“Megalò, re
del Coni: buoni uffici (e natali) e ottime cerimonie”, testo di Pino
Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 15 di agosto 2024: Giovanni
Malagò, re del Coni, principe dell’Aniene, visconte di Roma Nord, marchese di
Sabaudia, cavaliere di (quasi) ogni fanciulla, purché alta di gamma e in
edizione limitata, è inconsolabile. Anche se lo è con massima gentilezza verso
il carissimo ministro dello Sport, l’invidioso Andrea Abodi che vorrebbe
sgomberarlo dal suo trono. Lui replica: “Vedremo”. Ha appena indossato tutte e
40 le medaglie che i Giochi di Parigi hanno coniato per lui, e a dirla tutta
quella luccicanza gli piace, ma nun je basta. E neppure troppo si cura che
tutti gli specchi in circolazione si inchinino al suo passaggio: da quelli più
preziosi del Quirinale, fino a quelli maneggiati da tutte le tifoserie, financo
quella più popolana e impopolare dei giornalisti che si mangia con gli occhi la
sua storia, le sue amicizie, le sue pupe. Ma specialmente le sue automobili,
quelle del suo premiato Autosalone Samocar, che da mezzo secolo spaccia
Maserati e Ferrari come fossero sigarette in tabaccheria, ma non lesina su
qualche Mercedes gettata in prestito ai poveri giornalisti, basta chiedere. Giovanni
è al terzo mandato di presidente Coni, un bagaglio che vale intorno ai 400
milioni di euro e altrettanta gloria. Ora vorrebbe il quarto, anche se la legge
lo vieta. Embè? È grato alla politica (di destra, di centro, di sinistra) e
alle federazioni tutte che gli hanno dato fiducia in quel lontano 18 febbraio
2013. Ci mancherebbe. Ma siccome è stato il più bravo, e persino il più bello,
sarebbe imperdonabile se oggi, nell’ora e nell’oro del rendiconto, diventassero
ostili alla sua quarta incoronazione. E pressanti nella pretesa di imporre ai
comandi ultrasonici del suo cockpit sportivo – posizionato al piano nobile del
Palazzo H del Foro Italico – un qualunque Luca Zaia, grande governatore, per
carità, “un amico”, ma contadino nell’anima, per non dire nel gusto. Quello di
Malagò è di prima classe, non si discute. Addestrato in giovinezza nel jet-set
degli attici e del Jackie O’, la discoteca, sulle piste di Cortina, o a correre
sui motoscafi Itama tra gli scogli del Circeo, in compagnia di Carlo ed Enrico
Vanzina, “i miei due fratelli” che prendevano appunti per le loro future epopee
al sapore di sale. E poi levigato da molte carriere, molti soldi, molte
fidanzate presunte, come Monica Bellucci e Carla Bruni, Valeria Marini e
Martina Colombari, fino alla Regina dell’acqua, Federica Pellegrini, “per
carità, solo una cara amica”. Successi femminili agevolati da una ginnastica di
relazioni maschili esercitata sui campi da tennis e di calcetto, tra i triclini
della Tribuna Monte Mario, e naturalmente tra i velluti del Reale Circolo
Aniene, il più esclusivo del placido Tevere, dove si fanno affari e
idromassaggi, regno di costruttori come i Salini e i Caltagirone, banchieri
come Luigi Abete, imprenditori come Tronchetti Provera e gli Angelucci, ex
sindaci come Walter Veltroni. Ma specialmente il regno di Gianni Letta e per un
po’ anche di quel Massimo Bochicchio, il finanziere-imbroglione, che si è
fregato tra i 400 e i 600 milioni di euro, rastrellati ai più ricchi e ai più
gonzi, promettendo guadagni facilissimi e sempre futuri. Non a Malagò,
naturalmente, entrato e uscito dall’inchiesta, dicendo: “Era solo un amico”. Lui
le favolose percentuali sulla vita se l’è ritrovate dalla nascita, dal 13
febbraio 1959, nipote del ministro democristiano Pietro Campilli e del
Governatore di Bankitalia Donato Menichella, figlio del migliore venditore
d’auto con esclusiva Bmw, mamma di ricca famiglia cubana, scuole da primo della
classe, con qualche ombra sulla laurea in Economia e Commercio, per una brutta
storia di esami falsificati da un cattivo bidello, mentre i rampolli coinvolti,
tutti innocenti per carità. Ombra cancellata vent’anni dopo con i tre esami
contestati, rifatti all’Università di Siena e una laurea nuova di zecca.
Proprio com’erano nuovi (e addirittura non previsti) i nove abusi edilizi
contestati nella sua vasta villa sulle dune di Sabaudia, dove da una ventina di
estati, Giovanni ospita il mitologico Francesco Totti, le atlete più belle, le
attrici e i registi più famosi, compreso il piccolo Peppuccio Tornatore che lì si
scottò, abbagliato dai raggi della Bellucci. Con il suo migliore amico, Luca
Cordero di Montezemolo, ha condiviso, oltre a molti pacchetti azionari, anche
l’incombenza di arredare le ore liete dell’Avvocato Giovanni Agnelli, che
appena libero dalle fatiche dello sci d’alta quota, da loro si scapicollava, a
curarsi la noia e in fondo anche la solitudine, beandosi di quelle belle bande
femminili che Giovanni facilmente assemblava. Per fama, se non addirittura per
naturale diritto di playboy, essendo atletico nel gioco e nel fisico, 193
centimetri di altezza, elegantissimo, dalla zazzera un tempo sale e pepe, fino
alle scarpe inglesi, passando per il mezzo sorriso, che Lucrezia Lante della
Rovere, sua seconda moglie di gioventù, definisce nell’autobiografia, da
“disinvoltissimo figlio di puttana”. Giudizio che lui considera
un’esagerazione, stimandosi al contrario un uomo accogliente e generoso.
Preciso nei doveri di padre e in quelli degli affari, nessun pasticcio
contabile nei divorzi: alle sue ex una casa e una tata ciascuna, più qualche
riunione familiare alle feste comandate, magari a Cortina, lui a capotavola con
un mezzo cubano acceso a godersi l’armonia della sua succession. Nemico del
disordine, gira con uno staff munito di taccuini, tablet, telefonini trillanti,
dai tempi in cui governò i Mondiali di Nuoto del 1990, fino al litigio
(memorabile) con Virgina Raggi sindaca, che cancellò il progetto delle
Olimpiadi a Roma, anno 2016, secondo lui “un delitto” senza rimedio. E da dieci
anni per scalare con puntiglio tutti gli appuntamenti di giornata, governare le
48 Federazioni nazionali, le 15 Discipline associate, i 14 Enti di Promozione
sportiva, e naturalmente i 14 milioni di “amici” tesserati. Per intero lo sport
nazionale, tranne il labirinto del Calcio con i suoi presidenti di serie A,
“tutti dei delinquenti veri”, come disse in una conversazione privata,
riportata dai giornali e smentita con il consueto aplomb del “sono tutti cari
amici”. I nemici si fanno avanti adesso che il suo regno risplende. La destra
non ama interferenze. È affamata di poltrone e Abodi agirà, sventolando il
cartellino rosso. Renzi e il Pd protesteranno. Il Quirinale pur festeggiandolo
non interferirà. Lui troverà altre mete. Non per nulla s’è battezzato con
affetto “Megalò”, cioè ammalato di quel narcisismo che gli psicologi
dell’infanzia giudicano sempre illimitato, quanto la superficie dell’acqua che
lo riflette. Nuoterà. Non affonderà.
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