"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 26 agosto 2022

Eventi. 85 «La guerra d’Ucraina è diventata una guerra strutturale per il nuovo “ordine” del mondo».

Guerra&Media”. Ha scritto Raniero La Valle in “Ucraina, la guerra non è mai routine: va ripudiata” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri giovedì 25 di agosto 2022: In TV ci si domanda perché la guerra in Ucraina è sparita dalla campagna elettorale che peraltro si sta facendo nella stessa TV.  Già, perché è sparita? Chi conosce un po’ di giornalismo sa che a “fare notizia” è ciò che è nuovo e fuori dell’ordinario, per esempio un padrone che morde il cane, non un cane che morde il padrone. La guerra in Ucraina non fa più notizia perché è diventata di routine, dura da sei mesi, e non accenna a finire. E perché non finisce? È una guerra bizzarra e insensata: essa non era affatto necessaria: platealmente annunciata (dall’armata russa sul confine) non ci voleva niente ad evitarla. Bastava smettere di dire che l’Ucraina stava per entrare nella NATO (come aveva osato affermare il cancelliere tedesco Scholz), bastava per il Donbass rispettare gli accordi di Minsk, e l’aggressione non ci sarebbe stata; poi sarebbe bastato un negoziato in cui si stabilisse la neutralità dell’Ucraina e un’autodeterminazione per il Donbass, come ventilato subito nell’incontro tra i belligeranti ad Ankara, e la guerra sarebbe immediatamente cessata. Invece Biden e la NATO si sono affrettati a dire che sarebbe stata una guerra di lunga durata, Zelensky è andato su tutti i teleschermi del mondo a chiedere armi, gli “Alleati” e Draghi gliene hanno fornito sempre di più, e la guerra è diventata perenne, né Putin ha scatenato l’Armata ex Rossa o ha voluto rischiare i 26 milioni di morti della II guerra mondiale per occupare Kiev e farla finire in fretta. Così la guerra d’Ucraina è diventata una guerra strutturale, non più tra Russia e Ucraina, ma per il nuovo “ordine” del mondo, mettendo ai margini la Russia e la Cina. La guerra mondiale “a pezzi”, lamentata dal Papa, è diventata così una guerra mondiale intera, con un solo “pezzo” votato al sacrificio dai suoi amici, dai suoi nemici e dai suoi cattivi governanti, l’Ucraina. È questa la ragione per cui prendiamo il lutto per l’Ucraina, partecipiamo al suo immenso dolore, vittima com’è di un gioco che la supera. Ma come mai, evitata la terza guerra mondiale per tutto il Novecento, si è preso spensieratamente il rischio di farla nel 2000? La ragione è che tutti sono convinti, o sperano, che non sia una guerra nucleare; Putin ha del resto assicurato che non userà l’atomica se non nel caso che la Russia sia al limite di scomparire come Stato. D’altra parte la dottrina sulla  guerra non è più quella virtuosa millantata fino a ieri, solo “di  difesa” (come si chiamano ora i ministeri che prima erano “della guerra”) o di reazione a un’aggressione; dopo la catastrofe imprevista delle Due  Torri la “Strategia della sicurezza nazionale americana” ha stabilito che  non si può lasciare “che i nemici sparino per primi”, la deterrenza non  funziona, la miglior difesa è l’attacco, gli Stati Uniti agiranno, se  necessario, preventivamente: tutto testuale. Così, esorcizzata l’atomica,  Il recupero della guerra, deciso subito dopo la rimozione del muro di  Berlino con la guerra del Golfo, si è reso effettivo, ed ecco che ora la guerra è diventata strutturale, fondativa, è stata  ripristinata cioè come strutturante delle relazioni internazionali e  dell’ordine del mondo, come è sempre stata dall’inizio della storia fino ad  ora, indissolubile dalla politica degli Stati; la guerra non solo come continuazione, ma come sostituzione della politica con altri mezzi. Questa è la ragione per farne il ripudio. Nella Costituzione italiana esso già c’è, ma la guerra non si fa mai da soli, se non è ripudiata anche dagli altri, il ripudio non funziona. E neanche ci permettono di praticarlo: durante l’equilibrio del terrore, nella divisione internazionale (atlantica) del lavoro a noi era assegnato il compito di distruggere l’Ungheria con i missili da Comiso; chissà perché dovevamo prendercela con l’Ungheria.  Poi abbiamo fatto anche noi la guerra all’Iraq, poi da Aviano sono partiti gli aerei che bombardavano Belgrado, ed ora abbiamo riempito di armi l’Ucraina e facciamo anche quella guerra là. Perciò in tanti abbiamo preso l’iniziativa di proporre ai candidati al  futuro Parlamento di promuovere un Protocollo ai Trattati internazionali  esistenti per un ripudio generalizzato della guerra e la difesa  dell’integrità della Terra; e in pochi giorni da quando l’abbiamo  annunciata le adesioni sono state molte centinaia, da Enrico Calamai, “lo  Schindler di Buenos Aires”, come viene chiamato, al vescovo Mogavero,  da Moni Ovadia a Luigi Ferrajoli e Tecla Mazzarese, da “Costituente  Terra” al “Centro Balducci”: un successo, ma soprattutto un impegno e una speranza. E il ripudio deve essere “sovrano”: cioè deve stare sopra a tutto, ed essere propugnato non solo dai governi, ma dai parlamentari e dagli abitanti e cittadini della Terra come sovrani. Sul "Corriere della Sera" si sono domandati poi “dove stanno i cattolici in questa campagna elettorale”, dato che non si preoccupano nemmeno del Credo inalberato da Salvini (ma quale, il credo apostolico o il credo niceno-costantinopolitano?). Bene, se li cercassero li troverebbero, insieme agli altri, tra i sostenitori di questa iniziativa, tra quelli che vanno a portare gli aiuti all’Ucraina invasa, tra quelli che con la "Mediterranea Savings Humans" e le altre navi umanitarie tirano fuori i naufraghi dal Mediterraneo e li fanno scampare ai flutti, ai lager e alla Guardia costiera libica, finanziata e patrocinata da noi, e in chi ogni domenica chiede la pace dalla finestra di piazza San Pietro. Di seguito, «Le 7 previsioni dei “draghiani” smentite dalla realtà» di Alessandro Orsini pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 23 di agosto ultimo: Il governo Draghi è prossimo all’invio di nuovi armi pesanti in Ucraina? Alcune indiscrezioni, non smentite dal governo, dicono di sì. Forse questa è anche la ragione per cui i partiti stanno evitando scrupolosamente di toccare questo tema delicato. Fino ad aprile, i politici italiani trovavano piuttosto agevole giustificare il loro appoggio alla linea politica di Biden che consiste nel solo invio di armi e niente più. La guerra era appena iniziata e nessuno aveva elementi concreti per smentire il grande inganno. I draghiani assicuravano che gli ucraini, uccidendo tanti soldati russi con le armi occidentali, avrebbero costretto Putin ad arrendersi piuttosto in fretta. Siamo al 23 agosto e i fatti hanno decretato che la promessa è ormai smentita: i soldati russi sono morti in gran numero, ma Putin bombarda più di prima. Il problema è che è stata smentita anche la seconda promessa degli amici di Draghi, secondo cui le sanzioni avrebbero messo in ginocchio la Russia mentre l’Occidente avrebbe continuato a prosperare. È stata smentita anche la terza promessa, secondo cui la crisi economica in Russia avrebbe causato una rivolta popolare che avrebbe rovesciato Putin. È stata smentita anche la quarta promessa che annunciava l’imminente assassinio di Putin per mano dei suoi stessi generali a causa del cattivo andamento della campagna militare. È stata smentita anche la quinta promessa, secondo cui la Russia si sarebbe trovata completamente isolata a livello internazionale, mentre noi assistiamo a un fenomeno ben diverso: la Russia gode di sostegno internazionale e solidarietà da parte di un gran numero di Stati, inclusa l’Algeria super filo-russa, da cui Draghi ha deciso di dipendere per il gas. È stata smentita anche la sesta promessa, secondo cui avremmo assistito alla separazione tra la Cina e la Russia che, invece, sono sempre più unite, complice anche la crisi di Taiwan. Infine, è stata smentita la settima promessa, in base alla quale gli ucraini, magari lentamente ma comunque certamente, avrebbero liberato i territori occupati dai russi anche grazie alle armi italiane. Contro queste previsioni ottimistiche, che messe insieme rappresentano il “grande inganno” del tempo in cui viviamo, la Russia ha conquistato larga parte del Donbass. Dal momento che tutte le promesse del fronte bellicista sono state smentite, i candidati premier non sanno più che cosa promettere e, quindi, preferiscono non parlare della guerra in Ucraina. La fine di tutte le promesse mette a nudo la politica occidentale in Ucraina che consiste nell’alimentare la guerra dall’esterno senza nessuna proposta di pace o idea di come uscirne. I candidati premier non sanno più che cosa dire e allora non dicono niente, risolvendo, si fa per dire, il problema alla radice. Stupisce la mancanza di un conduttore televisivo che li incalzi a dovere. Pare che a nessun conduttore venga in mente di porre queste semplici domande: “Mi scusi, caro candidato premier, ma lei ha occhi per vedere che la strategia occidentale di inviare armi pesanti in Ucraina non ha prodotto nessuna delle conseguenze che avevate annunciato?”; “mi scusi, caro candidato premier, ma lei riesce a vedere che in Ucraina le cose vanno sempre peggio mentre l’Italia non fa niente per migliorare la situazione o per riflettere sugli errori commessi finora da Biden che guida il convoglio occidentale?”. Giunti a questo punto, le nostre domande si moltiplicano: perché i conduttori non pongono domande così ovvie? Com’è organizzato il mondo dell’informazione in Italia? Perché il dibattito sulla politica internazionale si riduce a una celebrazione delle scelte del governo Draghi? Qual è il livello di libertà dell’Università italiana e dei suoi professori su questioni tanto delicate? La mancanza di critiche alle politiche della Nato in Ucraina esprime consenso o paura del dissenso?

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