7 di novembre 2023, “la Repubblica”. “Un governo incompetente vuole riscrivere la storia ma demolisce la tv pubblica” di Corrado Augias: Non è solo questione di fascismo o non fascismo, le cose sono più delicate di così. Ogni grande istituzione culturale, una casa editrice, un giornale, la redazione d’una rivista, vive dell’atmosfera che si crea al suo interno, dei riferimenti che accompagnano le scelte, del comune sentire che tiene insieme le redazioni. Questa è sempre stata la Rai che ho conosciuto in molti decenni di lavoro. (…). Ecco perché parlare di fascismo e non fascismo non basta, un po’ c’è un po’ non c’è – non è quello il punto. Sono cambiati i punti di riferimento, cambiati gli obiettivi. (…). Nella Rai del governo a trazione FdI è chiaro che della comprensione dei fenomeni poco importa. Affiora dalle dichiarazioni di certi responsabili uno sgradevole spirito di rivalsa; è come se ci si volesse rivalere per essere stati defraudati di un diritto troppo a lungo sottratto con la forza o con la frode. Leggo in certe dichiarazioni la soddisfazione di aver riguadagnato posizioni dovute e, con queste, la possibilità di raccontare in altro modo, a costo di rovesciarla, la nostra storia dal 1948 (data di nascita della Costituzione) ad oggi. Tutto questo è molto diverso dalle varie ondate di occupanti che ho visto arrivare in Rai governo dopo governo. Quando sono entrato in azienda (1° luglio 1960, per concorso) la Rai era un feudo democristiano. Ettore Bernabei, poco dopo, divenne il dominus, la Dc era il suo partito, Amintore Fanfani il referente. L’atmosfera politica era angusta ma il livello culturale faceva della Rai una delle migliori televisioni europee. Nel 1975 una famosa legge trasferì il controllo dell’azienda dal Governo al Parlamento attraverso la Commissione parlamentare per l’indirizzo e la vigilanza sul prodotto. Il passaggio doveva garantire il pluralismo e in un certo modo lo garantì; nello stesso tempo però dette l’avvio ad una forma scientifica di lottizzazione: Rai1 alla Dc, Rai2 al Psi, Rai3 al Pci. Salto tutti i successivi passaggi, meglio li condenso in una sola frase: ad ogni cambio di maggioranza ha corrisposto in Rai l’arrivo di nuovi fedeli. Tutti accomunati dallo stesso desiderio: occupare un incarico di un certo prestigio, avere uno stipendio migliore. Con i nuovi arrivi post 2022 gli obiettivi sono diventati più numerosi. Al desiderio di guadagnare di più s’è aggiunta, ripeto, la voglia di raccontare daccapo la storia. Finora ne abbiamo avuto solo qualche accenno anche perché non è che abbondino, da quella parte, quelli in grado di farlo. Temo di sapere che di qui a qualche mese questo impulso crescerà di forza, se le cose resteranno come oggi sono. La verità è che un governo che sul piano generale s’è dimostrato approssimativo e incompetente ha prodotto il massimo d’efficienza nella progressiva distruzione della Radiotelevisione Italiana, questo mi addolora profondamente. Ho visto negli ultimi mesi dilettantismo, scelte improvvide, la presunzione che una pedina valga l’altra, l’inconsapevolezza che l’efficacia televisiva è una delicata miscela di professionalità e congruenza con l’argomento, la dimenticanza che l’egemonia culturale non si può imporre piazzando un fedele seguace qua e uno là. Sono materie (non le sole, del resto) in cui la competenza deve prevalere sulla fedeltà. Questo mi ha spinto fuori dalla Rai senza bisogno che qualcuno mi chiedesse di accomodarmi. È stato un gesto volontario che ha una possibile coda. Tra le iniziative imminenti era prevista la terza edizione de “La gioia della Musica”, un programma concepito con Carlo Fuortes e Silvia Calandrelli dove abbiamo cercato di mettere insieme ascolti di grande livello – eseguiti dalla magnifica orchestra sinfonica della Rai – e qualche nozione di tecnica musicale. Vedremo che sorte avrà il progetto. Se fossi stato più giovane sarei rimasto cercando, se possibile, di riequilibrare un po’ la deriva. Però sono vecchio e vorrei continuare a lavorare, fin quando avrò sufficiente consenso, con persone amiche in un ambiente cordiale. Resta questa brutta storia, avevano annunciato di voler demolire la Rai dei comunisti; stanno semplicemente demolendo la Rai.
8 di novembre 2023, “la Repubblica”. “Senza rancore” di Corrado Augias: Confesso di essere rimasto sorpreso, anzi deluso. Le parole con le quali il Direttore generale della Rai Giampaolo Rossi ha commentato la mia uscita dall’azienda sono così improprie da suonare come smarrite, gravate per di più da un’ombra di volgarità. Peccato, quando l’ho incontrato ho avuto l’impressione di un bel signore, molto curato nell’aspetto, il bell’ovale del volto esaltato da una corta barba impeccabile. Un bell’uomo capace nella conversazione di citare a giusto titolo un paio di libri e qualche toccante precedente familiare di cui ovviamente taccio. Forse era solo apparato, recita. Di fronte alla commissione Cultura della Camera ha detto: “Il nostro obiettivo non è salvaguardare lo stipendio di Augias, ma occuparci di 12 mila dipendenti”. Santo cielo, chi ha mai parlato di soldi in questa malinconica faccenda? Lanciare in aria un pugno di monete è sempre stato un espediente piuttosto diffuso da che mondo è mondo. Ma che c’entrano, qui, i soldi? Tanto più se si mette a confronto lo stipendio di uno contro il benessere di 12 mila famiglie? Ci sono delle regole dialettiche che dovrebbero essere rispettate, la prima è di fronteggiarsi con argomenti che siano proporzionati. Uno contro 12 mila è decisamente troppo. Non basta, il Direttore generale ha voluto assestarmi un ulteriore colpo di scudiscio aggiungendo: “La Rai è sopravvissuta all’addio di Baudo, sopravvivrà anche all’addio di Augias”. Pippo Baudo è un geniale entertainer che ha diretto programmi di enorme ascolto per decenni. Più modestamente io sono un autore di programmi di libri e di musica sinfonica mi accomuna a Baudo solo la stima e la simpatia personale che ho per lui. Metterci direttamente a confronto aveva il solo scopo di umiliarmi. Dico la verità, è un peccato che quel bel signore che avevo incontrato si è rivelato un antagonista maldestro. Mi chiedo se non sia qui la ragione dei numerosi inciampi che la nuova programmazione ha incontrato in questi mesi. Non metto in ballo i miei numerosi difetti e nemmeno quelli del dottor Rossi, ognuno ha la vita e le preferenze che ha. Discuto però il metodo, un alto dirigente dovrebbe trovare il modo di polemizzare - anche in modo sbrigativo, intendiamoci - senza però lasciarsi andare all’ingiuria. Rispondere nel merito non è impossibile se si ha netta coscienza del proprio operato e delle proprie scelte culturali. Che cosa ha impedito al Direttore generale Rossi di esprimersi con maggiore proprietà? Esempio: “Lei sbaglia, Augias. Noi stiamo cercando di equilibrare il tono di fondo della ‘narrazione’ che per anni è stata fatta sugli schermi della Rai, convenga con noi che una parte, ora maggioritaria e comunque consistente, del Paese è stata a lungo sottorappresentata. Questo non è giusto, non è democratico noi dobbiamo porvi rimedio; lei è libero di andarsene ma non di obiettare alle nostre scelte”. Dal garbo si può sviluppare un vigore polemico, dialettico se si preferisce, maggiore che da alcuni sgangherati vituperi. Nell’uscita odierna del Direttore generale c’è un solo aspetto positivo che qui tengo a sottolineare: mi ha aiutato a capire ancora meglio perché era giusto uscire. Senza rancore, unicuique suum.
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