“Maguardacosacitocca”. Ha scritto Filippo Ceccarelli in “Il sorriso di Elly” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di repubblica” del 13 di gennaio 2023: Certi giorni di festa, quando i politici si rivolgono al loro pubblico per gli auguri, e decisamente esagerano in letizia e giovialità, viene un po' da immedesimarsi nell'Innominato dei Promessi sposi che sentendo alcuni schiamazzi fuori dalla finestra, si affaccia brontolando: "Che diavolo hanno tutti costoro?"; e poi: "Che c'è di allegro in questo maledetto Paese?". Per quanto genericamente insidiosa, finite le vacanze, l'irritata considerazione spinge a chiedersi se un tempo era così; e siccome la risposta è no, dato che i leader della Prima Repubblica raramente si abbandonavano a smancerie, la successiva questione è quando è iniziata l'inflazione del sorriso universale, omologante e obbligatorio.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
lunedì 16 gennaio 2023
ItalianGothic. 24 Filippo Ceccarelli: «Berlusconi, autentico fondatore del regime dell'empatia calorosa, specialista del riflesso labiale e mascellare».
Così, ancora una volta, occorre tornare
a Berlusconi, autentico fondatore del regime dell'empatia calorosa, specialista
del riflesso labiale e mascellare su bianco fondale dentario; ma poi tutti o
quasi l'hanno seguito in quella studiata smorfia adattabile prima alle
inquadrature televisive, poi ai selfie e adesso ai video mandati sui social per
cui eccoti Renzi, eccoti Salvini, eccoti Di Maio, Conte, Meloni e perfino Letta
in un'unica, plurale e serafica disposizione dell'animo, tanto più pronunciata
quanto più gli affari della Repubblica vanno a scatafascio. In questo senso,
sia pure accampando qualche senso di colpa, fra le domande che hanno già una
risposta viene da chiedere all'ultima arrivata, e quindi all'onorevole Elly
Schlein se sia giusto, opportuno e politicamente efficace affrontare le
primarie del Pd sull'orlo della dissoluzione avendo impresso sul volto un
perpetuo sorriso che va ben al di là non solo dell'estetica social, ma di
qualsiasi strategia di comunicazione. Ci si rende conto del malanimo
burbanzoso, perché sorridere è spesso una risorsa di speranza, specie nei
momenti difficili. Ma in quella specie di caleidoscopio di
auto-rappresentazione che sono le pagine di Instagram, su più di 1.400 immagini
di se stessa, Schlein sorride nell'80-90 per cento dei casi. Sono sorrisi
allegri, di saluto, d'incontro, d'entusiasmo; sorrisi complici, sardonici,
ispirati, perplessi, lungimiranti; sorrisi mentre saluta, consulta gli appunti,
suona la chitarra, spegne le candeline con la cagnetta Pila, anch'essa
presumibilmente sorridente. D'altra parte sorridono nel suo profilo anche i
morti: Falcone, Ginsborg, Onida, Sassoli. Alla fine, se non altro per ragioni
statistiche, è impossibile non pensare che qualche sorriso sia di maniera e di
circostanza, per non dire inautentico. Ma soprattutto si avverte una vertigine
fra il disastro del Pd, la radicalità delle proposte e l'automatismo della
sdolcinatezza - per quanto l'Innominato, proprio dopo i rosicamenti dinanzi
alla finestra, si converte e diventa buono. Di seguito, “Strategie. La richiesta di ottimismo è la
malattia infantile del melonismo” di Alessandro Robecchi, pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 4 di gennaio ultimo: Ci sono parole fuori posto, che piovono
male, che non c’entrano niente, così estranee al contesto che sembrano
appoggiate lì per caso. O per convenienza, per ridicolo calcolo, o peggio per
speranza, o peggio ancora come piccola assicurazione sui fallimenti futuri:
parole che mettono le mani avanti. Una di queste parole, ricorrente al punto da
essere noiosa, è “ottimismo”, non a caso sbandierata fieramente dal/la signor/a
Giorgia Meloni nei suoi auguri (soprattutto a se stessa e ai suoi arditi) di
fine anno. “Un 2023 di orgoglio e ottimismo”, augura il/la presidente del
Consiglio, che vuol “sollevare questa nazione”, “rimetterla in piedi”, “farla
camminare velocemente con entusiasmo”, e, ovvio, “dobbiamo farlo insieme”. Con
il che si capisce bene il sottotesto: se voi non avete entusiasmo, ottimismo e
non lo farete insieme, beh, un eventuale disastro sarà colpa vostra. Un
classico.Giorgia, donna, madre e cristiana, non è che inventa molto, diciamolo.
Ancora ci ricordiamo quello là col sole in tasca, il Berlusca buonanima, che
andava dicendo che i pessimisti si tirano addosso la sfiga da soli, e quindi
non essere ottimisti non è un atteggiamento, ma un concorso attivo alla
catastrofe. Vennero altri ottimismi, più organici all’ubriacatura liberale che
piace tanto ai piani alti e altissimi del Paese. I primi giorni di Mario Monti
fecero saltare l’ottimistometro nazionale, e pareva che fosse atterrata la
Madonna in persona, il loden al posto del velo, per sistemare le cose con la
sola imposizione delle mani della Fornero. Si è visto.Altro
sussulto di ottimismo sfrenato, la comparsa di Mario Draghi, quando pareva che
l’Europa bussasse da ogni italiano con i contanti in mano dicendo “tenga buon
uomo”, e i giornali titolavano sulla pioggia di miliardi in arrivo,
praticamente già infilati nella nostra casella della posta. Si è visto anche
lì, e basterebbe a mettere una moratoria di dieci anni sulla parola ottimismo,
almeno in politica.Quali motivi ci siamo oggi, essendo
italiani, per essere ottimisti, è piuttosto misterioso. L’inflazione al dieci
per cento, il lavoro che si precarizza sempre più, il welfare che svapora, le
bollette, la guerra di altri che ci costa come se fossimo in guerra noi. Basta
dare un’occhiata a ricerche e sondaggi per scoprire che il segno meno, in
quanto a fiducia, domina incontrastato, e non sarà certo chiamare il Paese
“Nazione” (o i camerati “patrioti”) che ci indurrà a cambiare idea. Di solito,
l’ottimismo è un afflato piuttosto irrazionale (“Gli ottimisti sono la claque
di Dio”, diceva mirabilmente Gesualdo Bufalino), mentre il pessimismo è mesto
realismo. Una differenza che chiunque può capire se si sveglia con Giorgia
ottimista, la benzina più cara, le autostrade più costose, il mutuo più stretto
al collo, lo stipendio che vale meno e l’assistenza scomparsa per dare una mano
ai presidenti delle squadre di calcio, i veri bisognosi del Paese.Ma
quando si invoca ottimismo – come il sor/sora Giorgia fa un po’ maldestramente,
nel suo stile – si intende un’altra cosa. Si intende solitamente uno spirito
collettivo, un vento che porta non solo consenso, ma convinzione, un’aria
frizzante di partecipazione emotiva dei cittadini che oggi non si vede, non
risulta, non c’è, e non ha motivo di essere.Meloni faccia la sua strada in
salita, non cerchi appigli, non invochi aiutini da casa come nei telequiz, non
si appelli all’ottimismo della popolazione al quale ha finora contribuito
soltanto bastonando i poveri e aumentando la benzina: non un grande contributo.
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