"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 29 novembre 2023

ItalianGothic. 84 «Guai a definire l’Italia una repubblica nata antifascista: “La libertà non è di destra e non è di sinistra, è unificante”, dice il Lollo pensiero».


“La vera famiglia patriarcale di Giorgia Meloni è politica” di Tomaso Montanari pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 27 di novembre ultimo: (…). Cosa pensasse della donna il partito erede del fascismo è presto detto: “Il Msi riconosce ed apprezza nella donna italiana la fedeltà a una tradizione che la vincola profondamente alla famiglia»” (1948). Ancora nel 1974 le cose non cambiavano di molto: “Alla scostumatezza delle femministe noi contrapponiamo la nostra femminilità intelligente”. Una femminilità, commentava allora Danielle Turone, “impastata di servilismo, di adorati pannolini, di bucati, di manine alla glicerina, di silenzi ristoratori e di attivismo casalingo sottovoce”. Giorgia Meloni sarebbe nata solo tre anni dopo, ma basta allineare alcuni dei suoi slogan di oggi per capire che la cultura è sempre quella: “Io sono Giorgia: sono una donna, sono una madre, sono cristiana”; “una donna che ha fatto due figli ha già dato un grande contributo al Paese”; “è l’identità femminile ad essere sotto assedio perché si vuole distruggere la straordinaria forza simbolica della maternità”. Ma, come spesso accade, il passaggio più rivelatore sta forse in un lapsus freudianissimo del 12 maggio 2023, quando, parlando agli Stati generali della natalità di fronte al Papa, il Presidente del consiglio disse: “Se le donne non avranno una possibilità di realizzare il proprio destino, chiedo scusa, desiderio di maternità…”. Il destino della donna! L’idea che a definire la donna sia la maternità è, ovviamente, uno dei fondamenti della cultura patriarcale e fu esplicitata con particolare foga dal fascismo. Giovanni Gentile scrive che “nella famiglia la donna è del marito, ed è quel che è in quanto è di lui […]. La donna è colei che si dedica interamente agli altri sino a giungere al sacrificio e all’abnegazione di sé; la donna è soprattutto idealmente madre, prima di essere tale naturalmente”: e dunque era ovvio allontanare le donne da diritti, studio, insegnamento scolastico. Mussolini amava ripetere che “la guerra sta all’uomo, come la maternità alla donna”: una sentenza capace di illuminare in modo drammatico la regressione attuale della società italiana, in cui un grottesco virilismo militarista si accompagna a un’ondata inarrestabile di violenze di maschi contro donne. Il disprezzo per la pace (e i pacifisti) e il disprezzo per l’emancipazione e la libertà delle donne sono due facce di un dominio maschile basato sul possesso, sul rifiuto del confronto, sull’incapacità di attribuire all’altro (o all’altra) una pari dignità, anzi un diritto all’esistenza. È nota la violenza sulle donne praticata dal duce: “Mussolini, buon avanguardista, aveva ficcato un coltello nel braccio della giovanissima Giulia Fontanesi (dopo averla riempita di botte, e morsicata); quasi certamente ha avuto rapporti sessuali anche con la giovane figlia di Margherita Sarfatti; a Claretta Petacci aveva mollato uno schiaffo così forte da renderla sorda per giorni; aveva fatto passare per pazza Ida Dalser, aveva costretto all’aborto le sue amanti (drammaticamente celebre il caso di Bianca Ceccato, minorenne, sua assistente personale al Popolo d’Italia)” (Mirella Serri). Il confinamento della donna nel recinto della maternità e la violenza predatoria dei maschi erano, sotto il regime, strettamente legati. Come notò la deputata democristiana Anna Maria Cingolani, intervenendo alla Consulta nel 1945 (nel primo discorso parlamentare di una donna italiana): “Il fascismo ha tentato di abbrutirci con la cosiddetta politica demografica, considerandoci unicamente come fattrici di servi e di sgherri, sicché un nauseante sentore di stalla avrebbe dovuto dominare la vita familiare italiana. La nostra lotta contro la tirannide tramontata nel fango e nel sangue, ha avuto un movente eminentemente morale, poiché la malavita politica che faceva mostra di sé nelle adunate oceaniche, fatalmente sboccava nella malavita privata”. Eccolo, il nesso tra patriarcato e violenza sulle donne: ed è il nesso fondamentale della cultura da cui proviene Giorgia Meloni.

«Lollo, il “beautiful” di Tivoli che salì sul treno di Giorgia”, testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, mercoledì 29 di novembre 2023: Ma queste due formidabili sorelle della Nazione, Giorgia e Arianna, cresciute con la fiamma del matriarcato tricolore nel cuore, come se li sono scelti i loro due capolavori di compagni/camerati/mariti? Li hanno presi in sconto al Black Friday o li hanno vinti ai punti? Giorgia, la minore diventata maggiore, si orientò sul simpatico Giambruno Andrea che sembra la caricatura di Lando Buzzanca, nel celebre fumetto Lando, con il ciuffo al posto del baffo, e il testosterone al posto del cervello. Di lui si è detto tutto, lo abbiamo archiviato in un bilocale con vista sul passato. Amen. L’altra, Arianna, detta Ary, si è scelta questo Lollobrigida Francesco, di anni 51, che lei chiama Lollo, qualche volta per scherzo Gina, attuale ministro dell’Agricoltura, direttamente da uno sgangherato scaffale, con busto Dux, della Sezione del Movimento Sociale di Colle Oppio, un sergentone dal piglio di colonnello, che raramente saluta, veste in grigio, pensa in grigio e dopo una cert’ora ha lo sguardo da sonnolenta digestione. Nel dormiveglia, straparla. E quando lo correggono, fa il muso, estraendo sempre la solita minaccia: “No, non mi dimetto”. Ai tempi del Covid disse che sotto i 40 anni era meglio non vaccinarsi. Gli chiesero da chi l’avesse saputo. Non rispose. Poi disse che in Italia, anzi in Occidente, è in corso “la sostituzione etnica”. Gli chiesero se sapeva cosa voleva dire. Non rispose al primo giro. Al secondo, informato sul significato del misfatto, disse “non sono razzista, sono ignorante”. La scorsa settimana, beccato dal Fatto Quotidiano a dissigillare le porte del Frecciarossa 9519 alla stazione non prevista di Ciampino, per infilarsi su una Audi Q5 e correre a Caivano a tagliare il nastro di un’aiuola, disse: “Nessun privilegio. Ho fermato il treno e sono sceso come avrebbe fatto un qualunque altro cittadino”. Sembra un personaggio inventato dal poeta Ernesto Regazzoni, quello della Laude dei pacifici Lapponi e dell’olio di merluzzo. Invece il signor Cognato è vero, fatto di carne non sintetica, e in grande spolvero mediatico. Fa più notizia e fa più ridere del rimpianto Danilo Toninelli, che ai tempi suoi si autocelebrò come Toni Nulla. Il nostro ministro di Agricoltura, Sovranità Alimentare e Foreste, ha una storia di esemplare riscatto sociale. Viene dalle pendici dei monti Tiburtini, comune di Tivoli. Missino fin da ragazzo, ha fatto scuole a singhiozzo, mentre la politica l’ha masticata a tempo pieno, cominciando dai funerali di Giorgio Almirante, visti nel pieno dei suoi 16 anni, che sono il suo personale fatal flaw, la “ferita fatale”, il corrispettivo narrativo dei funerali di Paolo Borsellino, per la cognata Giorgia. Invece di studiare si è laureato in Giurisprudenza alla bella età di 42 anni, presso l’Università Telematica Unicusano, fondata da Stefano Bandecchi, il colosso di Terni, quello che in sintonia coi tempi di femminicidi ha detto: “Devi tradire la fidanzata se no non sei un uomo normale e prima o poi la ammazzi”. Lollobrigida di fidanzata ne ha una sola, Arianna, come una sola è la fede politica. Che pratica con disciplina militare, un Vannacci ante litteram, con il fez al vento. Lo ha temprato la gavetta. Dal 1996 al 2000 consigliere comunale a Subiaco. Poi assessore allo Sport nel Comune di Ardea. Qualche elezione persa, qualche altra vinta nelle rurali province del Lazio, dove indossava persino un nome di battaglia, “Beautiful”, per via del viso da attore americano: “Lo usavo per sfuggire alle rappresaglie dei compagni che ti aspettavano sotto casa”. Nel 2010 la sua personale marcia su Roma, fino alla poltrona di assessore allo Sport nella giunta della Regione Lazio di Renata Polverini, la sindacalista Ugl nata e scomparsa nei talk show. Il colpo di fortuna arriva nel 2012, quando in dissenso da Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini inciampato per sempre dentro un appartamento di Montecarlo, nasce Fratelli d’Italia, che fonda con la cognata Giorgia Meloni, l’esperto di armi Guido Crosetto, il veterano Ignazio La Russa. I soldi, dice una recente inchiesta di Report, ce li mette Silvio B. – 750 mila euro: cifra equivalente a un anno di Olgettine – in odio al suddetto Fini, colpevole di avergli puntato il dito direttamente sul fondotinta con il suo celebre “Cheffai? Mi cacci?” Al terzo tentativo, Lollo vince il jackpot elettorale, anno 2018, entra trionfante alla Camera dei deputati, direttamente capogruppo con predisposizione per le nomine in tutto il parastato che conta, enti, aziende partecipate, fino allo sfinimento per i troppi questuanti: “Non faccio in tempo a entrare in Rai che mi circondano”. A nome di Giorgia e Arianna fa e disfa nel partito, dispensa, promette, incassa: all’ultima manovra finanziaria si fa aggiungere 2 milioni di euro per le casse dei suoi uffici, senza che nessuno fiati. Ha le chiavi del nuovo potere che tracima, afferra, annette in estasi da indigestione. Per tre generazioni quelli come lui, come Giorgia, si sono nutriti di avanzi, masticando odio per i nababbi della sinistra che ai loro occhi avevano tutto, il potere dei soldi e quello della propaganda, la piazza e i salotti. La parola d’ordine che sventolano è sempre quella “A noi!” anche se con il leggero slittamento dei vincitori: “Tocca a noi!”. Tocca a loro: convinti come sono che la vittoria elettorale li legittimi a prendersi per intero il futuro, senza sognarsi di intaccare con i dubbi il loro passato; guai a definire l’Italia una repubblica nata antifascista: “La libertà non è di destra e non è di sinistra, è unificante”, dice il Lollo pensiero. La sicumera è la sua ginnastica preferita, in politica e nella logica, a cominciare dal celebre: “I poveri mangiano meglio dei ricchi, perché cercano dal produttore l’acquisto a basso costo e comprano qualità”. Passando per certi magnifici sillogismi: “Le donne non si dovrebbero nemmeno toccare con un fiore e invece tratterò un argomento che è quello della produzione dei fiori”. Per arrivare finalmente al capolavoro ferroviario: “Ero in ritardo, mi aspettavano nell’aiuola di Caivano a rappresentare lo Stato”. Dove lo scandalo – lui ancora non l’ha capito – non è il ministro che scende, ma è il Lollo Beautiful che a forza di salire è diventato Stato.

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