“Guerra&Media”. Ha scritto Raniero La Valle in “Ucraina, la guerra non è mai routine: va
ripudiata” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri giovedì 25 di agosto
2022: In TV ci si domanda perché la guerra in Ucraina è sparita dalla
campagna elettorale che peraltro si sta facendo nella stessa TV. Già, perché è sparita? Chi conosce un po’ di giornalismo
sa che a “fare notizia” è ciò che è nuovo e fuori dell’ordinario, per esempio
un padrone che morde il cane, non un cane che morde il padrone. La guerra in
Ucraina non fa più notizia perché è diventata di routine, dura da sei mesi, e
non accenna a finire. E perché non finisce? È una guerra bizzarra e insensata:
essa non era affatto necessaria: platealmente annunciata (dall’armata russa sul
confine) non ci voleva niente ad evitarla. Bastava smettere di dire che
l’Ucraina stava per entrare nella NATO (come aveva osato affermare il
cancelliere tedesco Scholz), bastava per il Donbass rispettare gli accordi di
Minsk, e l’aggressione non ci sarebbe stata; poi sarebbe bastato un negoziato
in cui si stabilisse la neutralità dell’Ucraina e un’autodeterminazione per il
Donbass, come ventilato subito nell’incontro tra i belligeranti ad Ankara, e la
guerra sarebbe immediatamente cessata. Invece Biden e la NATO si sono
affrettati a dire che sarebbe stata una guerra di lunga durata, Zelensky è
andato su tutti i teleschermi del mondo a chiedere armi, gli “Alleati” e Draghi
gliene hanno fornito sempre di più, e la guerra è diventata perenne, né Putin
ha scatenato l’Armata ex Rossa o ha voluto rischiare i 26 milioni di morti
della II guerra mondiale per occupare Kiev e farla finire in fretta. Così la
guerra d’Ucraina è diventata una guerra strutturale, non più tra Russia e
Ucraina, ma per il nuovo “ordine” del mondo, mettendo ai margini la Russia e la
Cina. La guerra mondiale “a pezzi”, lamentata dal Papa, è diventata così una
guerra mondiale intera, con un solo “pezzo” votato al sacrificio dai suoi
amici, dai suoi nemici e dai suoi cattivi governanti, l’Ucraina. È questa la
ragione per cui prendiamo il lutto per l’Ucraina, partecipiamo al suo immenso
dolore, vittima com’è di un gioco che la supera. Ma come mai, evitata la terza
guerra mondiale per tutto il Novecento, si è preso spensieratamente il rischio
di farla nel 2000? La ragione è che tutti sono convinti, o sperano, che non sia
una guerra nucleare; Putin ha del resto assicurato che non userà l’atomica se
non nel caso che la Russia sia al limite di scomparire come Stato. D’altra
parte la dottrina sulla guerra non è più
quella virtuosa millantata fino a ieri, solo “di difesa” (come si chiamano ora i ministeri che
prima erano “della guerra”) o di reazione a un’aggressione; dopo la catastrofe
imprevista delle Due Torri la “Strategia
della sicurezza nazionale americana” ha stabilito che non si può lasciare “che i nemici sparino per
primi”, la deterrenza non funziona, la
miglior difesa è l’attacco, gli Stati Uniti agiranno, se necessario, preventivamente: tutto testuale.
Così, esorcizzata l’atomica, Il recupero
della guerra, deciso subito dopo la rimozione del muro di Berlino con la guerra del Golfo, si è reso effettivo,
ed ecco che ora la guerra è diventata strutturale, fondativa, è stata ripristinata cioè come strutturante delle
relazioni internazionali e dell’ordine
del mondo, come è sempre stata dall’inizio della storia fino ad ora, indissolubile dalla politica degli
Stati; la guerra non solo come continuazione, ma come sostituzione della
politica con altri mezzi. Questa è la ragione per farne il ripudio. Nella
Costituzione italiana esso già c’è, ma la guerra non si fa mai da soli, se non
è ripudiata anche dagli altri, il ripudio non funziona. E neanche ci permettono
di praticarlo: durante l’equilibrio del terrore, nella divisione internazionale
(atlantica) del lavoro a noi era assegnato il compito di distruggere l’Ungheria
con i missili da Comiso; chissà perché dovevamo prendercela con
l’Ungheria. Poi abbiamo fatto anche noi
la guerra all’Iraq, poi da Aviano sono partiti gli aerei che bombardavano
Belgrado, ed ora abbiamo riempito di armi l’Ucraina e facciamo anche quella
guerra là. Perciò in tanti abbiamo preso l’iniziativa di proporre ai candidati
al futuro Parlamento di promuovere un
Protocollo ai Trattati internazionali
esistenti per un ripudio generalizzato della guerra e la difesa dell’integrità della Terra; e in pochi giorni
da quando l’abbiamo annunciata le
adesioni sono state molte centinaia, da Enrico Calamai, “lo Schindler di Buenos Aires”, come viene
chiamato, al vescovo Mogavero, da Moni
Ovadia a Luigi Ferrajoli e Tecla Mazzarese, da “Costituente Terra” al “Centro Balducci”: un successo, ma
soprattutto un impegno e una speranza. E il ripudio deve essere “sovrano”: cioè
deve stare sopra a tutto, ed essere propugnato non solo dai governi, ma dai
parlamentari e dagli abitanti e cittadini della Terra come sovrani. Sul
"Corriere della Sera" si sono domandati poi “dove stanno i cattolici
in questa campagna elettorale”, dato che non si preoccupano nemmeno del Credo
inalberato da Salvini (ma quale, il credo apostolico o il credo
niceno-costantinopolitano?). Bene, se li cercassero li troverebbero, insieme
agli altri, tra i sostenitori di questa iniziativa, tra quelli che vanno a
portare gli aiuti all’Ucraina invasa, tra quelli che con la "Mediterranea
Savings Humans" e le altre navi umanitarie tirano fuori i naufraghi dal
Mediterraneo e li fanno scampare ai flutti, ai lager e alla Guardia costiera
libica, finanziata e patrocinata da noi, e in chi ogni domenica chiede la pace
dalla finestra di piazza San Pietro. Di seguito, «Le 7
previsioni dei “draghiani” smentite dalla realtà» di Alessandro Orsini pubblicato
su “il Fatto Quotidiano” del 23 di agosto ultimo: Il governo Draghi è prossimo
all’invio di nuovi armi pesanti in Ucraina? Alcune indiscrezioni, non smentite
dal governo, dicono di sì. Forse questa è anche la ragione per cui i partiti
stanno evitando scrupolosamente di toccare questo tema delicato. Fino ad
aprile, i politici italiani trovavano piuttosto agevole giustificare il loro
appoggio alla linea politica di Biden che consiste nel solo invio di armi e
niente più. La guerra era appena iniziata e nessuno aveva elementi concreti per
smentire il grande inganno. I draghiani assicuravano che gli ucraini, uccidendo
tanti soldati russi con le armi occidentali, avrebbero costretto Putin ad
arrendersi piuttosto in fretta. Siamo al 23 agosto e i fatti hanno decretato
che la promessa è ormai smentita: i soldati russi sono morti in gran numero, ma
Putin bombarda più di prima. Il problema è che è stata smentita anche la
seconda promessa degli amici di Draghi, secondo cui le sanzioni avrebbero messo
in ginocchio la Russia mentre l’Occidente avrebbe continuato a prosperare. È
stata smentita anche la terza promessa, secondo cui la crisi economica in
Russia avrebbe causato una rivolta popolare che avrebbe rovesciato Putin. È
stata smentita anche la quarta promessa che annunciava l’imminente assassinio
di Putin per mano dei suoi stessi generali a causa del cattivo andamento della
campagna militare. È stata smentita anche la quinta promessa, secondo cui la
Russia si sarebbe trovata completamente isolata a livello internazionale,
mentre noi assistiamo a un fenomeno ben diverso: la Russia gode di sostegno
internazionale e solidarietà da parte di un gran numero di Stati, inclusa
l’Algeria super filo-russa, da cui Draghi ha deciso di dipendere per il gas. È
stata smentita anche la sesta promessa, secondo cui avremmo assistito alla
separazione tra la Cina e la Russia che, invece, sono sempre più unite,
complice anche la crisi di Taiwan. Infine, è stata smentita la settima
promessa, in base alla quale gli ucraini, magari lentamente ma comunque
certamente, avrebbero liberato i territori occupati dai russi anche grazie alle
armi italiane. Contro queste previsioni ottimistiche, che messe insieme
rappresentano il “grande inganno” del tempo in cui viviamo, la Russia ha
conquistato larga parte del Donbass. Dal momento che tutte le promesse del
fronte bellicista sono state smentite, i candidati premier non sanno più che
cosa promettere e, quindi, preferiscono non parlare della guerra in Ucraina. La
fine di tutte le promesse mette a nudo la politica occidentale in Ucraina che
consiste nell’alimentare la guerra dall’esterno senza nessuna proposta di pace
o idea di come uscirne. I candidati premier non sanno più che cosa dire e
allora non dicono niente, risolvendo, si fa per dire, il problema alla radice.
Stupisce la mancanza di un conduttore televisivo che li incalzi a dovere. Pare
che a nessun conduttore venga in mente di porre queste semplici domande: “Mi
scusi, caro candidato premier, ma lei ha occhi per vedere che la strategia
occidentale di inviare armi pesanti in Ucraina non ha prodotto nessuna delle
conseguenze che avevate annunciato?”; “mi scusi, caro candidato premier, ma lei
riesce a vedere che in Ucraina le cose vanno sempre peggio mentre l’Italia non
fa niente per migliorare la situazione o per riflettere sugli errori commessi
finora da Biden che guida il convoglio occidentale?”. Giunti a questo punto, le
nostre domande si moltiplicano: perché i conduttori non pongono domande così
ovvie? Com’è organizzato il mondo dell’informazione in Italia? Perché il
dibattito sulla politica internazionale si riduce a una celebrazione delle
scelte del governo Draghi? Qual è il livello di libertà dell’Università
italiana e dei suoi professori su questioni tanto delicate? La mancanza di
critiche alle politiche della Nato in Ucraina esprime consenso o paura del
dissenso?
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