"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 25 agosto 2022

Notiziedalbelpaese. 77 Brunetta Renato: «Ah, ma sei un dipendente? Perché cazzo parli allora? Perché non ti metti in proprio? No, non parli. Il microfono ce l'ho io e quindi comando io. Continua a fare il tappezziere dipendente».

Promemoriaelettorale”. E così abbiamo anche avuto quel brav’uomo (si fa per dire) che, dall’alto del suo “magistero” quale capo del governo italiano, sollecitava che le “pratiche parlamentari” si snellissero proponendo, a tal fine, che a votare fossero esclusivamente i capi-gruppo e non la pletora parlamentare. E così aveva ben ragione anche quell’Ennio Flaiano quando, interrogato sul giornalismo, la carta stampata e dintorni del bel paese ebbe a dire, solennemente: “Se i culi dei potenti fossero di carta vetrata, sarebbero quasi tutti senza lingua”. Di seguito, “Gli elettori? Una banda di cialtroni” di Fabrizio d’Esposito, Lorenzo Giarelli e Giacomo Salvini pubblicato sul mensile “Millennium” del mese di agosto 2022: (…). Di questi tempi, l'anno scorso, era l'agosto del Ventuno, il senatore-lobbista Matteo Renzi motivò così la sua battaglia contro il reddito di cittadinanza varato (…) dal M5S durante il Conte 1 insieme con la Lega: "Voglio riaffermare l'idea che la gente deve soffrire". Proprio così. Soffrire. Il popolo deve soffrire, senza neanche la consolazione solo immaginaria delle brioche di Maria Antonietta (…). Il re è nudo, ha pure la faccia tosta e finisce per parlare come gli odiati populisti, senza contenersi. Il populismo al contrario. La semantica delle élite è cambiata nell'ultimo decennio, quando la rabbia sociale si è manifestata nell'Occidente capitalista. A far uscire allo scoperto capi di Stato, ministri e leader politici del Gattopardo globale e globalista è stata la paura di perdere tutto, di vedere il crollo del loro mondo antico, ma non piccolo. L'esempio più clamoroso, per certi versi, è stato dopo la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti, nel 2016. Fu allora che Giorgio Napolitano, all'epoca presidente della Repubblica nonché ex comunista di destra, mise in dubbio i valori della democrazia: "Il voto negli Usa è il più sconvolgente nella storia del suffragio universale". Per la serie: va bene votare, ma questo risultato è un disastro. Certo, si potrebbero citare Hitler o Putin, ma il discorso ci porterebbe su un altro terreno. Restiamo a Napolitano su Trump. Le sue parole furono riprese subito da Fabrizio Rondolino, l'ex Lothar dalemiano poi al servizio del citato Renzi: "Il suffragio universale comincia a rappresentare un serio pericolo per la civiltà occidentale. Urca. Che fare? Meno si vota, meglio è. Due le strade percorse in Italia. Governi tecnici oppure tifare per l'astensionismo. Alle ultime amministrative hanno infatti votato perlopiù ceti medi benestanti e ricchi. Meno votano, meglio stiamo. Ecco perché quando l'esecutivo di Mario Draghi è crollato sotto la triplice azione di Conte, Salvini e Berlusconi, gli eredi di Maria Antonietta (…) hanno ripreso a inveire contro il popolo. Le urne all'improvviso aprono di nuovo un baratro populista. Tra i più preoccupati per il futuro c'è il sindaco di Milano Beppe Sala: "Ma davvero c'è un italiano o un'italiana che si sente all'altezza del momento e che ritiene di poter sostituire Draghi nelle cose nazionali o internazionali? Ma per favore...". Come a dire: aboliamo le elezioni, scegliamo il presidente del Consiglio come si sceglie un amministratore delegato. Sempre Sala: "Ho fatto una chiacchierata col presidente del Consiglio nel suo ufficio. E dal suo ufficio sono uscito con una domanda: ma noi italiani ci meritiamo Mario Draghi e Sergio Mattarella? Nel mondo ci sono cambiamenti climatici spaventosi, differenze sociali che si allargano, una pandemia che ci ha messo in ginocchio, guerre che ci coinvolgono direttamente e di cosa si dibatte in Parlamento? Di concessioni balneari? Di taxi, con i partiti che si dividono per calcolo elettorale? Abbiamo ancora bisogno in questo difficilissimo XXI secolo di Camere così, di deputati e senatori senza alcuna competenza e storia professionale che sono rimasti attaccati alla sedia fino a che hanno maturato l'indennità di pensione, alcuni dei quali farfugliano in un italiano incerto? No, di tutto ciò non abbiamo più bisogno". Ignoranti che perdono tempo a parlare di concessioni balneari (bazzecole da miliardi di euro). Gente della strada. Altro fuoriclasse dell'insulto èlitario è Carlo Calenda. Infuriato per la crisi, il leader di Azione ha reagito così: "Un branco di cialtroni e di irresponsabili populisti ha mandato a casa l'italiano più rispettato al mondo". Lui si augurava tutt'altro: "Io spero che Draghi vada alle Camere e dica: 'Il mio programma è continuare ad aiutare l'Ucraina in accordo con Ue/Nato; fare infrastrutture, termo-valorizzatori e rigassificatori; una finanziaria responsabile; niente controriforma delle pensioni; riforma Rdc. Così o ciccia". I partiti hanno scelto ciccia, non potendo contare su un dialogo più costruttivo. Peccato, perché ci sperava anche Matteo Renzi: "Il Draghi bis è la soluzione più efficace: il premier faccia un elenco prendere o lasciare". Di più: quelli contro il governo Draghi sono "populisti beceri e cialtroni". Non poteva non fargli eco Luigi Marattin, deputato renziano che spesso si diletta nell'arte dell'invettiva: "Il MSS ha portato una serie di sgrammaticature nella politica italiana. Quella di dire che si doveva prendere la gente da in mezzo alla strada e metterla a fare i ministri perché solo così è democrazia, che cos'è? Quello è un danno culturale che l'Italia pagherà per decenni. Per quanto mi riguarda loro sono una sciagura e prima si tolgono di mezzo e meglio è". Il concetto di "sciagura" torna spesso nell'eloquio di Italia Viva. Oltre a Marattin lo evoca Renzi e pure Luciano Nobili, che poi riconduce la crisi "a un desiderio di vendetta di Conte" per giunta "teleguidato da Travaglio, Di Battista e Casalino". Nel Pd, a lasciarsi andare è stato invece il senatore Andrea Marcucci. L'ex capogruppo dem se l'è presa con Giorgia Meloni, rea di aver storto il naso di fronte alla lettera in sostegno a Draghi firmata da alcuni sindaci: "Meloni è un'analfabeta istituzionale". Pochi fronzoli. Vergognatevi! Ma il nuovo populismo non è solo una reazione alla crisi di governo. Basta ricordare il dibattito intorno alla guerra in Ucraina, quando chiunque osasse schierarsi contro l'invio di armi a Kiev veniva tacciato di essere putiniano. Ne sanno qualcosa gli organizzatori della Marcia per la pace Perugia-Assisi massacrati su Repubblica da Stefano Cappellini, indignato perché il manifesto della marcia riproponeva (vent'anni dopo il Kosovo) il disegno di due persone alle prese con proiettili provenienti da destra e da sinistra, con in grande un semplice grido di supplica: "Fermatevi!". Un appello contro la guerra? Macché: "Un pugno in faccia. Un affronto. Una vergogna. Traduzione visiva dell'immorale tesi della guerra per procura". Una "mistificazione agghiacciante". Pure un uomo mite come Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, si scoprì d'improvviso un pericoloso fiancheggiatore dei nemici: "Lei mette sullo stesso piano sanzioni e bombardamenti - si sentì dire in uno studio tele-visivo da Federico Rampini - Si tratta di un'offesa vergognosa, una cosa ignobile che rivela da che parte sta. È uno dei tanti che lavora per Putin". Ma il populismo dell'èlite si era manifestato anche sui temi sociali. La povertà percepita come una colpa. In primis dal ministro Renato Brunetta, oggi coccolatissimo dal centrosinistra: "Il reddito di cittadinanza? Lo stiamo riformando. È possibile dare 700/800 euro a chi sta a casa e non ha nessuna voglia di lavorare anche quando gli si fa un'offerta di lavoro? Sapete cosa fanno quando arriva per raccomandata l'offerta di lavoro? Non la aprono". Trattasi ovviamente dello stesso Brunetta che definì i precari "la peggiore Italia" e che un paio di mesi fa, durante un comizio nel veneziano, se l'è presa con un lavoratore: "Ah, ma sei un dipendente? E cosa chiede il tuo datore di lavoro? Prova a chiedere a lui. Perché cazzo parli allora?  Perché non ti metti in proprio? No, non parli. Il microfono ce l'ho io e quindi comando io. Continua a fare il tappezziere dipendente". E se le parole sono importanti, che dire del senatore Gaetano Quagliariello, che per definire il reddito di cittadinanza ha parlato di "voto di scambio istituzionalizzato"? Il banchiere e il pasticcione. Ed è proprio sui giornali che spesso si ritrova questa forma di èlitarismo rabbioso. Lo si è percepito con la crisi di governo, certo, ma non soltanto. In quelle giornate abbiamo visto Massimo Franco, sul Corriere della Sera, bastonare i fautori della rottura con Draghi, ridotta a "pericolosa farsa", "nemesi di un populismo in declino" che cerca di "assecondare gli istinti più irresponsabili". Allo stesso modo, su Repubblica Natalia Aspesi è parsa inferocita, non solo coi populisti, ma pure con quel "giornaletto" così poco allineato che è il Fatto Quotidiano. La filippica parte da lontano: "Se ha voglia (Conte, ndr) mi spieghi perché crede che un pasticcione senza storia sarebbe meglio di uno che ha condotto serenamente la Banca centrale europea. Non è di parole di sinistra che oggi il Paese ha bisogno, ma di competenza, di passione, del rispetto del mondo, di fiducia". Siccome c'è Draghi a Palazzo Chigi, obbligatorio mettere da parte ogni discussione sui temi. Poi l'affondo: "L'avvocato non ha nulla di tutto ciò, andando alle elezioni non avrebbe neanche più voti: ma certo ci sono i vecchi amici cui accodarsi, la Lega per esempio. E questa volta lo chiedo io, chi lo finanzia, perché un giornaletto pare edito solo per lui, perché una televisione gli dedica ore ogni giorno? Come mai solo Putin si è detto felice della decisione di Draghi? E le democrazie sono preoccupate". Attenzione però, perché a proposito di populismi La Stampa ci mette in guardia da un pericolo prossimo venturo. Non più il solito populismo a cui abbiamo quasi fatto il callo, ma qualcosa di più profondo: "Un nuovo ircocervo s'avanza sulla scena politica nazionale. Tu chiamalo, se vuoi, il dibba-raggismo. Un annuncio e un'anticipazione di quell'iperpopulismo che potrebbe rilevare e rimpiazzare il populismo semplice". La Stampa non è l'unica ad allarmarsi per il possibile ritorno di Alessandro Di Battista. E i toni dei commentatori sono quelli che sono. Basta leggere Sebastiano Messina su Repubblica, autore de "Le grandi scoperte dell'esploratore Di Battista". Un attacco a freddo, privo di contestazioni specifiche, dove il "subcomandante Dibba" è preso in giro perché "viaggia senza sosta 'per comprendere il mondo e raccontarlo", con riferimento al suo reportage in Russia i cui articoli sono pubblicati dal Fatto. "Scoprirà presto altri miracoli - sghignazza Messina - E li rivelerà a noi uomini di poca fede: nella prossima puntata del Dibba Tour". L'affaire massa lubrense. Se però esiste un caso emblematico di questa tendenza - anche linguistica - al disgusto per chi non bazzica la Ztl, allora bisogna citare l'affaire Massa Lubrense, incidente diplomatico figlio del troppo sentimento per il premier uscente. Tutto nasce da un commento su Repubblica di Concita De Gregorio, peraltro ex direttrice dell'Unità. Nel resoconto dell'ultima giornata di Draghi in Senato, scrive De Gregorio: "Aveva il tono di uno che, titolare di cattedra ad Harvard, è stato incaricato· di una supplenza all'alberghiera di Massa Lubrense. Allora, ha detto a quei due lungagnoni che si pettinavano il ciuffo in fondo all'aula: statemi bene a sentire. Ai primi banchi hanno smesso di masticare chewing gum, la ragazza coi capelli rossi ha messo in pausa un video. La formula che studiamo oggi si chiama 'voto di fiducia". Abbastanza per far infuriare gli interessati; ovvero chi lavora e studia al suddetto istituto alberghiero nel paese della penisola sorrentina. Al punto che Amalia Mascolo, preside dell'Istituto denigrato, ha risposto alla giornalista su La tecnica della scuola: "Si tratta di parole fortemente degradanti e totalmente errate dal punto di vista pedagogico. Noi lavoriamo, ci facciamo in quattro e poi arriva la prima che capita e ci offende. Non capisco questi continui attacchi contro gli istituti professionali, siamo stanchi. Si tratta di un intervento assolutamente gratuito di cui non comprendo la ragione". E menomale che questa è l'èlite e i populisti sono gli altri.

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