“Storiedall’EstdelMondo” 1. “L’Odessa felice di
Puskin” di Daria Galateria, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di
Repubblica” del 5 di agosto dell’anno 2022: A Odessa, Puškin (Mosca,
1799 - San Pietroburgo 1837 n.d.r.) rifiorì. Da più di tre anni era confinato in
Moldavia a Chisinau; era una graziosa concessione dello zar, che in realtà lo
avrebbe preferito in Siberia - considerava sediziose le sue poesie, e negli
interrogatori ai dissidenti si chiedeva sempre: "Legge le poesie di
Puškin?" ("E chi non legge le poesie di Puškin?" rispondevano,
ragionevolmente). A Chisinau, lo scrittore si annoiava, nonostante il suo capo,
il generale Insov, lo avesse in simpatia; per punizione dei suoi atti più
scapestrati gli requisiva le scarpe per due giorni, ed era tutto; ma la noia
stava diventando depressione, e il medico suggerì bagni di mare. A giugno del
1823, Puškin partì per Odessa. La città era in costruzione. Edificata per
volontà del duca di Richelieu - il pronipote del Cardinale, emigrato della
Rivoluzione francese e caro agli zar - Odessa aveva insegne e strade dai nomi
francesi, vie peraltro non ancora lastricate, e invase dalla polvere e dal
fango (le carrozze allora erano trainate da buoi). Vi si sentiva parlare
italiano, greco, tedesco, moldavo - tutti commercianti accorsi; nelle librerie
Puškin trovava quasi solo libri francesi, e il padrone del suo albergo, l'Hotel
des Voyageurs, il barone Rénaud, era arrivato che era parrucchiere, ed era
stato Richelieu a dargli il titolo. Anche lo chef, col suo cappello da cuoco,
era francese, ed egregio, César Automne. Puškin faceva rapidi bagni, e un
giorno che, passeggiando, osservava con troppa insistenza le batterie di una
guarnigione, un ufficiale gli chiese allarmato il nome; e subito si entusiasmò:
"Signori, ecco Puškin!", e ordinò una salva di cannone. Migliaia di
piccole luci a olio disegnarono la strada e i contorni delle case il 15 luglio,
per l'arrivo del nuovo viceré, conte Vorontsov. Ricchissimo, fastoso,
raffinato, "mylord" Vorontsov prese Puškin nella Cancelleria: ma
anche, presto, in antipatia - mentre la graziosa contessa sua moglie gli aprì i
suoi principeschi conviti e la sua amicizia; certo gli trovavano un
"cervello caotico", ma così divertente. La biblioteca del conte offrì
a Puškin letture vaste e inattese (gli ispirarono l'Imitazione del Corano); e a
Odessa insomma, dove "passava il respiro dell'Europa", Puškin doveva
essere di buon umore, se la grande slavista Serena Vitale vi registra un solo
duello, e pure dubbio. In compenso, Puškin compose, insieme a un nuovo capitolo
dell'Onegin, alcuni dei suoi temibili epigrammi contro il viceré, che lo spedì
commissario a un'invasione di cavallette in Crimea. Lui, Puškin, nome nobile da
sei secoli! Chiese le dimissioni: fu deportato nella casa di famiglia.
“Storiedall’EstdelMondo” 2. “Gogol’ all’osteria” di Daria Galateria, pubblicato sul
settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 30 di settembre dell’anno 2022: Nikolaj
Gogol' (Sorocincy Poltava, 1809 – Mosca 1852 n.d.r.) naturalmente
sapeva cucinare i vareniki (ravioli a mezzaluna), gli gnocchi galuski e altri
piatti piccolorussi (ucraini); ma eccelleva anche negli spaghetti, che
preparava tali e quali (diceva lui) a quelli del "Lepre", la sua
osteria preferita a Roma. Si metteva in piedi (Gogol' scriveva anche in piedi)
davanti alla zuppiera, e scolati i maccheroni ben crudi, aggiungeva una gran
quantità di burro, mescolava - maniche rimboccate - due volte, aggiungeva sale
pepe e parmigiano, e rigirava a lungo. Poi di gran corsa bisognava fare i
piatti e mangiare. All'osteria, Gogol' trattava il cameriere nel modo più
capriccioso, rimandava indietro il riso troppo scotto, poi lo rinviava
trovandolo crudo (il servitore glieli cambiava con il sorriso più accomodante,
chiamandolo "signor Niccolò"), e quando trovava il piatto di suo
gusto ci si buttava, con tutti i lunghi capelli; solo poi si rovesciava
all'indietro, diventando allegro e loquace, anche col cameriere di prima (va
detto che anche gli amici definivano "patriarcali" i suoi modi col
cameriere Jakim). All'amica Balabina scriveva (in italiano) di tornare a Roma,
a gustarne l'aria dolce (la lettera è del 1838) "come il riso alla
milanese". Banchetti sontuosi Gogol' li organizzava, per sdebitarsi, nel
suo onomastico, 9 maggio (…). Rientrando da Roma, ospite dello storico Dmitrij
Pogodin, Gogol' parlamentava col cuoco della casa: ogni tanto gli urlava
"Te ne devi andare!" e si rivolgeva a chef di talento - purché beninteso
talento "semplice e ucraino"; vino di qualità, e usignoli: perché
cantassero durante il pranzo, Gogol' ne appendeva alcuni in gabbia nei tigli
del vasto giardino, ai due lati della tavolata: era un'orchestrina di trilli.
Gogol' partiva in viaggio per dimenticare i suoi fiaschi, con una sacca quasi
vuota. Dopo la Svezia, la Germania, e dopo Parigi (detestata), gli sembrava che
in Italia "tutto si è fermato in un punto, e non va più avanti"; però
aggiungeva: "di Roma ti innamori lentamente, e per sempre"; vi
ritrovava i piatti cucinati "all'antica, come presso gli ucraini di
vecchio stampo". In Europa Gogol' ha visto "cambiamenti", ma
"l'Italia è fatta per viverci". Conosceva la plebe di Trastevere così
bene da sbalordire il grande critico Sainte-Beuve: "Ancora non è stata
scritta una storia dove si veda il popolo, la gente", gli diceva Gogol'; e
familiarizzava con l'altro genio che si occupava del popolino, l'adorato
Giuseppe Gioacchino Belli, che incontrava "alle mense" della vicina
di casa russa, "Sor'Artezza Zzenavida Vorkonski", come cantava il
poeta.
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