"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 11 novembre 2023

Memoriae. 94 Tucidide: «La guerra è un maestro violento, e rende conforme alle circostanze lo spirito della gente».


DellaGuerra”. “Guerra è propaganda dai Persiani a Gaza”, testo di Filippo Maria Pontani - professore ordinario presso l’Università “Ca’ Foscari” di Venezia – pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, venerdì 10 di novembre 2023: “Ares, cambiavalute di corpi". Questo verso di Eschilo (Agamennone 438) cattura la contabilità incrociata delle vittime, l'oscena pesa quotidiana dei cadaveri sulla bilancia di Zeus e di al Jazeera. (…). Al principio delle Storie di Erodoto, Persiani, Fenici e Greci danno tre versioni opposte del principio remoto della lotta tra Oriente e Occidente, che sfocerà nelle Guerre Persiane (492-479 a.C.); e poi il fatale incendio del tempio di Cibele a Sardi (Erodoto 5.102) fu accidentale o voluto? E la conseguente distruzione dei templi greci da parte dei Persiani fu una "proporzionata vendetta", o un sacrilegio da rinfacciare ai "barbari" per generazioni, ancora ai tempi di Alessandro Magno? E chi ha iniziato la Guerra del Peloponneso tra Ateniesi e Spartani, la più grande del mondo antico (431- 404)? Tutti e due, risponde Tucidide, che da storico obiettivo osserva che gli Ateniesi "divenuti grandi e offrendo motivo di paura agli Spartani, li costrinsero a fare la guerra" (1.103). Tutti dicono di voler evitare il conflitto, di averlo intrapreso solo in via difensiva (conviene fingere in tal senso, dice il tattico Onasandro, 4.1-3); e poi magari, come Putin, lo negano o lo ribattezzano financo quando è conclamato. Tutti invocano un principio di Giustizia ("Dike" sta incisa sullo scudo di Polinice come sulle labbra del fratello Eteocle: si ammazzeranno l'un l'altro alle porte di Tebe), tutti sono convinti che Gott mit uns, "gli dei sono con noi", come reclamano sia il persiano Ciro sia Alessandro Magno che ostenta alle truppe (…) le viscere delle vittime da cui trae auspici favorevoli. Tutti - come Netanyahu l'altroieri, come Pericle nel 430 - sono il Bene contro il Male, in una sindrome DMA (Dicotomizzazione, Manicheismo, Armageddon, secondo Johan Galtung) che non lascia scampo. La distanza dalla "verità", naturalmente, varia, ma anche le narrazioni più auguste sanno di manipolazione: nel Panatenaico il retore Isocrate celebra la grandezza di Atene (479-431 a. C.), che abbatteva tirannidi e garantiva prosperità agli alleati, ma - al pari degli odierni cantori della pax Americana dimentichi dell'ex Jugoslavia o dell'Iraq - omette di citare i massacri dell'imperialismo ateniese, a cominciare dalla distruzione della piccola isola di Melo, rea di volersi mantenere neutrale nella guerra (416 a. C.: il famoso "dialogo dei Melii" in Tucidide è l'illustrazione impietosa della legge del più forte). Una volta scoppiato il conflitto tra Atene e Sparta, gli Stati "si scontrarono in guerra, sobillati dai demagoghi e dai guerrafondai che volevano la guerra reciproca, senza che ci fosse nessuno a interporsi per separarli" (Plutarco, Cimane 19.3). Ecco: la mediazione fu impossibile perché dentro gli Stati il clima di sospetto non tollerava dissenso, sebbene i più diffidassero della retorica del "vincere o morire", della mistica del sacrificio, dei costanti richiami all'eroismo per conto terzi (ché poi, non è che Pericle entrò in guerra per distogliere lo sguardo dalle sue grane personali? Non è che magari Cleone dava fuoco alle polveri per coprire le sue malversazioni? non è che...?). Il troiano Antenore propose saggiamente di chiudere la guerra di Troia restituendo Elena ai Greci (Iliade 7.345): è passato alla storia come il traditore per antonomasia. Nel 415ad Atene anche chi era contrario alla spedizione iri Sicilia - destinata alla catastrofe - "stava in silenzio per paura di apparire un cattivo patriota votando contro" (Tucidide 6.24). Nel 405, dopo la disastrosa sconfitta di Egospotami, Cleofonte minacciò di sgozzare chiunque avesse solo pronunciato la parola "pace" (Eschine, La mala ambasceria 76). E così mille altre volte: la propaganda e la disinformazione servono a impressionare, a intimidire il nemico e a consolidare con violenza il fronte interno: il conto iperbolico dei propri soldati o dei nemici uccisi, l'esibizione di flotte senza fine, la damnatio memoriae degli avversari (secondoErodoto5.67, a Sicione, nella guerra contro Argo, furono proibiti i poemi epici perché parlavano troppo degli "Argivi": cancel culture all'antica?). Putin mostra la Russia ricca in barba alle sanzioni, così come Trasibulo di Mileto dinanzi all'ambasciatore del nemico mette in piazza ricche tavole imbandite (Erodoto 1.21). Si impressiona infierendo sui prigionieri (buttati in mare, stuprati, venduti come schiavi, sgozzati a sangue freddo, crocifissi, mutilati, usati come scudi umani), e ricorrendo a pratiche che a scuola credevamo relitti di usanze primitive (insultare e sfigurare il cadavere del nemico, uccidere ogni Troiano maschio, "anche chi la madre porta ancora nel ventre") e oggi sono invece i servizi dei tg. Non è l'eccezione: (…). La tecnica della guerra non conosce distinzioni né limiti: essa è, per definizione, uno stato d'eccezione rispetto a ogni regola", perché (Tucidide 1.122) la guerra "procede meno di ogni cosa secondo leggi prestabilite; invece, essa escogita da se stessa molti mezzi a seconda delle circostanze". Impadronitosi degli uomini, "Ares impazza alla rinfusa", "Ares è comune, e uccide chi uccide". Soprattutto (…) "quando si comincia una guerra non si può più tornare indietro": non lo permette la costante illusione della guerra-lampo (da Agamennone a Pericle a Brasida), non lo permette la costante fiducia in un rivolgimento favorevole (Kuleba che rievoca Milan-Liverpool del 2005), non lo permette il terrore di vanificare i sacrifici già compiuti, come paventa Ulisse nel II libro dell'Iliade, o, ancora nel 415 a.C., Alcibiade che sostiene contro il più prudente Nicia la necessità di proseguire la fatale campagna di Sicilia (Tucidide 6.48). Enea, un retore di Gaza del V secolo d.C., scrisse un giorno che l'unico vantaggio della guerra sulla pace è che essa "ci induce a parlar molto gli uni con gli altri". Nella nostra sovrana impotenza, ci resta la parola, specie dinanzi ai giovani che crescono in questo clima di sangue, e che per ardore, speranza e coraggio sono sempre i più pronti alla guerra (Aristotele, Retorica 2.1389a). (…).  Perché (ancora Tucidide, 3.82; o Gino Strada?) "la guerra è un maestro violento, e rende conforme alle circostanze lo spirito della gente": solo parlandone, parlandone, e demistificandone la retorica, si può provare a evitare che diventi anche - un verso di Giorgio Seferis, che riscrive l'Eschilo da cui siamo partiti - un "cambia-valute d'anime".

Di seguito, l’intervista di Salvatore Cannavò - “Hamas non è solo terrorismo e Israele ha sbagliato risposta” – a Lucio Caracciolo pubblicata sulla stessa edizione de’ “il Fatto Quotidiano”: (…). Dedicate molto spazio a Hamas: pensa che pagherà un prezzo per questa guerra? “La cosa più importante su Hamas, che svisceriamo nel numero, è che non chiaro cosa ci sia dentro. Il grado di controllo della testa politica appare limitato (…). Inoltre, a bocce ferme, in campo palestinese si faranno i conti e qualcuno potrà chiedere a Hamas perché ha provocato Israele in una reazione abbastanza probabile. Va anche detto che l’operazione del 7 ottobre non è stata solo delle Brigate al-Qassam, oltre al Jihad islamico ci sono stati anche cani sciolti e probabilmente semplici criminali che hanno approfittato della situazione. L’operazione non è andata esattamente secondo i piani e se fossi un civile palestinese qualche domanda la porrei”.

Cosa pensa dell’accusa a Hamas di essere un’organizzazione terrorista? “Il terrorismo è una modalità di guerra particolarmente vile, ma non è un soggetto politico. Tanto che il più noto terrorista palestinese ha avuto un Nobel per la Pace (Arafat). Non c’è una definizione incontrovertibile. Il 7 ottobre, Hamas ha certamente utilizzato un metodo terroristico, ma nel definirlo semplicemente terrorista, come al Qaeda, si perde di vista che è un movimento di massa, che ha vinto le elezioni, che è stato sostenuto prima da Rabin in funzione anti Arafat, e anche da Netanyahu che favoriva il trasferimento di soldi qatarini verso Hamas”.

E Netanyahu? Lui pagherà un prezzo? “Se non lo paga adesso non paga più. La mia previsione è che il suo futuro oscilli tra un pensionamento dorato e il carcere. È vero che ci ha abituato a sette vite, ma le ha spese tutte. Un governo futuro non potrà averlo come capo a meno che la guerra non sia eterna”.

Paolo Mieli nei dibattiti in tv chiede provocatoriamente: «Cosa avreste fatto al posto di Netanyahu?». “Si può rispondere tranquillamente: Israele ha fatto quello che quasi tutti si aspettavano. Ma non credo che a mente fredda possa essere considerato utile allo Stato di Israele. La vendetta sproporzionata, che sempre caratterizza Israele, non lo ha favorito. Nel giro di pochi giorni i bombardamenti, nella percezione internazionale, hanno indotto a perdere di vista il massacro del 7 ottobre e a schierarsi con i palestinesi. L’elemento della propaganda è decisivo in un tale contesto, e quindi è stato un errore. Israele sta facendo la guerra che Hamas voleva, asimmetrica in cui i terroristi devono solo perpetuare se stessi. Tu che avresti fatto, chiede Mieli? Rispondo con un paradosso: nulla. Il problema non è vendicarsi, ma proteggere il proprio popolo e, nel caso di Israele, anche quello della diaspora che fa i conti con ondate di antisemitismo o di simpatia per i palestinesi. Se Israele, dopo una pausa di qualche giorno, avesse deciso di non entrare a Gaza, da cui era scappata, ma di chiudere tutte le uscite in maniera seria cominciando a colpire selettivamente i capi di Hamas, anche in Iran nel caso, avrebbe stravinto la guerra di propaganda e salvato molte vite tra gli ostaggi o tra i propri soldati. E avrebbe potuto presentarsi a un futuro tavolo negoziale in una posizione di forza politica e morale”.

È vero che c’è una nuova stagione di iniziativa degli Stati arabi? “Non mi pare. Il Qatar gioca sempre su tutti i tavoli. Essendo un giacimento con uno Stato sopra si tiene buoni tutti. Parla con Usa, Russia, israeliani e palestinesi, cercando di comparsi la tranquillità. Doha sembra un centro congressi negoziale a livello mondiale, un hub di mediazione, ma non una potenza politica. La potenza classica dell’area è l’Egitto, ma è in seria difficoltà e teme l’afflusso di migliaia di palestinesi tra cui molti Fratelli Musulmani, nemici di Al Sisi. La Turchia dopo aver incontrato Netanyahu e aver stabilito rapporti sotto banco con Israele è diventato lo sponsor dei “terroristi” liberatori di Hamas, cercando di presentarsi come il leader islamico che copre tutto lo spettro del mondo musulmano. L’Iran da una parte ha sponsorizzato Hamas, ma non vuole arrivare allo scontro con gli Usa perché subirebbe gravi perdite. Non si intravede un attore e la guerra durerà abbastanza con un riposizionamento di tutti quanti e con nessuna speranza immediata di un accordo tra israeliani e palestinesi”.

Il New York Times si domanda se gli Usa possono concentrarsi sulla Cina mentre devono gestire due guerre contemporaneamente. Che risponde? “No, non ce la farà. (…). …ci sono contatti notevoli tra Usa e Russia e anche con la Cina, per stabilire regole d’ingaggio che evitino ai conflitti in corso di sfociare in una guerra più ampia che gli Usa, con la perdita di identità, non può gestire”.

E l’Italia “Non può fare molto. Il fatto che si impegni sul fronte umanitario è importante, non è solo un atto simbolico, non dimentichiamo che abbiamo un migliaio di soldati lungo la frontiera Libano”.

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