"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 26 gennaio 2023

MadreTerra 03 Gustavo Zagrebelsky: «Thomas Jefferson scriveva che "la Terra appartiene ai viventi"».

       "Fratello albero". Nella faggeta di Serrastretta (Calabria, 31_10_2022). 

Ha scritto Michele Serra in “Diamo retta ai ragazzi del clima” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 13 di gennaio 2023:

(…). …il nocciolo politico della questione è uno solo: se e come sia ancora possibile fermare l’inerzia micidiale dello sviluppo così come è strutturato. Ovvero massimo sfruttamento delle risorse, massimo profitto in tempi brevi, interesse molto tiepido (e molto recente) per gli impatti ambientali e dunque per le condizioni di vita dell’umanità nel futuro prossimo. C’è chi è convinto che la tecnologia risolverà tutti i problemi. La mia opinione è che la tecnologia, da sé sola, non ha altro scopo all’infuori di se stessa. Senza di lei non possiamo farcela, ma senza un orientamento politico e culturale giusto, e virtuoso, la tecnologia è solo un’arma che ciascuno può impugnare per il suo profitto privato. Mi ha molto colpito un’affermazione dello scrittore Paolo Giordano: «Serve cultura scientifica, ma in una cornice umanistica». Non si potrebbe dire meglio. Dunque è importante che ci siano giovani che si appassionano e si battono perché l’umanità cerchi di civilizzarsi, rendendo la propria presenza compatibile con il Pianeta. Noi “vecchi” abbiamo facoltà di assecondarli o di combatterli, e questo ci definisce in profondità. (…). …a proposito del dovere della verità. Oggi negare il cambiamento climatico, l’influenza su di esso delle attività umane, la mentalità predatoria che prevale nel mondo, equivale a negare la verità. Abbiamo un compito di testimonianza, noi che scriviamo sui giornali, e dobbiamo cercare di non tradirlo. Di seguito, “L’art. 9 della Carta: Noi, la Terra e i nostri figli” di Gustavo Zagrebelsky pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 9 di ottobre dell’anno 2022: È un segno della maturazione culturale di noi singoli individui rispetto al cosmo. Questo è l'articolo 9 della nostra Costituzione modificato con l'introduzione del comma: la Repubblica "Tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali". Leggendo la Costituzione prima di questa modifica, si parlava di tutela dell'ambiente, non di generazioni future, e questa è sì una novità. L'articolo 9 così modificato è una norma che ha uno scarso valore giuridico, ma le Costituzioni non valgono solo per chi le ha, dovrebbero durare. Così modificato questo articolo 9 ha un grandissimo valore etico-morale: la Costituzione ci vuole suggerire un atteggiamento nei confronti del cosmo, del mondo tutto intero. Un atteggiamento che in termini tecnici, filosofici, si direbbe "olista'': mentre fino a qualche anno fa si sarebbe considerato l'essere umano al centro della creazione, ora gli esseri umani sono sì una bella cosa ma possono anche essere pericolosi, da qui la crisi ecologica, climatica e quanto deriva dalle nostre cattive azioni in termini di mancata tutela dell'ambiente che ci circonda. Parla di generazioni future e, per la prima volta, parla anche di diritti degli animali. Le generazioni future per definizione non esistono ancora: il fatto che la nostra Costituzione si riferisca a dei diritti senza soggetti conferma il valore morale ed etico della dichiarazione. Ha una grandissima valenza di responsabilità. Ma più che di diritti delle generazioni future, dovremmo parlare di nostri doveri nei loro confronti. Dobbiamo renderci conto che, rispetto alla formula tradizionale "i figli debbono amare i propri genitori", qui siamo al rovesciamento: siamo noi che dobbiamo amare le generazioni future, questi soggetti, pur se fittizi per il momento. Thomas Jefferson scriveva che "la Terra appartiene ai viventi": per la prima volta noi siamo padroni della Terra, possiamo fare della Terra quello che vogliamo. Era una polemica con le concezioni precedenti, secondo le quali noi non siamo padroni della Terra, ma siamo legatari di un bene - il pianeta - che va conservato per quelli che arriveranno dopo: le generazioni viventi che devono preservare quelle future. Invece con le rivoluzioni di fine 700 c'è un rovesciamento in termini individualistici: noi siamo padroni, e possiamo fare ciò che vogliamo. Ora invece c'è un appello al conservatorismo: dobbiamo conservare. Siamo di fronte al rischio di una catastrofe, che forse è già in corso. Ha fallito la nostra civiltà.  Quello che sta accadendo era in qualche modo già stato prefigurato, a metà del secolo scorso, da Martin Heidegger, sommo filosofo, filosofo dello sviluppo tecnico e del veleno contenuto nello sviluppo tecnico. Heidegger ha fatto una rilettura della Storia degli ultimi due millenni e mezzo, a partire da un passo del primo stasimo di Antigone, la tragedia di Sofocle del V secolo a.C.: l'uomo è tante cose terribili e meravigliose al tempo stesso. Perché è un essere, dice Sofocle, trasformatore e violatore della natura: il contadino con l'aratro ferisce la terra, la chiglia delle navi che passano nel mare e in qualche modo lo solcano feriscono a loro volta. In queste attività c'è del meraviglioso ma c'è anche del terribile. Secondo Heidegger la tecnica e l'economia sarebbero diventate sovrane: ricordate la sua famosa formula che fa venire i brividi "solo un Dio ci potrà salvare", cioè un miracolo. Bisogna partire dalle radici, capire da dove veniamo. Le parole sono sacre: Platone diceva che ogni cosa ha diritto alla sua parola. Se usiamo le parole sbagliate facciamo un torto alla nostra intelligenza. Ma non fermiamoci alle parole, sennò facciamo discorsi autoconsolatori. Non dobbiamo fermarci al salvarci l'anima. Ci sono dei programmi di tutela ambientale, delle convenzioni molto importanti (Kyoto, Parigi): hanno cambiato qualcosa? No, sono rimasti lettera morta. C'è il Progetto Europa 2030: si sta facendo qualche cosa? No, si sta facendo il contrario, perché la crisi energetica ha rimesso in moto le centrali inquinanti. Quello che turba i miei pensieri - non sono particolarmente ottimista - è questa domanda: la difesa dell'ambiente sembra essere un tema solo per noi Paesi industrializzati e ricchi, andiamo un po' a dire alle popolazioni del centro Africa o dell'Asia -che si stanno industrializzando in maniera frenetica per recuperare il distacco rispetto al mondo che noi abbiamo costruito - che devono rinunciare allo sviluppo, che devono fermarsi. Avrebbero tutto il diritto di dire: fermatevi voi. Noi, piuttosto che morir di fame, preferiremmo non morir di fame e alle generazioni future ci penseremo dopo. Prima di tutto va stabilita una condizione di sostanziale uguaglianza tra le popolazioni del pianeta. Altri, per sopravvivere, hanno oggi diritto di inquinare e questo si contrappone radicalmente con noi che ora diciamo: abbiamo il dovere di non inquinare. Dietro, c'è una questione di potere, di potenza.

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