“StoriedaiFrontidiGuerra”. Vietnam (1975). “L’attimo prima di cadere” di Natalia Aspesi pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 4 di novembre 2023:
“StoriedaiFrontidiGuerra”. Libano (1991). “Il grande inganno” di Gabriele Romagnoli pubblicato sullo spesso periodico “d”: Quando, vent'anni fa, mi trasferii a Beirut, la frase più ricorrente che sentii dire fu: "Avresti dovuto venirci vent'anni fa, allora sì...". Si riferivano alla città com'era prima della guerra civile. A quel paradiso per orientalisti ed evasori fiscali. Qualcuno, più spietato, preferiva la città dieci anni prima, in pieno conflitto, per quell'estrema gioia di vivere provocata dal contatto con la morte. Erano tutte trappole della nostalgia, quel retrovisore che mostra gli oggetti con forme diverse da quelle reali. L'avevo già conosciuta al Cairo, da dove venivo, che era stata immancabilmente splendida ("Ah, l'avessi vista allora!"), venti, o dieci, o quindici anni prima. Per cui posso dirlo senza timore di smentita: dovevate vedere Beirut, vent'anni fa. Mai stata un non luogo, viveva un non tempo: sospesa tra una guerra e l'altra. Si camminava sulla miccia, in equilibrio tra lo scoppio di due bombe. Bastava non pensarci. E chi ci pensava? Reduce da New York e Parigi, non avevo mai visto bar così belli come a Beirut. Bastava sedersi al bancone del Central, nel quartiere ricostruito (secondo discutibili canoni) dal consorzio Solidere e aspettare. Che cosa? L'apertura della cupola. A un comando del bari-sta la curvatura alle sue spalle si sollevava e tornavamo a riveder le stelle. Un bar cabriolet. Lo preferivo alle situazioni sotterranee che richiamavano i rifugi antiaerei. O lo erano stati: il Night Quarantine, il ristorante giapponese sotto la Green line, il club Basement aperto dal mio allora amico Ahmed, figlio del presidente del Senato, che aveva una società finanziaria e una seconda vita nell'America profonda. La Dolce Vita 2, sequel libanese del successo Anni Ottanta, sarebbe stata insipida, senza il rovescio della medaglia dorata. C'era già nell'aria il futuro. E sapeva di polvere. Ogni volta che al Cristal, il favoloso locale frequentato da sauditi in vacanza, saltava un tappo di champagne e il tabellone luminoso aumentava il punteggio di chi lo aveva ordinato, qualcuno trasaliva, pensando a uno scoppio che riteneva imminente. C'era questa sensazione di intervallo tra i due tempi di un film drammatico: mangiamoci i popcorn adesso, che le luci sono accese e ci possiamo guardare in faccia. E che facce! La moglie di George Clooney è probabilmente l'unica della sua generazione a non aver fatto ricorso alla chirurgia per modificarsi il naso. Era il classico regalo per le ragazze che raggiungevano la maggiore età. Così comune da non aver alcuna necessità di nasconderlo. Dal giorno successivo circolavano con un grande cerotto, retaggio dell'intervento. La guerra civile aveva lasciato una prevalenza di donne rispetto agli uomini, caduti combattendo o esiliati. L'impegno nell'abbigliarsi e truccarsi per conquistarli era impressionante. Maschi in jeans e maglietta neppure lavata attendevano all'appuntamento femmine agghindate in boutique occidentali. Lo facevano, però, davanti a un'auto di grossa cilindrata in cui avevano investito soldi che non avevano. Era il dominio dell'apparenza che, si sa, inganna. Il grande gioco (…) era l'imbroglio. Niente, nessuno era come sembrava. Al, il mio migliore amico libanese! Che splendida persona! Che raffinato scrittore! E che storia, la sua! Era fuggito dalla guerra: prima in Australia, poi in Svezia. Era sopravvissuto al cancro. Lo aveva raccontato in uno struggente memoir che cercai, invano, di far tradurre in Italia. Il titolo sarebbe stata una frase chiave: "L'amore è la fine dell'attesa". Era stato scritto in inglese. In Egitto avevo studiato un po' di arabo di strada. I libanesi ne ridevano. Non lo capivano, ma soprattutto dicevano: "Non sai l'inglese o il francese?". L'avevano imparato nelle loro migrazioni, tutti. Anche Jad. Un giorno, prima di un mio viaggio, mi chiese una copia delle chiavi di casa. Disse che gli serviva un rifugio per portarci un'amante. Gliele diedi. Al rientro trovai ogni cosa fuori posto: spariti la macchina fotografica, soldi, un biglietto aereo nominativo per Muscat. Non ci voleva molto a capire che fossero passati i servizi. E chi avesse aperto loro la porta. Altroché amante. Ecco come aveva ottenuto la libertà dopo aver tramato con l'Olp per un attentato a Stoccolma ed essersi fatto scoprire. Si era venduto. E aveva venduto me. Capita, nella capitale degli inganni. Mai più fidato di nessuno. Mi sono messo ad aspettare, come gli altri: che la miccia finisse e il banco saltasse. I casinò al confine con la Siria erano sempre pieni e all'alba gli uomini di Assad venivano da Damasco a svuotarne le casse. Chi avrebbe osato ribellarsi? Un giorno arrestarono due palestinesi. Dissero che stavano preparando un attentato all'ambasciata italiana nel cuore della città. Che fesseria. Quanto era lontana Roma dalla mente di chiunque. Stavano invece osservando i movimenti di un uomo che usciva ogni giorno dal vicino Parlamento. E delle sue scorte: quella vera e quella finta. L'ennesimo inganno di Beirut, che sarebbe stato svelato individuando il corteo di auto in cui davvero quell'uomo viaggiava e facendolo saltare in aria sul lungomare, con un cratere delle dimensioni di quello di Capaci, un carico di tritolo messo a più mani, dopo essersele strette come accadde prima di Dallas. Era la fine della tregua. La fine della musica. Il tempo di andarsene.
Nessun commento:
Posta un commento