Sopra. "Tombe Licie IV secolo a.c." (Turchia, 24.09.2023), foto di Gianfranco Rotella.
"La quarta età della memoria”, testo del teologo Vito Mancuso pubblicato sul quotidiano “La Stampa” dell’11 di novembre 2023 e letto, su cortese segnalazione dalla amica carissima Agnese A., sul sito https://www.alzogliocchiversoilcielo.com: “Equilibrio termodinamico”, così Erwin Schrödinger, fisico, premio Nobel e uno dei padri della meccanica quantistica, definisce, nelle sue lezioni sulla vita, la morte. Ne consegue che la vita è disequilibrio termodinamico, e che il vivere consiste in una questione di passaggio di calore, sia fisico sia emotivo, il quale tanto più passa quanto meno regnano stasi e uniformità. Schrödinger parla anche di “entropia negativa”, affermando che è esattamente ciò di cui la vita si nutre. Tutto infatti tende verso lo stato caotico detto entropia che è assenza di struttura e di ordine (l’entropia massima è la morte), ma vivere significa contrastare questa tendenza al disordine introducendo dentro di sé entropia negativa, ovvero ordine. Scrive: “Ciò di cui si nutre un organismo è l’entropia negativa”. Ne viene un curioso paradosso: morire è un disordinato equilibrio, vivere è un’ordinata assenza di equilibrio. Vivere cioè, per riprendere la nota metafora, è come andare in bicicletta: perdere l’equilibrio con la pedalata destra per riprenderlo subito dopo con la pedalata sinistra, mentre il voler stare perennemente in equilibrio significherebbe cadere. Naturalmente nella vita non si pedala sempre allo stesso modo, ma a seconda delle fasi dell’esistenza. Quante sono queste fasi? Solitamente si pensa siano tre: infanzia, età adulta, vecchiaia. Così pensavano gli antichi greci, come risulta dall’indovinello che la Sfinge pose a Edipo alle porte di Tebe: “Quale essere, con una sola voce, ha talvolta due gambe, talvolta tre, talvolta quattro, ed è tanto più debole quante più ne ha?”. Edipo rispose: “L’uomo, perché va carponi da bambino, cammina saldo sulle sue gambe in gioventù e si appoggia a un bastone quando è vecchio” (avvilita per la risposta esatta la Sfinge si gettò in un dirupo e i tebani ricompensarono Edipo proclamandolo re, ma per lui sarebbe stato meglio non diventarlo). Giorgione nel 1501 riprese la suddivisione nel suo bellissimo quadro “Tre età dell’uomo”, opera che quasi certamente ispirò Tiziano che nel 1514 dipinse a sua volta “Le tre età dell’uomo”. E ai nostri giorni spicca questa poesia di Dario Bellezza: “Fugace è la giovinezza / un soffio la maturità / avanza tremenda vecchiaia / e dura un’eternità”. Si tratta solo di pochi esempi dell’impostazione ancora oggi maggioritaria in Occidente secondo cui la vita umana ha un ciclo vitale suddiviso in prima, seconda e terza età. Secondo la spiritualità dell’India invece le fasi della vita sono quattro, le cosiddette “ashrama”, le quali, più che dagli anni, sono descritte dall’attività. La prima è caratterizzata dall’apprendimento e ha come figura simbolo lo studente, la seconda dal lavoro ed è simboleggiata dal padre di famiglia, la terza è detta “ritiro nella foresta” e coincide con la cessazione dei doveri e la dedicazione allo studio e alla meditazione, la quarta infine è contrassegnata dal disinteresse totale per il mondo e ha come figura simbolo l’asceta errante che depone ogni desiderio sia di vivere sia di morire e semplicemente attende che si compia il suo tempo. A seguito dell’allungamento della vita la suddivisione in quattro fasi è ormai presente anche da noi, visto che sempre più distinguiamo l’arco di tempo caratterizzato dal ritiro dal lavoro aggiungendo alla terza anche la quarta età, facendo coincidere quest’ultima con la vecchiaia vera e propria e i suoi malanni fisici e mentali. Naturalmente anche nell’ultima fase bisogna pedalare seguendo la logica della vita che richiede disequilibrio termodinamico. Ma qual è la pedalata che contrassegna la quarta età? Non essendoci ancora arrivato, io mi rivolgo a chi ne ha avuto esperienza rifacendomi a Norberto Bobbio che a 87 anni pubblicò un saggio intitolato, riprendendo Cicerone, De senectute. Qui egli descrive dall’interno il mondo dei vecchi scegliendo anzitutto di chiamarli proprio così, “vecchi”, non “anziani”, un termine quest’ultimo a suo avviso neutro e non connotato come vecchi, e per questo utilizzato sempre più sulla spinta dell’economia che fa di chi vive la terza e anche la quarta età “un corteggiatissimo fruitore della società dei consumi, portatore di nuove domande di merci”. Ebbene secondo Bobbio “il mondo dei vecchi, di tutti i vecchi, è il mondo della memoria”. Ognuno di noi alla fine, quando raggiunge l’ultima parte della vita, consiste nelle sue azioni, nei suoi affetti, nei suoi pensieri, ma Bobbio aggiunge: “Tu sei quello che ricordi”. Per lui infatti da vecchi si sperimenta il tempo all’insegna del passato, si vive nel passato e del passato. Risulta quindi decisiva la memoria, al cui proposito il filosofo torinese scrive: “Il rimembrare è un'attività salutare”. Lo è perché “nella rimembranza ritrovi te stesso, la tua identità, nonostante i molti anni trascorsi, le mille vicende vissute”. E continua, rivolgendosi a un “tu” che può essere il lettore ma anche il suo io: “Trovi gli anni perduti da tempo, i giochi di quando eri ragazzo, i volti, la voce, i gesti dei tuoi compagni di scuola, i luoghi, soprattutto quelli dell'infanzia, i più lontani nel tempo ma più nitidi nella memoria”. Coltivare la memoria è per Bobbio un atto salutare, e quanto questo sia vero viene confermato dalla nostra lingua che conosce al riguardo tre verbi: ricordare, rammentare e rimembrare, di cui etimologicamente il primo fa riferimento al cuore, il secondo alla mente, il terzo alle membra nel loro insieme, come a dire che è tutto il nostro organismo, anima e corpo, a essere rivitalizzato dal calore dei ricordi che fluiscono dalla memoria. La coltivazione della memoria è quindi essenziale per la tarda età, ed è per essa che in questa fase occorre pedalare sulla bicicletta della vita. A mia conoscenza le più belle parole sulla memoria sono state scritte da sant’Agostino nel libro X delle Confessioni, eccone alcune: “Nel palazzo immenso della mia memoria sono pronti a un mio cenno il cielo e la terra e il mare con tutte le sensazioni che ne ho ricevuto. Lì incontro anche me stesso e mi rivedo fare una certa cosa, quando e dove l'ho fatta, e i sentimenti che ho provato nel farla. Lì c'è tutto quello che ricordo per averlo sperimentato”. Ancora: “Grande è questa potenza della memoria, troppo grande, mio Dio, un santuario enorme, sconfinato. Chi potrebbe toccarne il fondo? È una potenza del mio animo, fa parte della mia natura; eppure io stesso non riesco a comprendermi per intero… Ciò mi suscita gran meraviglia, lo stupore mi invade”. Si può credere o non credere in Dio, o meglio in un Dio, ma coltivare questo permanente stupore di fronte al miracolo della vita, al miracolo della mente e della sua capacità di memoria, è senza dubbio un modo eccellente di essere al mondo, tanto più quando si è consapevoli che per questo nostro “essere” sta arrivando la fine. Non bisogna infatti mai dimenticare questo ammonimento di Cicerone: “Ogni età della vita è pesante per chi non trova in sé qualcosa che lo aiuti a vivere felicemente”. Trovare “in sé”: la partita è tutta interiore. Precisamente per questo vi sono giovani tristi e sfiduciati, e vecchi felici e ancora capaci di sorridere con gioia alla vita.
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