"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 3 novembre 2023

Memoriae. 92 Michele Serra: «In Israele, una democrazia liberale e non confessionale sta radicalizzando il suo nazionalismo e le sue radici messianiche».

          Sopra. "Gaza. Yocheved Lifshitz, 85 anni, saluta il suo carceriere".   

Ha scritto Michele Serra in “Hanno vinto i cattivi” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 27 di ottobre 2023: (…). Sembra utopia: anzi lo è. Chiunque osasse andare in piazza con le due bandiere (due popoli, due Stati, risoluzione 181 dell’Onu del 1947) verrebbe sputacchiato o peggio dalle due tifoserie. I fanatici e gli esaltati, in mezzo alle fiamme e al dolore, si trovano perfettamente a loro agio. Se si abbassassero i toni e si deponessero le armi, non saprebbero che cosa dire e che cosa fare. Il loro argomento è la supremazia dei “miei” sui “tuoi”. Non ne conoscono altri. In questo momento non si vedono spiragli, i “cattivi” hanno prevalso da una parte e dall’altra. Hamas ha inferto alla storia della resistenza palestinese una tragica, rovinosa svolta fondamentalista. I palestinesi laici (ci sono) e cristiani (ci sono) e musulmani moderati (ci sono) hanno ben poca voce in capitolo. Dall’altra parte, in Israele, una democrazia liberale e non confessionale sta radicalizzando il suo nazionalismo e le sue radici messianiche. Gli ebrei democratici e riflessivi, come David Grossman, si sentono espropriati del loro Stato, del loro Israele, e denunciano il «tradimento di tutto quanto abbiamo caro come cittadini di questo Paese». Quanto a Hamas, non saprei dir(…)e con cognizione di causa come spende i miliardi che arrivano dal mondo arabo e specialmente dal Qatar. Certo l’impressione che tra un missile e una scuola la scelta vada al primo è sotto gli occhi di tutti. Ed è altrettanto certo che le consorterie feudali che governano quasi tutto il mondo arabo non sottopongono al vaglio di alcuno, se non di se stessi, le loro scelte economiche e politiche. Fanno, insomma, quello che pare a loro, autocraticamente. La democrazia, in questo senso, ha qualche chance in più di sottoporre a un minimo di contraddittorio (a un parlamento, a un elettorato, a un’opinione pubblica) le scelte di potere. In ogni modo nessuno, nel campo delle spese militari, ha la coscienza a posto. Si spendono in armi cifre iperboliche, spaventose, e tutti spiegano sempre che si tratta di una scelta difensiva, mai offensiva. Come mai, da tutti questi arsenali “difensivi”, scaturiscano poi guerre in serie, nessuno sa spiegarlo con chiarezza.

“Bibi&C, 2 gang di maschi le donne cambierebbero tutto”, testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto quotidiano” di ieri, 2 di novembre 2023: (…). Siamo tutti in balia – e non solo in questo corto circuito geografico, religioso, politico – di plotoni di maschi addestrati alla violenza e alla guerra che perseguono come indiscutibile diritto e santa missione, secondo i precetti stabiliti per sempre dal rispettivo potere supremo: il dio maschile che abita dentro ai cinque libri della Torah e il suo corrispettivo narrato nei 114 capitoli del Corano. Tutti e due figli della parola scritta, il libro sacro, per tramite di gerarchie sacerdotali maschili, gerarchie politiche maschili, che per secoli hanno seminato non solo identità antropocentrica, ma anche l’odio tra una religione e l’altra, a fondamento di un potere che da allora regna sulla seconda metà del mondo, quella femminile, sempre ornamentale, ridotta a silenziosa sudditanza, a vittima senza diritti, per comandare indisturbato sotto l’intero cielo del mondo. Provate a scorrere le immagini viste in questi notti e giorni di sterminio, quelle interne ai due poteri in campo: i tagliagole a capo di Hamas; gli sterminatori a capo di Israele. Tutti maschi con sguardi armati e facce cariche di un solo sentimento, la violenza. Il volto annerito dalla barba di Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas e dei suoi vice che dai divani di Doha, chiamano alla guerra santa le plebi usate come scudi, indifferenti al martirio del proprio popolo ridotto a masticare polvere e a morire. E poi quella liscia e glabra di Benjamin Netanyahu, ladro di democrazia e di ogni altra decenza, circondato dai suoi ministri che da anni fomentano l’odio contro i palestinesi, sigillano con il filo spinato e con le armi il campo di concentramento di Gaza, armano i coloni che moltiplicano gli insediamenti illegali in Cisgiordania, indifferenti alla deriva sanguinosa che tanta ingiustizia avrebbero prima o poi innescato nel popolo dei prigionieri. Sono tutte e due autentiche gang di inferociti maschi al potere. Capaci di usare un milione di parole per dirne solo una, ripetuta tre volte “Vendetta, vendetta, vendetta!”, e poi moltiplicata altre mille, dall’unico desiderio della distruzione reciproca, della immediata cancellazione del nemico, imprigionati nello stesso specchio. I primi a vendicare i 56 anni “di soffocante occupazione israeliana” che controlla ogni serratura della vita dei palestinesi imprigionati, ogni rubinetto dell’acqua potabile, ogni allacciamento dell’elettricità, ogni medicina che entra. I secondi per lavare il sangue del pogrom del 7 ottobre scorso, “vecchi, donne e bambini macellati” con una velocità, una crudeltà e una euforia che viene dai secoli lontani, nutrita e propagata dal veleno religioso e politico, fino all’apocalisse nazista della Shoah, accaduta appena ieri. “Sono animali, distruggeremo Hamas fino all’ultimo uomo”, tuona Tel Aviv. “Resisteremo fino all’ultimo ebreo vivo”, rispondono i comandanti di Hamas. Non è impossibile risalire ai torti e alle ragioni. È vano. Perché ogni volta un fiume di sangue e di parole, di promesse e di inganni, di atrocità e di vendette, irromperanno a smentire i torti degli uni e a negare le ragioni degli altri. È una cronologia inondata dal dolore. Un labirinto più lungo dei 400 chilometri di tunnel scavati da Hamas, più vasto degli arsenali accumulati nei depositi dell’armata israeliana. Ma fateci caso, in queste ore di crudeltà reciproca, di ostaggi esibiti come trofei di guerra senza regole, di bombardamenti a tappeto. È una donna, Yocheved Lifshitz, 85 anni, che un attimo prima di essere rilasciata fa quello che nessun maschio avrebbe mai fatto. Si volta, tende la mano al suo guardiano, dice Shalom, “pace”. È la strada che resta, quella che solo le madri, le figlie, le donne saprebbero immaginare.

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