Ha scritto Michele Serra in “Diamo retta ai ragazzi del clima” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 13 di gennaio 2023:
(…). …il nocciolo politico della questione è
uno solo: se e come sia ancora possibile fermare l’inerzia micidiale dello
sviluppo così come è strutturato. Ovvero massimo sfruttamento delle risorse, massimo
profitto in tempi brevi, interesse molto tiepido (e molto recente) per gli
impatti ambientali e dunque per le condizioni di vita dell’umanità nel futuro
prossimo. C’è chi è convinto che la tecnologia risolverà tutti i problemi. La
mia opinione è che la tecnologia, da sé sola, non ha altro scopo all’infuori di
se stessa. Senza di lei non possiamo farcela, ma senza un orientamento politico
e culturale giusto, e virtuoso, la tecnologia è solo un’arma che ciascuno può
impugnare per il suo profitto privato. Mi ha molto colpito un’affermazione
dello scrittore Paolo Giordano: «Serve cultura scientifica, ma in una cornice
umanistica». Non si potrebbe dire meglio. Dunque è importante che ci siano
giovani che si appassionano e si battono perché l’umanità cerchi di
civilizzarsi, rendendo la propria presenza compatibile con il Pianeta. Noi
“vecchi” abbiamo facoltà di assecondarli o di combatterli, e questo ci
definisce in profondità. (…). …a proposito del dovere della verità. Oggi negare
il cambiamento climatico, l’influenza su di esso delle attività umane, la
mentalità predatoria che prevale nel mondo, equivale a negare la verità.
Abbiamo un compito di testimonianza, noi che scriviamo sui giornali, e dobbiamo
cercare di non tradirlo. Di seguito, “L’art. 9 della Carta: Noi, la Terra e i nostri figli” di Gustavo
Zagrebelsky pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 9 di ottobre dell’anno
2022: È un segno della maturazione culturale di noi singoli individui
rispetto al cosmo. Questo è l'articolo 9 della nostra Costituzione modificato
con l'introduzione del comma: la Repubblica "Tutela l'ambiente, la
biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni.
La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali".
Leggendo la Costituzione prima di questa modifica, si parlava di tutela
dell'ambiente, non di generazioni future, e questa è sì una novità. L'articolo
9 così modificato è una norma che ha uno scarso valore giuridico, ma le
Costituzioni non valgono solo per chi le ha, dovrebbero durare. Così modificato
questo articolo 9 ha un grandissimo valore etico-morale: la Costituzione ci
vuole suggerire un atteggiamento nei confronti del cosmo, del mondo tutto
intero. Un atteggiamento che in termini tecnici, filosofici, si direbbe
"olista'': mentre fino a qualche anno fa si sarebbe considerato l'essere
umano al centro della creazione, ora gli esseri umani sono sì una bella cosa ma
possono anche essere pericolosi, da qui la crisi ecologica, climatica e quanto
deriva dalle nostre cattive azioni in termini di mancata tutela dell'ambiente
che ci circonda. Parla di generazioni future e, per la prima volta, parla anche
di diritti degli animali. Le generazioni future per definizione non esistono
ancora: il fatto che la nostra Costituzione si riferisca a dei diritti senza soggetti
conferma il valore morale ed etico della dichiarazione. Ha una grandissima
valenza di responsabilità. Ma più che di diritti delle generazioni future,
dovremmo parlare di nostri doveri nei loro confronti. Dobbiamo renderci conto
che, rispetto alla formula tradizionale "i figli debbono amare i propri
genitori", qui siamo al rovesciamento: siamo noi che dobbiamo amare le
generazioni future, questi soggetti, pur se fittizi per il momento. Thomas
Jefferson scriveva che "la Terra appartiene ai viventi": per la prima
volta noi siamo padroni della Terra, possiamo fare della Terra quello che
vogliamo. Era una polemica con le concezioni precedenti, secondo le quali noi
non siamo padroni della Terra, ma siamo legatari di un bene - il pianeta - che
va conservato per quelli che arriveranno dopo: le generazioni viventi che
devono preservare quelle future. Invece con le rivoluzioni di fine 700 c'è un
rovesciamento in termini individualistici: noi siamo padroni, e possiamo fare
ciò che vogliamo. Ora invece c'è un appello al conservatorismo: dobbiamo conservare.
Siamo di fronte al rischio di una catastrofe, che forse è già in corso. Ha
fallito la nostra civiltà. Quello che
sta accadendo era in qualche modo già stato prefigurato, a metà del secolo
scorso, da Martin Heidegger, sommo filosofo, filosofo dello sviluppo tecnico e
del veleno contenuto nello sviluppo tecnico. Heidegger ha fatto una rilettura
della Storia degli ultimi due millenni e mezzo, a partire da un passo del primo
stasimo di Antigone, la tragedia di Sofocle del V secolo a.C.: l'uomo è tante
cose terribili e meravigliose al tempo stesso. Perché è un essere, dice
Sofocle, trasformatore e violatore della natura: il contadino con l'aratro ferisce
la terra, la chiglia delle navi che passano nel mare e in qualche modo lo
solcano feriscono a loro volta. In queste attività c'è del meraviglioso ma c'è
anche del terribile. Secondo Heidegger la tecnica e l'economia sarebbero
diventate sovrane: ricordate la sua famosa formula che fa venire i brividi
"solo un Dio ci potrà salvare", cioè un miracolo. Bisogna partire
dalle radici, capire da dove veniamo. Le parole sono sacre: Platone diceva che
ogni cosa ha diritto alla sua parola. Se usiamo le parole sbagliate facciamo un
torto alla nostra intelligenza. Ma non fermiamoci alle parole, sennò facciamo
discorsi autoconsolatori. Non dobbiamo fermarci al salvarci l'anima. Ci sono
dei programmi di tutela ambientale, delle convenzioni molto importanti (Kyoto,
Parigi): hanno cambiato qualcosa? No, sono rimasti lettera morta. C'è il
Progetto Europa 2030: si sta facendo qualche cosa? No, si sta facendo il contrario,
perché la crisi energetica ha rimesso in moto le centrali inquinanti. Quello
che turba i miei pensieri - non sono particolarmente ottimista - è questa domanda:
la difesa dell'ambiente sembra essere un tema solo per noi Paesi industrializzati
e ricchi, andiamo un po' a dire alle popolazioni del centro Africa o dell'Asia -che
si stanno industrializzando in maniera frenetica per recuperare il distacco rispetto
al mondo che noi abbiamo costruito - che devono rinunciare allo sviluppo, che
devono fermarsi. Avrebbero tutto il diritto di dire: fermatevi voi. Noi,
piuttosto che morir di fame, preferiremmo non morir di fame e alle generazioni future
ci penseremo dopo. Prima di tutto va stabilita una condizione di sostanziale
uguaglianza tra le popolazioni del pianeta. Altri, per sopravvivere, hanno oggi
diritto di inquinare e questo si contrappone radicalmente con noi che ora diciamo:
abbiamo il dovere di non inquinare. Dietro, c'è una questione di potere, di
potenza.
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