"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 24 agosto 2024

Doveravatetutti. 27 Raniero La Valle: «A chi, al vederla, gridava "Terra, terra!", ha chiuso i porti, il salvataggio dei naufraghi in mare da obbligo l'ha visto diventare un reato».


(…). Un anno fa leggemmo a un'assemblea romana da cui prese il via l'esperienza di "Pace Terra Dignità" una poesia di Erri De Luca i cui protagonisti erano i pesci del Mediterraneo. Diceva: "Prendete e mangiate". E rievocando il sacrificio dell'Ultima Cena, diceva ai pesci accorsi attorno al relitto dei migranti: "Questi sono i corpi planati a braccia aperte sul fondale. In terra sono stati crocefissi, ora sono del mare e di voi pesci. Prendete e mangiatene tutti, che non avanzi niente…”. Ora è il mare stesso il protagonista della tragedia che ha travolto lo yacht inglese e ne ha sepolto le vittime. Il mare si è ribellato al ruolo che ormai da anni gli è stato dato di mostro marino che ingoia i migranti, toglie loro anche il nome e ne diventa il cimitero a cielo aperto. Il mare che oggi intercetta le brevi rotte, è il grande mezzo che ha messo in relazione gli uomini sulla terra, ben prima della comunicazione per via elettronica e dei social. Popoli interi si sono mossi sul mare, hanno raggiunto nuove terre e scoperto l'ignoto, e il mare ha conservato e restituito la memoria del passato che si trasmette da una generazione all'altra, come mostrano i bronzi di Riace, il satiro di Mazara del Valle, le anfore disseminate nei musei, il relitto dell'aereo di Ustica. Ma i cadaveri dei migranti che ha inghiottito non li restituisce, li lascia ignoti e senza nome. Il "nostro" mare, suo malgrado, è diventato complice di una inaudita violenza, A chi, al vederla, gridava "Terra, terra!", ha chiuso i porti, il salvataggio dei naufraghi in mare da obbligo l'ha visto diventare un reato, le navi di soccorso sono state impedite di salpare, le motovedette della caccia ai clandestini sono state finanziate, ai "carichi residui" dei salvati è stato imposto di navigare ancora verso porti lontani, gli sbarcati sono stati chiusi nei lager, deportati o scambiati per denaro e rimandati nelle terre di origine, e i poveri, i fuggiaschi, i perseguitati cancellati dall'informazione. E a un certo punto il mare si vendica, e si rivolta contro il veliero dei ricchi. Ed ecco che si scatena la gara dei soccorsi, e le motovedette perlustrano il mare, e i sommozzatori rischiano per andare a trovare e riportare a galla i morti, e anche gli ambasciatori si muovono, vengono da lontano per vigilare sul recupero dei connazionali, e ogni cadavere ha indietro il suo nome, e non si lascia che i pesci li prendano e li mangino così che non avanzi niente, "nessuna delle corde vocali che hanno gridato al vento". La parabola del mare ci ammonisce a non fare così. E il mare, col suo vento, con le sue tempeste d'estate, surriscaldato e trasformato in turbine d'acqua e di nebbie, si fa parte per il tutto, prende la parola e ci parla a nome di tutta la natura, ammonisce i ricchi a non disperdere i loro soldi in armi, speculazioni e corruzioni, ma di impiegare tutte le risorse per salvare la terra, per mitigare il clima, per rimettere "il chiavistello alle acque", per indennizzare i depredati, per liberare i sommersi e gli sfruttati, per trasformare i migranti clandestini in passeggeri, i richiedenti asilo in cittadini. E chiede che a quelli che non sono nati qui, ma qui spinti dal dolore e dai genocidi, non si aspetti a dare lo ius soli ai loro figli, ma si riconosca lo ius maris ai padri, alle madri e alle partorienti sui relitti.
(Tratto da «La parabola del Mare Nostro, i migranti ignoti e il “Bayesian”» di Raniero La Valle pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 23 di agosto ultimo).

«Le ong e il naufragio. “Mai visti tanti mezzi nel Mediterraneo”», testo di Alessia Candito pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” - nella edizione di Palermo - di oggi, 24 di agosto 2024: «Lunedì siamo passati davanti a Porticello. C’erano elicotteri, droni, mezzi della Guardia costiera. Nel Mediterraneo un dispiegamento di mezzi del genere raramente si è visto. Naufragi e barche in difficoltà, sempre troppi». A pochi mesi dall’ultima missione, dagli spari e dalle minacce della Guardia costiera libica e dal paradossale fermo con cui la Mare Jonio è stata punita, il coordinatore dei soccorsi Danny Castiglione è di nuovo in missione. Ma questa volta la nave di Mediterranea Saving Humans, l’unica della flotta civile a battere bandiera italiana, non salpa da sola. A scortarla c’è una barca a vela. Pensata, voluta e finanziata dalla Fondazione Migrantes, l’organo pastorale della Cei, il “parlamentino” dei vescovi. La proposta è partita dalla diocesi di Fano, l’approvazione è stata immediata. «È una barca di monitoraggio e testimonianza ed è un messaggio», dice don Sandro Messina, direttore di Migrantes Marche, insieme a Donatella D’Anna, che guida la Fondazione a Caltanissetta a bordo come membri a tutti gli effetti dell’equipaggio. «Papa Francesco, vescovi e sacerdoti hanno più volte pubblicamente appoggiato le missioni di salvataggio nel Mediterraneo, chiesto di porre fine a questa strage. Questo è un modo per dire che non è posizione di singoli, ma collettiva e ufficiale. E un appello alle nostre comunità perché affront(ino) la paura del diverso», dice il don. «Come Migrantes noi accompagniamo chi è in cammino. Questa missione - spiega D’Anna - significa condividere un pezzo in più del percorso». Pescatori di uomini, in mare e in terra. È operazione lunga per don Sandro, eppure alla base ci sono concetti semplici, «il riconoscimento mutuo come esseri umani, con il diritto a restare e a partire, a scegliere la propria vita». E a non morire nel tentativo. «Fra dieci, venti, cinquant’anni ci verranno a chiedere “dov’eravate mentre migliaia di persone morivano nel Mediterraneo? come avete potuto permettere i lager in Libia, le deportazioni, questa strage continua?” Io - dice Tom, storico soccorrritore di Mediterranea - non mi sono girato dall’altra parte». E non si sono voltati tutti quelli che sono sulla nave di Mediterranea e sulla barca dei vescovi. “Newco”, nuovi arrivati alla prima missione, xamamina in tasca, ansia, aspettative e determinazione in testa. Veterani come Dariush, che da comandante di Iuventa, per aver salvato centinaia di vite nel Mediterraneo ha dovuto sopportare sette anni di indagini prima che la surreale accusa di connivenza con i trafficanti libici crollasse, per ammissione della stessa procura. O Gabriele, che da medico volontario ha lavorato in mezza Africa con Emergency «e ho visto di tutto», ma ha dovuto far passare anni dall’ultima missione in mare, prima di tornare su una nave ong. «Avevamo soccorso una barca di legno a doppio ponte. Sotto era pieno di ragazzini, ne ho rianimati sei, per tre non c’è stato nulla da fare. Non si può morire a dieci ore dalla riva». Chi attraversa il mare sa che può succedere. Ne era perfettamente cosciente Ibrahima partito poco più che bambino dal Senegal, prigioniero in Libia e poi salvato da uno straccio spacciato per barca. Oggi è a Bruxelles come assistente di Mimmo Lucano, scrittore con due libri all’attivo, militante di Mediterranea e giovane uomo che ha deciso di affrontare la paura di quel mare in cui ha rischiato di morire. «Mi piacerebbe tuffarmi, chiedere a tutti i bambini, le donne e gli uomini che sono sul fondo il loro nome e la loro storia, dare pace alle famiglie». Più di mille da gennaio, altri 13mila deportati in Libia, cifre approssimate per difetto. In Italia, in Europa, dice, «sono solo questo: numeri. Ma avevano nome, storia, affetti». A loro non è stata concessa neanche possibilità di ricordo e memoria. «Perché per il Bayesian sono stati impiegati tutti i mezzi possibili e per altri naufragi no?». Pietas a corrente alternata. «È la prova - dice don Mattia, giovane cappellano di bordo, finito sotto protezione per le minacce dei libici - che si può fare, si possono soccorrere i vivi e rendere giustizia ai morti». Questione di volontà. Per nulla scontata.

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