"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 25 gennaio 2023

Lamemoriadeigiornipassati. 36 «Cara Liliana, da bambino abitavo proprio davanti a casa tua…».


GiornatadellaMemoria”. “Lettera alla senatrice Liliana Segre” di Michele Serra riportata in “Basta anche una sola persona” sul quotidiano “la Repubblica” di ieri, 24 di gennaio 2023: (…). Cara Liliana, da bambino abitavo proprio davanti a casa tua, a Milano, e niente sapevo della tua storia e di quella di migliaia di milanesi deportati. Non c'erano pietre di inciampo, non c'era giorno della memoria, la gente voleva solo dimenticare la guerra, lavorare, rimuovere il passato. Ho fatto la tua stessa scuola elementare, la Ruffini, e niente e nessuno, in quella scuola, parlava dei bambini che appena vent'anni prima, da un giorno all'altro, avevano lasciato i banchi vuoti. Quando l'Equipe 84 incise Auschwitz di Francesco Guccini (1966), in pochi sapevamo il significato di quel nome. "Son morto ch'ero bambino, son morto con altri cento": non credo che in molti, da ragazzini, chiesero spiegazioni ai loro genitori o ai loro insegnanti. Se anche fosse una minoranza quella che ora sa, quella che conserva memoria, è una minoranza molto larga, e molto agguerrita. Di tutte le età, e non disposta a dimenticare. Della maggioranza di ignavi, o di menefreghisti, non curarti più del necessario. La storia, da sempre, viene fatta da minoranze coscienti e attive. Tu sei l'esempio vivente di quello che può fare, in onore della verità, anche una persona sola. Di seguito, “La Memoria rischia l’oblio” di Haim Baharier - Parigi (1947), figlio di genitori polacchi reduci dai campi di sterminio, matematico, psicoanalista, considerato tra i principali studiosi di ermeneutica biblica e di pensiero ebraico – riportata su “il Fatto Quotidiano” del 27 di gennaio dell’anno 2021: “Nit’l” disse papà sorridendo, quando entrò nella mia camera. Io come al solito, appena sentito suonare alla porta, avevo afferrato un volume del Talmud – la raccolta delle discussioni sui testi sacri della tradizione ebraica – e l’avevo poggiato aperto sulla mia piccola scrivania. Facevo sempre così, per non farmi trovare mentre leggevo l’ultimo Tex. “Nit’l, non si studia, Haimele. Prepara la scacchiera”. Era Natale. Il divieto di studiare questi testi sacri a Natale, a lungo mi è sembrato un’evidenza, ossia l’assoluta incompatibilità tra il significato della festività cristiana e l’essenza stessa dell’ebraismo. Soltanto un po’ di anni fa ho letto che questo divieto rabbinico era nato nel Medioevo per salvare vite ebree. Siccome i libri di studio, rari e preziosi, erano custoditi nei templi dei borghi e delle città, gli ebrei uscivano di sera per andare a studiare. Uscire la notte di Natale significava rischiare la vita, perché era un giorno propizio ai pogrom, con il pretesto di vendicare l’uccisione di Gesù. Questo divieto rabbinico si è poi trasformato in una usanza folcloristica, molto apprezzata dagli studenti delle scuole talmudiche che per la maggior parte non ne conoscono l’origine e quindi non ne capiscono l’attuale significato. L’usanza, in realtà, dovrebbe servire da barriera alla rimozione. Siamo nel mese della memoria e siamo preoccupati dal ridursi del numero dei sopravvissuti ai campi di sterminio. Chi andrà nelle scuole a parlare alle ragazze e ai ragazzi con infinita pazienza e dolorosa umiltà, con sorprendente intuito pedagogico? Chi accenderà le candeline della memoria, versando le lacrime a loro tempo impedite? Chi mai potrà sostituirsi a Primo Levi? La memoria che pratichiamo confina pericolosamente con la memoria celebrativa e rischia di diventarlo del tutto, con l’estinzione dell’ultimo sopravvissuto. Come evitare tale disastro e trasformare la memoria incarnata in pensiero arricchente? Lo sapete ormai, è una mia abitudine rivolgere alla Torah – la prima parte dei testi sacri della tradizione ebraica – le domande scomode che trasformano le mie notti in ore di insonnia. Scopro che fondandosi su una parola del testo dai molteplici significati, il Midrash (l’oralità della Torah consegnata alla scrittura), una dozzina di secoli fa, scriveva di una Shoah successa in Egitto durante il penultimo flagello, quello della tenebra. Vi perirono, precisa il Midrash, i quattro quinti del popolo degli schiavi, esattamente le proporzioni degli ebrei europei trucidati durante la Shoah moderna. Il testo prosegue narrando vari episodi di ribellione del popolo appena liberato contro Mosè, la loro guida. “In Egitto avevamo acqua a volontà, cibo prelibato, e quanto meno sepolcri”. Sento risuonare nella mia memoria una battuta di papà: “Certo, la baguette è speciale, ma vuoi mettere il pane di Lodz? Il pane del Paese considerato il granaio d’Europa!”. Mi sembrava allora che in questo modo, venissero rimossi tutti i pogrom perpetuati durante oltre dieci secoli di presenza ebrea in Polonia. Certamente ero poco tollerante, ma intellettualmente e psicologicamente allerta. Tornando al testo della Torah, scopriamo che l’ultima pretesa avanzata dagli anziani del popolo è la conferma della presenza divina nel loro seno. A questo punto, gli occhi si alzano verso le alture e, colto dal terrore, il popolo scopre le orde di Amaleq, contro le quali andrà poi a combattere. Chi erano gli amaleciti? I nazisti di allora, presentati come discendenti di Esaù, fratello del terzo patriarca Giacobbe. Notiamo sin d’ora la preoccupazione della Torah di non descrivere il nazismo e i nazisti come mostri, bensì come il volto del fratello, il volto alterato dell’umano. Di rimozione in rimozione, ci si crea un passato quanto meno accettabile, quindi dignitoso e così si ignorano i segnali seppur chiari ed evidenti della catastrofe che si sta annunciando. Pensiamo al vero e proprio pogrom verificatosi nella Polonia dell’immediato dopoguerra, a Kielce, nel 1946. La senatrice Liliana Segre diceva che la Shoah occuperà meno di dieci righe nei libri di storia del futuro prossimo. Come abbiamo visto, la Torah è ancora più parsimoniosa d’inchiostro e vi dedica una sola parola che significa, nello stesso tempo, “un quinto” e “armato”. Vogliamo pensare che essa intenda ribadire, a tutto l’Occidente, la necessità di rimanere vigili, armati, sia intellettualmente che militarmente, per affrontare qualsiasi deriva d’intolleranza, qualsiasi invettiva, anche quelle così flagranti e caricaturali da sembrare trascurabili? Bisogna pensare sin d’ora che quando l’ultimo reduce avrà acceso l’ultima candela della memoria, dovremo già aver cessato di rimuovere le ferite inflitte all’ego individuale e collettivo dell’Occidente, in ogni circostanza e in qualsiasi modo. Volendo fare due esempi a rischio, mi lascerei interpellare dalla demonizzazione di Israele da parte di una certa classe politica dell’Europa democratica e dall’impreparazione di tutta l’Europa di fronte a un Covid ampiamente preannunciato.

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