"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 9 novembre 2023

Memoriae. 93 «“Ora va’ e colpisci Amalek, vota allo sterminio tutto ciò che hanno e non risparmiarli, ma uccidi uomo e donna, bambino e lattante, bue e pecora, cammello e asino” (Samuele 15:3)».


«(…). …quando si dice Occidente si intende un sistema di valori e un certo standard di vita, non posso negare: ho una casa, una macchina, figli che studiano, vado moderatamente a cena fuori, nessuno occupa la mia casa, l’ospedale non è una sciccheria ma nessuno lo bombarda, non ammazzo per questioni etniche, o religiose, le ragazze che conosco non vengono picchiate per come tengono i capelli. Insomma sì, sono occidentale, il che dovrebbe – nei sogni di quelli che bramano lo scontro di civiltà, da Oriana Fallaci in poi – arruolarmi di diritto da una parte, ed è qui che il mio essere occidentale vacilla un po’. Perché – mi viene in mente – era occidentale anche Colin Powell con la sua boccettina di antrace all’Onu. Erano occidentali quelli che torturavano la gente a Abu Ghraib, e se ho visto quelle prodezze occidentali è grazie a un giornalista occidentale, Julian Assange, che adesso sta detenuto (in Occidente, non in Iran) per avermele fatte vedere. Leggo che oggi lo Stato di Israele sarebbe un baluardo per l’Occidente, anche se ha ammazzato diecimila persone e migliaia di bambini in un mese, in rappresaglia ormai di uno a dieci, per l’aggressione di Hamas, altri morti innocenti e altri bambini vittime. Ovviamente non mi si chiede di essere occidentale per accidente geografico, ma per condivisione di valori, e qui, se possibile, la cosa si complica ancora di più. Anche gli imbecilli che accusano chiunque dica “Cessate il fuoco” di simpatizzare con Hamas sono occidentali, e prima o poi tocca a tutti, dal papa ad Amnesty International, dall’Onu a Greta Thunberg, fino alle centinaia di migliaia di occidentali di religione ebraica che chiedono la stessa cosa. Poi magari mi sbaglio, ma considero la laicità, la separazione delle questioni di Stato e di governo da quelle religiose, una faccenda piuttosto occidentale. E invece sto assistendo a una guerra senza esclusione di colpi tra gente che sbudella gli occupanti infedeli in nome di Allah e altra gente (il baluardo dell’Occidente, secondo gli accecati) che cita il profeta Isaia, che parla esplicitamente di “vendetta” come ha fatto Netanyahu citando un passo della Bibbia su Amalek, passo che sono andato a cercare:  “Ora va’ e colpisci Amalek, vota allo sterminio tutto ciò che hanno e non risparmiarli, ma uccidi uomo e donna, bambino e lattante, bue e pecora, cammello e asino” (Samuele 15:3). Come baluardo dell’Occidente, e lo dico da occidentale, non mi piace per niente, ecco. Come non mi piaceva il Sudafrica dell’apartheid, come non mi piacciono i coloni illegali in Cisgiordania, o i matti che, pur facendo i ministri in un governo baluardo dell’Occidente, sognano l’atomica su due milioni di persone innocenti. Io no, grazie, declino gentilmente l’offerta di reclutamento. Occidentale, va bene, ma preferisco disertare». (Tratto da «Civiltà. “Ma come è occidentale lei”. Quasi preferisco disertare…» di Alessandro Robecchi pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, 8 di novembre 2023).

«Contro certe parole omicide “disertare” oggi è un dovere», testo di Tomaso Montanari pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 6 di novembre 2023: (…). Chi in Israele, il 7 ottobre, ha visto allungarsi di nuovo l’ombra della Shoah è oggi comprensibilmente, e almeno fino a un certo punto anche legittimamente, in preda a paura, rabbia, odio, desiderio di vendetta. Chi in Palestina vede ora l’ombra di un genocidio è oggi comprensibilmente, e almeno fino a un certo punto anche legittimamente, in preda a paura, rabbia, odio, desiderio di vendetta. Sono due condizioni simmetriche che sono, e saranno, strumentalizzate da Hamas e dal governo Netanyahu, con gravissimo danno dei rispettivi popoli. Quegli stati d’animo non riguardano l’intero popolo israeliano e quello palestinese: in entrambi esistono minoranze che capiscono perfettamente dove porta la strada dell’odio, e si oppongono, come possono, ai rispettivi governi (che sono anche apparati militari). Ora, noi, lontani e al sicuro, dovremmo identificarci con queste minoranze, sostenerle con argomentazioni razionali, ed empatiche; dovremmo gettare acqua sul fuoco; dovremmo contestare i governi, e abbracciare i popoli, esporre insieme le due bandiere, o anzi esporre solo la bandiera della pace, rinunciando a simboli oggi troppo compromessi col veleno nazionalista e identitario, e associati a nefandezze criminali; dovremmo chiedere a gran voce l’intervento dell’Onu a separare i belligeranti. Dovremmo saper distinguere tra Hamas e l’islam: evitando come la peste la retorica dello scontro di religioni, o di civiltà. È vero che l’argomento della guerra santa è usato a piene mani da Hamas, e dal regime omicida (femminicida, per la precisione) dell’Iran: ma proprio per questo noi dovremmo rigettarlo, mostrando l’abisso che separa milioni di musulmani da pochi terroristi. E dovremmo anche saper distinguere tra popolo ebraico e Israele: è vero che la linea Netanyahu tende a fare coincidere queste due entità, ma non è solo un errore oggettivo, è anche benzina sul fuoco dell’antisemitismo. Identificare Hamas e l’Islam significa compromettere la meravigliosa cultura islamica, che è patrimonio di tutta l’umanità. Identificare lo Stato di Israele (e la politica dei suoi governi) con l’ebraismo significa mettere a rischio (lo ha ricordato con forza Raniero La Valle) una cultura seminale per l’intera umanità (a partire da cristianesimo e islam). Noi occidentali, a ragione odiati da gran parte della restante umanità per l’arroganza del nostro preteso primato culturale, dovremmo riuscire finalmente a dismettere i panni del colonialismo, per vestire quelli della custodia della diversità e della pluralità culturale: una prospettiva di espiazione e riparazione, dopo secoli di dominio. Dovremmo spiegare a noi stessi e al mondo che la pace si difende con la pace, non con la violenza. Dovremmo saper dire, dopo due mostruose guerre civili europee, che la guerra è sempre e solo una inutile strage: adoperarci per togliere le armi dalle mani dei belligeranti, non già indossare metaforici elmetti, trattando da disertori i pacifisti che rifiutano. Se davvero vogliamo un primato, dovrebbe essere di saggezza: dopo millenni passati a scannarci, negando e tradendo i principi migliori della nostra cultura (classica e cristiana), dovremmo ora saper dire agli altri che la guerra non conosce mai vincitori, ma solo sconfitti. Perché noi umani siamo “pezzi unici”: e distruggerne anche solo uno, significa aver perso il mondo intero. Siamo così lontani da questa saggezza che suonano sconcertantemente attuali le desolate parole che il pacifista Romain Rolland scriveva nel 1914, alla vigilia della Grande guerra: “I latrati d’odio dei giornali fanno orrore e pietà. Che opera credono essi di compiere? Vogliono punire i delitti, e sono, essi stessi, dei delitti: perché le parole omicide sono la semente degli omicidii”.

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