Ha scritto Michele Serra in “I fascisti son fascisti” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”
del 10 di gennaio 2023: "I fascisti son fascisti", diceva
sempre il mio vecchio amico Sergio, la cui anima vaga libera e serena tra i
canneti del fiume Mincio. Lui lo diceva in mantovano (non saprei come
trascriverlo) ma è una frase di significato universale. Mi è tornata in mente
vedendo i bolsonarini all'assalto della democrazia brasiliana, mi tornò in
mente quando i trumpisti violarono il Congresso e quando i fascisti nostrani
stuprarono la Cgil, mi torna in mente leggendo certi titoli di giornali di
destra che danno forma grafica alle spedizioni punitive. I fascisti son
fascisti, ecco tutto. Poi ci sono i necessari distinguo, le ovvie varianti
storiche e geografiche, le sfumature che molto influiscono sul quadro
d'assieme. Ma al fondo la questione rimane una sola, ed è che la ragione
sociale dell'estrema destra, il suo Dna storico e culturale, è l'odio per la
democrazia. Fa bene ricordare, almeno ogni tanto, che "odio per la democrazia"
non è un concetto formale, o solamente ideologico. Significa odiare la libertà
degli altri e cercare di impedirla con ogni mezzo. E gli altri non sono solo
Biden e Lula: sono milioni di persone. In Sudamerica questo odio personale ha
preso forme atroci (e molto dimenticate) con le dittature militari, che sono
state la culla politica ed emotiva di Bolsonaro. Oppositori uccisi e fatti
sparire a migliaia, torturati e gettati dagli aerei, i loro figli rapiti e
assegnati a famiglie "per bene", elezioni ribaltate con la violenza
(Pinochet), indios trattati da sottuomini in buona sinergia con chi vuole sfruttare
i loro territori, bande paramilitari che fanno il lavoro sporco per conto dei
loro capi in giacca e cravatta. Il solo sentimento del tutto inopportuno, (…),
è la meraviglia. Di seguito, “Il
fascismo che ritorna”, di Furio Colombo, pubblicato sul quotidiano “la
Repubblica” dell’11 di gennaio ultimo: Avrò avuto undici anni e camminavo a caso
per i viali deserti di Torino quando andai a sbattere contro il corpo di un
uomo impiccato a un albero. Ho saputo in modo istantaneo che si trattava di un
delitto fascista. I resti delle spedizioni di Salò venivano lasciati dovunque,
un corpo sul marciapiede, uno dentro un portone, per essere certi che i
cittadini sapessero, come si fa quando si lasciano in giro le tracce delle
feste. Ricordo bene quel momento. Come un flash ho visto un pensiero proiettato
ben chiaro in quel cielo invernale: "Ci sarà un dopo". Era un
pensiero di rivolta, come per tutto il movimento partigiano che mi brulicava
intorno. Ma non di vendetta. Prevaleva la persuasione che l'Antifascismo
avrebbe liberato il mondo dal fascismo con una zampata definitiva e che le
imprese sinistre del fascismo non sarebbero sopravvissute neppure nella memoria
di chi non poteva ammettere di averle compiute. Il peso insopportabile di
troppi morti avrebbe spinto altrove la storia, la vita, il sentimento italiano,
nella appassionata ricerca di ritorno a un percorso umano. Eppure adesso sono
diventate chiare due cose in chi aveva vissuto dal vero, come me, l'incubo del fascismo.
La prima è che in grande maggioranza i fascisti sono restati tra noi come
reduci fra i reduci, a guerra finita. A nessuno di loro - ben motivati e
organizzati - a suo tempo era sfuggito un solo ebreo e un solo antifascista
(salvo i rifugiati di conventi e di case non infettate dal fascismo). Ma
nessuno, dopo, ne ha chiesto conto, al punto che alcuni hanno ricoperto
cariche. La seconda, che si è fatta strada rapidamente, era che - in un Paese
grigio e propenso a vedere come va a finire prima di decidere - è sembrato
normale e civile riconoscere che se ci sono gli antifascisti è naturale che ci
siano anche i fascisti. Non puoi zittirli a causa di fatti avvenuti in altre
circostanze e in un altro tempo. Ecco perché al presidente del Senato La Russa non
è sembrato di avere detto niente di sbagliato, elogiando il fascismo tramite il
Movimento Sociale Italiano (partito neofascista che aveva occupato il posto
libero di una estrema destra ancora da definire). La Russa aveva ragione e
comprensibilmente si è indignato per le critiche al suo elogio del fascismo
tramite Msi, perché ha capito prima di altri che stava occupando un altissimo
ruolo non nella rivoluzione ma nella continuazione. Il fascismo non era mai
andato via (si pensi alle stragi, dalla Banca dell'Agricoltura alla P2) e
adesso è legittimato ad andare avanti da una poderosa vittoria di un partito di
estrema destra che - salvo respingere fino alle lacrime ogni partecipazione
alla Shoah - del fascismo e del Msi si è preso tutto, compresa l'emanazione di
leggi, come quella che vuole eliminare le organizzazioni umanitarie che salvano
i profughi in mare e punire gli autori dei salvataggi, come chi nascondeva
quelli privi di fede nel fascismo. Sembra una storia nuova perché fino ad ora
molti italiani si erano prudentemente astenuti. Ma adesso che una massa (che
cresce ancora) ha assicurato il suo sostegno a un partito dotato di comando
unico, di regime fuori dalla Costituzione, del progetto di un nuovo tipo di
presidente, mentre c'è un presidente in carica e all'inizio del mandato, la
storia italiana si rimette in movimento verso l'ubbidienza, la lode al capo, e
i confini che devono restare inviolabili (benché minacciati da nessuno, salvo
profughi in transito che vorrebbero non morire), ottimo pretesto per dimostrare
che in Italia, Paese senza legalità e incline ad abolire percorsi legali, i non
legali non entrano perché non esistono. L'estrema destra ha sempre voluto le
sue vittime come prova del successo, e adesso può esibirne due gruppi: quelli
che muoiono in mare, compresi donne e bambini, e quelli che questa Italia consegna
alla Libia (spesso con barche italiane sottratte alle operazioni di salvezza)
per essere assegnati alle gabbie di tortura. Qui occorre introdurre una
constatazione tremenda. Non c'è stato nessuno, fra i confusi schieramenti
politici italiani opposti alla destra, che si sia assunto la difesa dei
migranti in fuga, non di quelli affogati, non di quelli salvati da barche
umanitarie, considerate già allora, per questi salvataggi, "pirate".
Ben prima della installazione del regime (che discende dal Msi che discende da
Salò, come dice bene La Russa) trovate l'immagine di una Italia ottusa, che
avrebbe bisogno di più esseri umani per sopravvivere, ma li butta in mare. Non
togliamo però i meriti che spettano alla solida installazione del regime di
destra. Qui la lotta ai migranti non è più un sotterfugio di chi finge
solidarietà e poi toglie la barca. Qui, adesso, è un grande principio fuori
Costituzione, che autorizza le guardie di regime a chiudere i confini come
conferma di forza e di grandezza. Come vedete il pensiero liberatorio del
bambino bloccato dal fascismo ("ci sarà un dopo") è restato in
sospeso, nel cielo invernale di guerra.
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