Inghiottiti dalla “mistica” del “quando c’era lui”
gli intrepidi “Gavazza” al governo della cosa pubblica e del “facciamo noi” non
hanno valutato a pieno le conseguenze dei loro atti e misfatti. Ben gli venga
nel loro tumultuoso, sbadatissimo fare e rifare, rifare e fare.
Ha scritto
Alessandro Robecchi in
«La manovrina. Giorgia “tira dritto” come il camerata Gavazza di Risi»
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 21 di dicembre dell’anno 2022:
Che
il Signore ci mantenga il ricordo indelebile del genio Tognazzi Ugo, e del
maestro che lo diresse ne La marcia su Roma (Dino Risi, era il 1962), perché di
quel personaggio – camerata Umberto Gavazza, presente! – è lastricata
l’italianità grottesca dell’oggi, il melonismo del “noi tireremo dritto” e del
“non ci faremo intimidire”. Figurarsi. Ad ogni curva della sua marcia su Roma,
il Gavazza tirava una riga su un punto del programma del fascio: via questo,
via quello, e questo lo cancelliamo, e questo ce lo scordiamo, eccetera
eccetera. Esattamente come fanno le truppe meloniane giorno dopo giorno nelle
ore che ci separano dalla fiducia sulla famosa manovra che doveva cambiare
tutto e che invece porrà qualche ritocchino qui e là – draghismo dell’obbligo –
mentre le bandiere e i labari identitari tornano nel sottoscala, con la
naftalina e i busti del Puzzone, chissà, ci saranno momenti migliori per
tirarli fuori di nuovo. Insomma, contrordine camerati, perché il Pos torna quel
che era, la pacchia (sic) non è finita, il fatto che uno possa avere in casa
dei contanti per mille motivi, come disse il/la premier e che quindi possa
diventare un delinquente se li spende era un tristo arrampicarsi sugli specchi
insaponati e adesso, mestamente, il/la Giorgia deve fare marcia indietro. Come
il sempre più smarrito e deluso camerata Umberto Gavazza, anche Giorgia tira
una riga sulle sue belle teorie e punti del programma: cava di tasca il
foglietto delle promesse e cancella il punto del Pos, del contante, del “li
spendo come voglio”. Peggio mi sento con le pensioni minime di Silvio
buonanima. Anche lì era glorioso un “pane e figa per tutti”, le minime a mille
euro, senza contare quelle (sempre a mille euro) per le “nostre mamme e le
nostre nonne”, hurrà, arriva Silvio con la sua cornucopia di dané. Macché,
porca miseria, Gavazza Umberto in marcia verso Roma, vestito d’orbace e
stivalato a dovere, cancella anche quello. Seicento euro, ed è già cara grazia,
e solo per chi ha più di 75 anni, e solo per il 2023. Cioè un bonus, alla fine,
uno di quei tanti odiati bonus che il programma voleva eliminare e oplà, altra
riga tirata su una voce dell’elenco, altra promessa cancellata strada facendo. E
del resto anche il/la Meloni che prometteva “mille euro agli italiani che ne
hanno bisogno con una semplice domanda”, si sentirà un po’ ridicola, pensando a
quella sua promessa populista, di cui circola impietoso il video in cui lei
guarda dritto in camera, pancia in dentro, petto in fuori: mille euro per
tutti… e lì il camerata Gavazza la riga l’aveva già tirata da un pezzo, tanto
era cretina e peregrina la promessa. E poi altra riga sulle famose multe
annullate, che insomma è vero sì ed è vero no, perché decideranno i comuni e
non è detto che le abbuonino, forse si limiteranno a limare gli interessi. E
poi riga definitiva, tirata forever a cancellare la famosa flat tax, che al
momento è un regalo agli autonomi fino a 85.000 euro, mentre nel foglietto
degli impegni solenni del gerarca bacia-salami, alla vigilia, era la madre di
tutte le promesse: il 15 per cento di Irpef per tutti. Risate in sottofondo e
il camerata Gavazza che ancora una volta estrae il foglietto dalla tasca e una
matita dall’altra e dice: “E anche questa… cancelliamo”. Ecco, niente male per
quelli che erano arrivati per fargliela vedere, ai burocrati di Bruxelles!, e
che poi, andati per menare, erano stati menati loro, al grido poco littorio del
“Forse che ci lasceremo intimidire?”. Risposta: sì. Di seguito,
“Troppi slogan così la destra alla prova
del governo delude i suoi elettori”, intervista di Maria Novella De Luca al
decano dei sociologi italiani Giuseppe De Rita fondatore del Censis – Istituto di
ricerca socioeconomica – pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” dell’11 di
gennaio 2023:
"Questa Destra è impreparata a governare. E i suoi elettori, la
piccola borghesia, le periferie, le corporazioni che non hanno votato sui
programmi ma soltanto come onda di opinione, hanno scoperto di essere
impreparati alle delusioni della Politica. La benzina che aumenta perché
tornano le accise, il carrello della spesa che sfora tutte le previsioni, la
povertà che avanza. L'Italia di chi ha votato Giorgia Meloni oggi è questa:
politici che devono imparare la complessità proprio mestiere e un pezzo del
Paese che teme di essere stato ingannato".
(…). Siamo già alla delusione degli elettori
di Giorgia Meloni, professor De Rita? "In parte sì. Gli aumenti pesano
seriamente sulla vita delle famiglie. Pensate ai dietrofront sulla benzina, sul
Pos, sui rapporti con l'Europa, sulle pensioni. Governare non è fare campagna
elettorale, è gestire la complessità. Parola che in questi tempi non piace a
nessuno. Del resto anche Meloni non fa più proclami, ha abbassato i toni".
Crede che questa delusione si trasformerà in
protesta? "Non ancora. Perché la rabbia si condensi ci vuole un obiettivo,
un'ideologia. E chi ha votato questo governo non è ideologico, è un popolo
variegato che ha scelto sull'onda emotiva dei propri interessi. Come era
avvenuto sei anni fa per i grillini. Gli italiani di Destra mugugnano davanti
alla pompa di benzina, ma non scendono in piazza. Siamo in una stasi
depressiva. L'onda emotiva però è una mia preoccupazione".
Si fonda sugli slogan mentre governare è
altra cosa? "Esattamente. Questi partiti di Destra non hanno un apparato,
non hanno una scuola di politica. Arrivano al Governo basandosi sui sondaggi e
poi devono trattare con il Fondo Monetario Internazionale, devono decidere
sulla guerra in Ucraina. Su misure che poi toccano il nervo vivo della società.
Ma non è un talk show".
Impareranno a governare? "Spero di sì. Così
come forse i loro elettori impareranno ad aspettare. Con una differenza
sostanziale: i primi sono in Parlamento, con uno stipendio assicurato, gli
altri fanno i conti con la nuova povertà".
Nostalgia della prima e della seconda
repubblica? "Di certo avevamo politici più preparati. Pensi sia ai
comunisti che ai democristiani. Mi sono sorpreso io stesso a rimpiangere
partiti che avevano strutture forti, non soltanto leader. (…). Ma una parte
dell'Italia, quella che ha votato questa Destra, voleva parole d'ordine
semplici. Pagare meno tasse o la libertà di non vaccinarsi anche se il Covid
continua a fare vittime. Per poi rendersi conto che si trattava,
inevitabilmente, di promesse".
Intanto siamo sempre più poveri. Il latte ha
sfondato la soglia dei due euro, così la pasta, il pane. "E adesso benzina
e diesel. Una povertà che intacca sempre di più anche la classe media. Al di là
del carrello della spesa, che era già in salita prima che Meloni diventasse
premier, è il prezzo dei carburanti, indicatore strategico per gli italiani, la
prima vera delusione degli elettori di Destra".
Come fosse insomma un brutto risveglio di
chi ha votato unicamente sull'onda emotiva? "Con i proclami mica si fa la
legge finanziaria, si convince l'Europa sui nostri conti, si nomina il
presidente del Consiglio di Stato o si gestiscono migrazioni epocali. Nella
comunicazione politica oggi tutto è declinato come nei talk show, uno contro
l'altro che si urlano senza mai produrre un pensiero. Una modalità che sta
contagiando addirittura la Chiesa. Non a caso Bergoglio l'ha definito un
tragico chiacchiericcio. Però, non è sempre stato così. Anche io, da giovane,
negli anni Cinquanta facevo parte di quei giovani che ritenevano bastasse la
propria opinione per governare".
Ci racconti quell'Italia, De Rita. "Facevo
parte del gruppo di giovani che si ritrovavano nel pensiero di Ugo La Malfa,
con l'idea di portare al governo la spinta delle élites culturali che credevano
in una certa modernizzazione del Paese, dove la cultura politica aveva un ruolo
dominante. In parte questo è avvenuto. Oggi l'opinione sono soltanto
urli".
Addirittura nella Chiesa, professor De Rita?
"Da buon cattolico, domenica scorsa, come ogni domenica, sono andato a
messa. E con stupore ho letto nel bollettino della parrocchia il resoconto di
un incontro sulla guerra che si era tenuto proprio lì. Avevano invitato chi era
a favore e chi era contro la guerra in Ucraina. Ma la Chiesa ha la sua voce, il
suo magistero, non ha bisogno di talk show".
De Rita, se i prezzi non calano, se le tasse
non scendono, quanto ci metteranno gli italiani ad arrabbiarsi con la Destra
che hanno votato? "Due anni. Tempo massimo. E sarebbe già un record per la
politica italiana".
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