“Promemoriaelettorale”. E così abbiamo anche avuto quel brav’uomo (si fa per
dire) che, dall’alto del suo “magistero” quale capo del governo italiano,
sollecitava che le “pratiche parlamentari” si snellissero proponendo, a tal
fine, che a votare fossero esclusivamente i capi-gruppo e non la pletora
parlamentare. E così aveva ben ragione anche quell’Ennio Flaiano quando,
interrogato sul giornalismo, la carta stampata e dintorni del bel paese ebbe a
dire, solennemente: “Se i culi dei potenti fossero di carta vetrata, sarebbero quasi tutti
senza lingua”. Di seguito, “Gli
elettori? Una banda di cialtroni” di Fabrizio d’Esposito, Lorenzo Giarelli
e Giacomo Salvini pubblicato sul mensile “Millennium” del mese di agosto 2022: (…).
Di questi tempi, l'anno scorso, era l'agosto del Ventuno, il senatore-lobbista
Matteo Renzi motivò così la sua battaglia contro il reddito di cittadinanza
varato (…) dal M5S durante il Conte 1 insieme con la Lega: "Voglio
riaffermare l'idea che la gente deve soffrire". Proprio così. Soffrire. Il
popolo deve soffrire, senza neanche la consolazione solo immaginaria delle
brioche di Maria Antonietta (…). Il re è nudo, ha pure la faccia tosta e
finisce per parlare come gli odiati populisti, senza contenersi. Il populismo
al contrario. La semantica delle élite è cambiata nell'ultimo decennio, quando
la rabbia sociale si è manifestata nell'Occidente capitalista. A far uscire
allo scoperto capi di Stato, ministri e leader politici del Gattopardo globale
e globalista è stata la paura di perdere tutto, di vedere il crollo del loro mondo
antico, ma non piccolo. L'esempio più clamoroso, per certi versi, è stato dopo
la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti, nel 2016. Fu allora che Giorgio
Napolitano, all'epoca presidente della Repubblica nonché ex comunista di
destra, mise in dubbio i valori della democrazia: "Il voto negli Usa è il
più sconvolgente nella storia del suffragio universale". Per la serie: va
bene votare, ma questo risultato è un disastro. Certo, si potrebbero citare
Hitler o Putin, ma il discorso ci porterebbe su un altro terreno. Restiamo a
Napolitano su Trump. Le sue parole furono riprese subito da Fabrizio Rondolino,
l'ex Lothar dalemiano poi al servizio del citato Renzi: "Il suffragio
universale comincia a rappresentare un serio pericolo per la civiltà occidentale.
Urca. Che fare? Meno si vota, meglio è. Due le strade percorse in Italia. Governi
tecnici oppure tifare per l'astensionismo. Alle ultime amministrative hanno
infatti votato perlopiù ceti medi benestanti e ricchi. Meno votano, meglio
stiamo. Ecco perché quando l'esecutivo di Mario Draghi è crollato sotto la
triplice azione di Conte, Salvini e Berlusconi, gli eredi di Maria Antonietta (…)
hanno ripreso a inveire contro il popolo. Le urne all'improvviso aprono di
nuovo un baratro populista. Tra i più preoccupati per il futuro c'è il sindaco
di Milano Beppe Sala: "Ma davvero c'è un italiano o un'italiana che si
sente all'altezza del momento e che ritiene di poter sostituire Draghi nelle
cose nazionali o internazionali? Ma per favore...". Come a dire: aboliamo
le elezioni, scegliamo il presidente del Consiglio come si sceglie un amministratore
delegato. Sempre Sala: "Ho fatto una chiacchierata col presidente del
Consiglio nel suo ufficio. E dal suo ufficio sono uscito con una domanda: ma
noi italiani ci meritiamo Mario Draghi e Sergio Mattarella? Nel mondo ci sono
cambiamenti climatici spaventosi, differenze sociali che si allargano, una
pandemia che ci ha messo in ginocchio, guerre che ci coinvolgono direttamente e
di cosa si dibatte in Parlamento? Di concessioni balneari? Di taxi, con i
partiti che si dividono per calcolo elettorale? Abbiamo ancora bisogno in
questo difficilissimo XXI secolo di Camere così, di deputati e senatori senza
alcuna competenza e storia professionale che sono rimasti attaccati alla sedia
fino a che hanno maturato l'indennità di pensione, alcuni dei quali farfugliano
in un italiano incerto? No, di tutto ciò non abbiamo più bisogno".
Ignoranti che perdono tempo a parlare di concessioni balneari (bazzecole da
miliardi di euro). Gente della strada. Altro fuoriclasse dell'insulto èlitario
è Carlo Calenda. Infuriato per la crisi, il leader di Azione ha reagito così:
"Un branco di cialtroni e di irresponsabili populisti ha mandato a casa
l'italiano più rispettato al mondo". Lui si augurava tutt'altro: "Io
spero che Draghi vada alle Camere e dica: 'Il mio programma è continuare ad
aiutare l'Ucraina in accordo con Ue/Nato; fare infrastrutture,
termo-valorizzatori e rigassificatori; una finanziaria responsabile; niente
controriforma delle pensioni; riforma Rdc. Così o ciccia". I partiti hanno
scelto ciccia, non potendo contare su un dialogo più costruttivo. Peccato,
perché ci sperava anche Matteo Renzi: "Il Draghi bis è la soluzione più
efficace: il premier faccia un elenco prendere o lasciare". Di più: quelli
contro il governo Draghi sono "populisti beceri e cialtroni". Non
poteva non fargli eco Luigi Marattin, deputato renziano che spesso si diletta
nell'arte dell'invettiva: "Il MSS ha portato una serie di sgrammaticature
nella politica italiana. Quella di dire che si doveva prendere la gente da in
mezzo alla strada e metterla a fare i ministri perché solo così è democrazia,
che cos'è? Quello è un danno culturale che l'Italia pagherà per decenni. Per
quanto mi riguarda loro sono una sciagura e prima si tolgono di mezzo e meglio
è". Il concetto di "sciagura" torna spesso nell'eloquio di
Italia Viva. Oltre a Marattin lo evoca Renzi e pure Luciano Nobili, che poi
riconduce la crisi "a un desiderio di vendetta di Conte" per giunta
"teleguidato da Travaglio, Di Battista e Casalino". Nel Pd, a
lasciarsi andare è stato invece il senatore Andrea Marcucci. L'ex capogruppo
dem se l'è presa con Giorgia Meloni, rea di aver storto il naso di fronte alla
lettera in sostegno a Draghi firmata da alcuni sindaci: "Meloni è
un'analfabeta istituzionale". Pochi fronzoli. Vergognatevi! Ma il nuovo
populismo non è solo una reazione alla crisi di governo. Basta ricordare il
dibattito intorno alla guerra in Ucraina, quando chiunque osasse schierarsi
contro l'invio di armi a Kiev veniva tacciato di essere putiniano. Ne sanno
qualcosa gli organizzatori della Marcia per la pace Perugia-Assisi massacrati
su Repubblica da Stefano Cappellini, indignato perché il manifesto della marcia
riproponeva (vent'anni dopo il Kosovo) il disegno di due persone alle prese con
proiettili provenienti da destra e da sinistra, con in grande un semplice grido
di supplica: "Fermatevi!". Un appello contro la guerra? Macché:
"Un pugno in faccia. Un affronto. Una vergogna. Traduzione visiva
dell'immorale tesi della guerra per procura". Una "mistificazione
agghiacciante". Pure un uomo mite come Marco Tarquinio, direttore di Avvenire,
si scoprì d'improvviso un pericoloso fiancheggiatore dei nemici: "Lei
mette sullo stesso piano sanzioni e bombardamenti - si sentì dire in uno studio
tele-visivo da Federico Rampini - Si tratta di un'offesa vergognosa, una cosa
ignobile che rivela da che parte sta. È uno dei tanti che lavora per
Putin". Ma il populismo dell'èlite si era manifestato anche sui temi
sociali. La povertà percepita come una colpa. In primis dal ministro Renato
Brunetta, oggi coccolatissimo dal centrosinistra: "Il reddito di
cittadinanza? Lo stiamo riformando. È possibile dare 700/800 euro a chi sta a
casa e non ha nessuna voglia di lavorare anche quando gli si fa un'offerta di
lavoro? Sapete cosa fanno quando arriva per raccomandata l'offerta di lavoro?
Non la aprono". Trattasi ovviamente dello stesso Brunetta che definì i
precari "la peggiore Italia" e che un paio di mesi fa, durante un
comizio nel veneziano, se l'è presa con un lavoratore: "Ah, ma sei un
dipendente? E cosa chiede il tuo datore di lavoro? Prova a chiedere a lui. Perché
cazzo parli allora? Perché non ti metti in
proprio? No, non parli. Il microfono ce l'ho io e quindi comando io. Continua a
fare il tappezziere dipendente". E se le parole sono importanti, che dire
del senatore Gaetano Quagliariello, che per definire il reddito di cittadinanza
ha parlato di "voto di scambio istituzionalizzato"? Il banchiere e il
pasticcione. Ed è proprio sui giornali che spesso si ritrova questa forma di
èlitarismo rabbioso. Lo si è percepito con la crisi di governo, certo, ma non
soltanto. In quelle giornate abbiamo visto Massimo Franco, sul Corriere della
Sera, bastonare i fautori della rottura con Draghi, ridotta a "pericolosa
farsa", "nemesi di un populismo in declino" che cerca di
"assecondare gli istinti più irresponsabili". Allo stesso modo, su
Repubblica Natalia Aspesi è parsa inferocita, non solo coi populisti, ma pure
con quel "giornaletto" così poco allineato che è il Fatto Quotidiano.
La filippica parte da lontano: "Se ha voglia (Conte, ndr) mi spieghi
perché crede che un pasticcione senza storia sarebbe meglio di uno che ha
condotto serenamente la Banca centrale europea. Non è di parole di sinistra che
oggi il Paese ha bisogno, ma di competenza, di passione, del rispetto del
mondo, di fiducia". Siccome c'è Draghi a Palazzo Chigi, obbligatorio
mettere da parte ogni discussione sui temi. Poi l'affondo: "L'avvocato non
ha nulla di tutto ciò, andando alle elezioni non avrebbe neanche più voti: ma
certo ci sono i vecchi amici cui accodarsi, la Lega per esempio. E questa volta
lo chiedo io, chi lo finanzia, perché un giornaletto pare edito solo per lui,
perché una televisione gli dedica ore ogni giorno? Come mai solo Putin si è
detto felice della decisione di Draghi? E le democrazie sono preoccupate".
Attenzione però, perché a proposito di populismi La Stampa ci mette in guardia
da un pericolo prossimo venturo. Non più il solito populismo a cui abbiamo
quasi fatto il callo, ma qualcosa di più profondo: "Un nuovo ircocervo
s'avanza sulla scena politica nazionale. Tu chiamalo, se vuoi, il dibba-raggismo.
Un annuncio e un'anticipazione di quell'iperpopulismo che potrebbe rilevare e
rimpiazzare il populismo semplice". La Stampa non è l'unica ad allarmarsi
per il possibile ritorno di Alessandro Di Battista. E i toni dei commentatori
sono quelli che sono. Basta leggere Sebastiano Messina su Repubblica, autore de
"Le grandi scoperte dell'esploratore Di Battista". Un attacco a
freddo, privo di contestazioni specifiche, dove il "subcomandante
Dibba" è preso in giro perché "viaggia senza sosta 'per comprendere
il mondo e raccontarlo", con riferimento al suo reportage in Russia i cui
articoli sono pubblicati dal Fatto. "Scoprirà presto altri miracoli -
sghignazza Messina - E li rivelerà a noi uomini di poca fede: nella prossima
puntata del Dibba Tour". L'affaire massa lubrense. Se però esiste un caso
emblematico di questa tendenza - anche linguistica - al disgusto per chi non
bazzica la Ztl, allora bisogna citare l'affaire Massa Lubrense, incidente
diplomatico figlio del troppo sentimento per il premier uscente. Tutto nasce da
un commento su Repubblica di Concita De Gregorio, peraltro ex direttrice
dell'Unità. Nel resoconto dell'ultima giornata di Draghi in Senato, scrive De
Gregorio: "Aveva il tono di uno che, titolare di cattedra ad Harvard, è
stato incaricato· di una supplenza all'alberghiera di Massa Lubrense. Allora,
ha detto a quei due lungagnoni che si pettinavano il ciuffo in fondo all'aula:
statemi bene a sentire. Ai primi banchi hanno smesso di masticare chewing gum,
la ragazza coi capelli rossi ha messo in pausa un video. La formula che
studiamo oggi si chiama 'voto di fiducia". Abbastanza per far infuriare
gli interessati; ovvero chi lavora e studia al suddetto istituto alberghiero
nel paese della penisola sorrentina. Al punto che Amalia Mascolo, preside
dell'Istituto denigrato, ha risposto alla giornalista su La tecnica della
scuola: "Si tratta di parole fortemente degradanti e totalmente errate dal
punto di vista pedagogico. Noi lavoriamo, ci facciamo in quattro e poi arriva
la prima che capita e ci offende. Non capisco questi continui attacchi contro
gli istituti professionali, siamo stanchi. Si tratta di un intervento
assolutamente gratuito di cui non comprendo la ragione". E menomale che
questa è l'èlite e i populisti sono gli altri.
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