"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 28 agosto 2024

Lamemoriadeigiornipassati. 98 Percival Everett: «Leggere è la cosa più sovversiva da fare. I regimi fascisti non vogliono che la gente legga: perdono il controllo di quel che si pensa».


“Siamo ancora schiavi”, titolo della intervista di Anna Lombardi a Percival Everett – afro-americano, scrittore (in uscita l’ultima Sua opera “James”, “La nave di Teseo” editrice, pagg. 336, euro 20) professore presso la “University of Southern” della California – pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 23 di agosto 2024: «Stereotipi. L’America ha creato le sue divisioni anche incasellando gli esseri umani in stereotipi. Fa parte della disumanizzazione di chi non vuoi riconoscere come pari. Iniziò con gli schiavi: descritti come sciocchi, ignoranti, superstiziosi, paurosi. Naturalmente, non era così. C’erano menti fini. Penso a figure come François-Dominique Toussaint Louverture, che fu stratega e realizzatore della rivoluzione di Haiti. (…). Il linguaggio è la prima cosa sottratta via agli oppressi: gli schiavi, i nativi, i popoli sottomessi. Penso a come di recente si sia forzata la fusione di due concetti diversi come antisemitismo e antisionismo, di fatto impedendo ogni conversazione sulla Palestina. Per questo leggere è la cosa più sovversiva da fare. Nessuno sa cosa significa per te un certo libro, come lo processa la tua mente, dove ti porta. È il motivo per cui i regimi fascisti non vogliono che la gente legga: perdono il controllo di quel che si pensa».

James, oltre a leggere, scrive. «Scrivendo si auto-inventa, si libera degli stereotipi. Dà voce a quel che pensa del mondo, dell’America, della guerra, del razzismo. Sorprende perché è colto: ma deve nasconderlo ai bianchi con un linguaggio inventato, da analfabeta. Dialoga coi filosofi che ha studiato di nascosto: Rousseau, Voltaire, Locke. È saggio. È un uomo. (…). Gli stereotipi sui neri in America persistono. Sono gli stessi di sempre. D’altronde non è passato tanto tempo: la mia bisnonna era una schiava. Certo, la mia esperienza di afroamericano è diversa da quella, stereotipata appunto, del bullo. Sono figlio, fratello, nipote di medici. Ma se vengo in auto all’appuntamento con una giornalista bianca in un hotel di Hollywood e mentre guido mi ferma la polizia, pure se sono uno scrittore di rispettabile successo, rischio non diversamente da come avrebbe rischiato James ieri o un qualunque ragazzino afroamericano oggi. Sono nero e non posso dimenticarmelo mai. Ho dovuto insegnarlo anche ai miei figli».

Donald Trump accusa la rivale Kamala Harris di appropriazione culturale: “Era indiana, ora è nera”… «L’America è mista: multirazziale, meticcia, mezzosangue, come vuoi chiamarla. È la fascia demografica in più rapida crescita. Trump è evidentemente un razzista, perché non si fa una ragione del fatto che lei poteva dirsi altro vista la sfumatura più chiara della sua pelle e invece sceglie la sua radice nera».

Harris viene dalla California, dove lei vive. Le piace? «È intelligente, colta, determinata. E la scelta di Walz come vice è ottima. Insieme sono molto efficaci. Ho però apprezzato la presidenza di Joe Biden. Ha fatto molto per i più poveri e dovrebbero enfatizzarlo di più. La voterò, già solo perché ha il pregio di non essere Trump. Francamente, non capisco come metà della popolazione americana lo supporti. Un bugiardo patologico, narciso interessato solo a sé stesso, che fa politica per salvare i suoi affari».

Ha una risposta? «Il bigottismo profondo verso ogni forma di liberalismo. Paura verso tutto ciò che non conoscono. Per questo i repubblicani non sostengono l’educazione scolastica. Trump ha perfino detto di volerne eliminare il ministero! Metà della popolazione non vuol guardare l’altra metà. Anzi, non vuol guardare nulla al di fuori del proprio ombelico».

Ha letto Elegia Americana di J.D. Vance, ora in corsa come numero due di Trump? «No. Non posso sostenere gente come lui comprando le sue bugie».

Teme che James possa finire nella lista dei libri banditi dalle biblioteche scolastiche degli Stati repubblicani? «La prima cosa che fanno i regimi è vietare i libri o bruciarli. Chiaro, possono bandire anche James, è in conto. D’altronde hanno vietato pure Huckleberry Finn con la scusa che usa la parola “N...” 219 volte. Ma il termine era consueto all’epoca. Twain era un antischiavista, e il suo libro fu uno dei primi tentativi di comprendere gli effetti di quella pratica crudele sulle persone».

Anche lei usa quella parola. «Perché volevo essere fedele alla ricostruzione di quel mondo. Sostituirla, significava annacquare la Storia. L’ho usata consapevole di vivere un tempo e un’epoca diversi, dove le parole hanno peso e significato differente. Anche se quella era dolorosa pure allora. È la cultura a farci comprendere le parole nella loro interezza. Meglio averla lì e provare a far capire quanto faceva male, che ignorarla. Sia chiaro però: non sono indulgente. Se qualcuno la usa intenzionalmente mi offende».

Parla di temi tosti con grande ironia. «È facile essere seri parlando di cose terribili, ma questo le rende noiose. Non voglio essere divertente, voglio far pensare. Far sorridere crea complicità, coinvolgimento. A quel punto posso fare la cosa più difficile: innescare pensiero».

In Italia, come in America, si fa un gran parlare di Cancel Culture. «La Cancel Culture è un’invenzione della destra americana per criminalizzare l’evoluzione del pensiero e impedire che si sia più accurati e precisi. Meglio le generalizzazioni, gli stereotipi – sì, ancora – offensivi in nome di una presunta libertà: sì, ma di chi? Non certo delle persone offese. D’altronde la lingua è sleale: può essere usata per dividere. Vorrei fosse più complicato di così, ma definire Cancel Culture la richiesta di più attenzione è solo un modo per manipolare chi non trova il tempo di intrattenersi nell’essenziale compito di riflettere sull’altro da sé».

Non è un limite all’espressione creativa? «Essere corretti? Ma il rispetto è essenziale. Io scelgo ogni parola: so di essere figlio e prodotto di questa cultura, dunque totalmente capace di fare affermazioni bigotte o sessiste. Questo non mi preclude nulla: se non che se uso determinate parole lo faccio coscientemente. In generale, evito di prendermi libertà sull’identità e le credenze di altri. Se nei miei racconti c’è, che so, un nativo, ne parlo da fuori, non dall’interno del personaggio: perché non ho quel tipo di esperienza né l’interesse a sfruttare ciò che non mi appartiene. È pure questione di efficacia: non c’è autenticità in ciò che non conosci davvero».

(…) James diventerà un film… «Un regista di nicchia chiamato Steven Spielberg ha espresso un certo interesse per il romanzo. Sì, lavoriamo insieme tentando di farne un film. Sto scrivendo la sceneggiatura, una cosa nuova per me. È molto stimolante collaborare con chi ha così tanta esperienza in quel tipo di industria. Mi aspetto di apprendere molto. Imparare è la cosa a cui tengo di più».

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