"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 23 gennaio 2023

Eventi. 96 «Da Meloni a Schlein il fondamentalismo atlantista».


Ha scritto oggi, lunedì 23 di gennaio 2023, Tomaso Montanari in “Ritrovare nel santo La Pira l’opposizione alla guerra” pubblicato su “il Fatto Quotidiano”: (…). A rileggere oggi le parole incandescenti di La Pira si prova contemporaneamente una stretta al cuore (per quanto siamo regrediti), e un senso di liberazione (per la capacità di restituire, malgrado tutto, fiducia nel futuro). Egli vedeva distintamente che l'umanità si trovava ormai su quello che chiamava un "crinale apocalittico", ma proprio per questo pensava che fosse ineludibile il cammino su quel "sentiero di Isaia" alla fine del quale i popoli "faranno delle loro spade aratri e delle loro lance falci; un popolo non brandirà più la spada contro un altro popolo; e non impareranno più l'arte della guerra". L'impossibilità di vincere la guerra, argomentava La Pira, doveva cancellare la guerra stessa: "L'età atomica, nella quale la storia è entrata il 6 agosto 1945 con lo scoppio della prima atomica di Hiroshima (appena 0.015 mega-toni!) e nella quale è incredibilmente avanzata in questi tre decenni (siamo già ad un milione di megatoni disponibili; nella sola Europa vi sono oltre 10 mila testate nucleari, una vera polveriera capace di far esplodere in pochi minuti l'intiero continente) fa sempre più emergere, mettendola in grandissimo rilievo, la profezia di Isaia: al negoziato, al disarmo ed alla pace non c'è alternativa!" (1972). Negli anni precedenti, La Pira si era speso senza risparmio contro la guerra del Vietnam, non esitando a condannare l'Occidente: "Diciamolo francamente, con fermezza e senza esitazione - aveva scritto nel 1966-, questo diluvio di bombe, di fuoco, di distruzione e di morte che da circa due anni si rovescia paurosamente ogni giorno ed ogni notte, senza interruzioni, su un piccolo, mite, anche se fiero, popolo di contadini, non deve protrarsi più oltre! Ora basta! Esso degrada l'intiero Occidente che lo compie, o pigramente lo sopporta: provoca l'orrore dei popoli di ogni continente. 'Un grido in Rama si udì, pianto e grave lamento: è Rachele che piange i suoi figli (si potrebbe tradurre: le madri di Hanoi e le madri americane che piangono i loro figli), né vuole essere consolata, perché non sono più", Era la spaccatura del mondo in due blocchi ciò che La Pira non accettava: "Il destino storico degli Stati Uniti non è quello militare della guerra e della distruzione: è quello scientifico e tecnico della pace e della edificazione! È il destino - congeniale alla storia del popolo americano ed a questa nuova età della storia del mondo - delle 'frontiere nuove' indicato da Kennedy; quello della 'grande società' non solo americana, ma mondiale, indicato in felice prospettiva da Johnson stesso nel discorso di investitura del 20 gennaio 1965: è il destino della edificazione dei ponti con l'Est e con tutti i popoli ed in tutti i continenti". Non si fatica, dunque, a immaginare che oggi La Pira si troverebbe perfettamente d'accordo con papa Francesco nella ferma condanna dell'aggressione di Putin, e al tempo stesso nella condanna della volontà di potenza occidentale: le due forze che impediscono di giungere a una pace in Ucraina, e rendono attuale lo spettro di una catastrofe nucleare. Non avrebbe avuto paura, La Pira, di farsi dare del putiniano, o del nemico dell'Occidente: come non ebbe paura, nel 1961, di finire indagato (per il doppio reato di violazione della censura e apologia del reato di obiezione di coscienza) per aver organizzato una proiezione pubblica di Non uccidere di Claude Autant- Lara. Del resto, il discorso di La Pira era evangelicamente fondato sul "sì, sì, no, no”; (…). …nel 1950 (…) al Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi per dirgli: “So bene che la critica è più facile dell'azione: ma così non può andare: davanti al quadro mondiale che ci sta davanti, al cospetto delle "velocità atomiche" delle situazioni che il mondo presenta in tutti i settori (economico, finanziario, politico, culturale), non è possibile tirare a-vanti coi metodi che noi attualmente usiamo". È a un'Italia che continua ad alimentare una guerra mostruosa con un ininterrotto flusso di armi, che oggi la voce di questo profeta torna a ripetere: basta, con questo diluvio di fuoco e di morte! Di seguito, “Abbiamo normalizzato pure la guerra e le armi” di Donatella Di Cesare pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 21 di gennaio ultimo: (…). Siamo ormai arrivati a questo: la guerra si è normalizzata. Non avremmo mai voluto dirlo, né tantomeno scriverlo. E ancora fino a qualche mese fa, resistevano lo stupore per un conflitto sul suolo europeo, l’indignazione per l’invio di armi, la protesta per l’assenza di negoziati di pace. Adesso l’eccezione della guerra, quella che i bellicisti giuravano sarebbe durata qualche settimana, è diventata la norma, mentre noi abbiano finito per assuefarci. Come se fosse un’ovvietà familiarizzarsi con la guerra, accettare che rientri nel nostro orizzonte. Dimentichiamo volentieri i rischi a cui ci esponiamo (come quelli nucleari alla centrale di Zaporizhzhia), tralasciamo ipocritamente i danni che spedendo armi infliggiamo ad altri, sbandierati invece per benefici. Certo, la propaganda è stata martellante, aggressiva, sfrontata. E continua a esserlo. Gli stessi cliché, le stesse assurde forzature, le stesse mielose menzogne. Ancora adesso c’è chi ripete il ritornello di Vlad il mattacchione che ha combinato questo disastro. Noi che siamo dalla parte del Bene prima o poi ne verremo fuori. Mandiamo più armi per “preparare la pace”. In realtà il fondamentalismo atlantista è diventato una vera e propria religione, con i suoi credo, i suoi dogmi e l’inevitabile crociata. Non sono ancora chiari gli effetti di quest’inedita dottrina, che sembra far saltare l’opposizione destra-sinistra (in diversi Paesi europei). Quello che conta è lo scontro democrazie-oligarchie. Grazie a questo schema l’estrema destra di Meloni ha potuto insediarsi al governo senza troppi ostacoli. La meraviglia, che persiste all’estero, sottovaluta questo tema. È bastata la nuova professione di fede atlantista per sdoganare i vecchi fascisti. Non parliamo poi di quello che è avvenuto nel centrosinistra, lì dove c’era da aspettarsi dall’inizio una fermezza contro questa guerra. Nel Pd, che ha pagato caro il cieco militarismo della prima ora, destano sconcerto parole come quelle di Elly Schlein, piene di ambiguità, eppure almeno in questo chiare: sì all’invio di armi. In una fase costituente, o ricostituente, come quella attraversata dal Pd, la guerra avrebbe dovuto essere la prima questione all’ordine del giorno, vagliata, analizzata, discussa nei suoi diversi aspetti. Invece tutto viene liquidato in uno slogan imbarazzante. Da Meloni a Schlein il fondamentalismo atlantista si è affermato facendo proseliti e insinuandosi un po’ ovunque, come se fosse ovvio accettare un conflitto europeo, come se fosse normale una terza guerra mondiale. Che dire poi di quel che si preannuncia a breve: Zelensky a Sanremo? Un capo di Stato in guerra che interviene a un festival di canzoni per chiedere che si mandino carri armati, scudi missilistici, ecc. Usare la musica popolare a sostegno della propaganda bellicista è un’abiezione. C’è da augurarsi che quell’opposizione che ancora esiste – dal M5S a SI – chieda conto di una tale scelta. Quest’iniziativa dà tuttavia la misura di quel che succede. In realtà, qui il popolo è e resta contro questa guerra. Il problema, lo sappiamo, è la rappresentanza, la possibilità di esprimere e coagulare quel dissenso che esiste. Non fa dimenticare la guerra Papa Francesco, che la menziona ogni volta, la domenica, il mercoledì, quando può. Le sue parole sono un baluardo contro l’oblio e la normalizzazione. Ma anche il mondo cattolico, che pure sin dall’inizio ha reagito, non riesce davvero a far sentire la propria voce e il proprio peso, quasi a sua volta travolto e frammentato da eventi così tragici e dirompenti. Più passa il tempo e più la pace perde. Si restringono le possibilità di negoziati, si approfondisce il solco, aumentano l’odio e la sete di vendetta, propende a tacere chi pensa che non è con le armi che si risolvono i conflitti tra i popoli. Ma non diciamo ancora che ha vinto la guerra.

Nessun commento:

Posta un commento