il più bravo, e persino il più bello, sarebbe imperdonabile se oggi, nell’ora e nell’oro del rendiconto, diventassero ostili alla sua quarta incoronazione. E pressanti nella pretesa di imporre ai comandi ultrasonici del suo cockpit sportivo – posizionato al piano nobile del Palazzo H del Foro Italico – un qualunque Luca Zaia, grande governatore, per carità, “un amico”, ma contadino nell’anima, per non dire nel gusto. Quello di Malagò è di prima classe, non si discute. Addestrato in giovinezza nel jet-set degli attici e del Jackie O’, la discoteca, sulle piste di Cortina, o a correre sui motoscafi Itama tra gli scogli del Circeo, in compagnia di Carlo ed Enrico Vanzina, “i miei due fratelli” che prendevano appunti per le loro future epopee al sapore di sale. E poi levigato da molte carriere, molti soldi, molte fidanzate presunte, come Monica Bellucci e Carla Bruni, Valeria Marini e Martina Colombari, fino alla Regina dell’acqua, Federica Pellegrini, “per carità, solo una cara amica”. Successi femminili agevolati da una ginnastica di relazioni maschili esercitata sui campi da tennis e di calcetto, tra i triclini della Tribuna Monte Mario, e naturalmente tra i velluti del Reale Circolo Aniene, il più esclusivo del placido Tevere, dove si fanno affari e idromassaggi, regno di costruttori come i Salini e i Caltagirone, banchieri come Luigi Abete, imprenditori come Tronchetti Provera e gli Angelucci, ex sindaci come Walter Veltroni. Ma specialmente il regno di Gianni Letta e per un po’ anche di quel Massimo Bochicchio, il finanziere-imbroglione, che si è fregato tra i 400 e i 600 milioni di euro, rastrellati ai più ricchi e ai più gonzi, promettendo guadagni facilissimi e sempre futuri. Non a Malagò, naturalmente, entrato e uscito dall’inchiesta, dicendo: “Era solo un amico”. Lui le favolose percentuali sulla vita se l’è ritrovate dalla nascita, dal 13 febbraio 1959, nipote del ministro democristiano Pietro Campilli e del Governatore di Bankitalia Donato Menichella, figlio del migliore venditore d’auto con esclusiva Bmw, mamma di ricca famiglia cubana, scuole da primo della classe, con qualche ombra sulla laurea in Economia e Commercio, per una brutta storia di esami falsificati da un cattivo bidello, mentre i rampolli coinvolti, tutti innocenti per carità. Ombra cancellata vent’anni dopo con i tre esami contestati, rifatti all’Università di Siena e una laurea nuova di zecca. Proprio com’erano nuovi (e addirittura non previsti) i nove abusi edilizi contestati nella sua vasta villa sulle dune di Sabaudia, dove da una ventina di estati, Giovanni ospita il mitologico Francesco Totti, le atlete più belle, le attrici e i registi più famosi, compreso il piccolo Peppuccio Tornatore che lì si scottò, abbagliato dai raggi della Bellucci. Con il suo migliore amico, Luca Cordero di Montezemolo, ha condiviso, oltre a molti pacchetti azionari, anche l’incombenza di arredare le ore liete dell’Avvocato Giovanni Agnelli, che appena libero dalle fatiche dello sci d’alta quota, da loro si scapicollava, a curarsi la noia e in fondo anche la solitudine, beandosi di quelle belle bande femminili che Giovanni facilmente assemblava. Per fama, se non addirittura per naturale diritto di playboy, essendo atletico nel gioco e nel fisico, 193 centimetri di altezza, elegantissimo, dalla zazzera un tempo sale e pepe, fino alle scarpe inglesi, passando per il mezzo sorriso, che Lucrezia Lante della Rovere, sua seconda moglie di gioventù, definisce nell’autobiografia, da “disinvoltissimo figlio di puttana”. Giudizio che lui considera un’esagerazione, stimandosi al contrario un uomo accogliente e generoso. Preciso nei doveri di padre e in quelli degli affari, nessun pasticcio contabile nei divorzi: alle sue ex una casa e una tata ciascuna, più qualche riunione familiare alle feste comandate, magari a Cortina, lui a capotavola con un mezzo cubano acceso a godersi l’armonia della sua succession. Nemico del disordine, gira con uno staff munito di taccuini, tablet, telefonini trillanti, dai tempi in cui governò i Mondiali di Nuoto del 1990, fino al litigio (memorabile) con Virgina Raggi sindaca, che cancellò il progetto delle Olimpiadi a Roma, anno 2016, secondo lui “un delitto” senza rimedio. E da dieci anni per scalare con puntiglio tutti gli appuntamenti di giornata, governare le 48 Federazioni nazionali, le 15 Discipline associate, i 14 Enti di Promozione sportiva, e naturalmente i 14 milioni di “amici” tesserati. Per intero lo sport nazionale, tranne il labirinto del Calcio con i suoi presidenti di serie A, “tutti dei delinquenti veri”, come disse in una conversazione privata, riportata dai giornali e smentita con il consueto aplomb del “sono tutti cari amici”. I nemici si fanno avanti adesso che il suo regno risplende. La destra non ama interferenze. È affamata di poltrone e Abodi agirà, sventolando il cartellino rosso. Renzi e il Pd protesteranno. Il Quirinale pur festeggiandolo non interferirà. Lui troverà altre mete. Non per nulla s’è battezzato con affetto “Megalò”, cioè ammalato di quel narcisismo che gli psicologi dell’infanzia giudicano sempre illimitato, quanto la superficie dell’acqua che lo riflette. Nuoterà. Non affonderà.

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