A lato. "Ratto d'Europa" (1995) di Fernando Botero.
“Promemoriaelettorale”. Ha scritto Dario Vergassola in “Un capitano c’è solo un capitano” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 19 di agosto 2022: Il 29 giugno scorso la Terra ha girato più velocemente, impiegando 1,59 millisecondi in meno del solito. E l'altro giorno allo scoop che la romanista Meloni fosse stata laziale sono girate più velocemente del solito anche le mie balle.
Perché è solo calcio: sarebbe stato
grave se per esempio Di Maio fosse uno che diceva "mai con il Pd".
Vabbè, ho sbagliato esempio. I veri problemi sono che Putin ha chiaramente
aggirato le sanzioni, un po' come quelli che prendono una multa e riescono a
far levare i punti della patente al nonno novantenne. I veri problemi sono che
a Napoli, per strada, una suora ha separato due ragazze che si baciavano, ma a
Civitanova Marche nessuno ha separato due uomini che si massacravano. I veri
problemi sono che mentre Letta e Calenda si comportano come in una faida tra
trapper, Giorgia, nell'anno più caldo degli ultimi due secoli, è l'unica che fa
proposte concrete: meno olio di ricino, più liquido refrigerante. E da neo
romanista canta ancora: "C'è solo un capitano", dimenticando però che
"c'è anche una sola villa a Sabaudia", e bisogna fare a turno.
Di seguito, “Non possiamo volere
l’Europa reazionaria di Meloni-Salvini” di Nadia Urbinati - titolare della
cattedra di Scienze politiche alla Columbia University di New York - pubblicato
sul quotidiano “Domani” dell’11 di agosto ultimo: Scriveva l’irlandese Edmund Burke
nelle Riflessioni sulla Rivoluzione Francese, il vangelo del pensiero
reazionario moderno scritto nel 1790, che «l’età della cavalleria è finita.
Quella dei sofisti, degli economisti e dei contabili è giunta; e la gloria
dell’Europa giace estinta per sempre». Sofisti, economisti, contabili:
professioni che presumono una società nella quale la dimensione della volontà
individuale ha la precedenza e si avvale della libera opinione (sofismo), degli
interessi (economia) e dei diritti (contabili e avvocati). Quelle parole
riacquistano vitalità nella destra europea che da qualche anno si sta
preparando a governare la politica del vecchio continente. Se Burke scriveva
con nostalgia di un’Europa «estinta per sempre» (quella della gerarchia e
dell’onore nazionale), la nuova destra prova a invertire la direzione di marcia
della storia. E lancia la sua “Dichiarazione sull’avvenire dell’Europa”,
firmata lo scorso anno da Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Viktor Orbán, Marine
Le Pen, Vox in Spagna, Kaczynski in Polonia e altri reazionari meno noti. Non è
la prima volta che programmi palingenetici di questa matrice sono proclamati e
(a volte) si materializzano. Ci hanno provato le potenze tradizionaliste tra il
1815 e il 1830 con la Santa Alleanza degli imperi (Russia, Prussia, Austria) in
reazione all’imperialismo di Napoleone, generativo di nuovi ordini
costituzionali e liberali. Ci hanno riprovato fascisti e nazisti, che hanno
rispolverato ambizioni imperiali per ridare ordine al vecchio continente sotto
il potere della loro “stirpe” (ariana, meglio che italica). Resurrezione
reazionaria. Oggi, dopo settant’anni di governo democratico, conquistato sui
campi di battaglia contro quei fanatici della gerarchia della loro “stirpe”, la
parte allora sconfitta cerca di risorgere per ridare a quell’Europa che
sembrava estinta una nuova chance. L’ideologia della destra è reazionaria nel
senso proprio della parola: pensata per rilanciare una visione di Europa che la
Rivoluzione francese avrebbe voluto “estinta per sempre”. Eccola qui, l’Europa
della destra. Rinata su spinta dei paesi dell’est, in diretta competizione
contro i paesi dell’Europa occidentale dai quali è nata la matrice della Unione
europea nella quale ci identifichiamo. Un’altra Europa questa della destra. Un
mostriciattolo che tiene insieme idee che cozzano tra loro: da un lato vuole
più autonomia degli stati nazionali per progettare e celebrare la pluralità dei
popoli e delle loro culture; dall’altro si lancia in una visione della vita e
della persona che vuole spalmare su tutto il continente. Come se le idee di
famiglia e di vita personale e intima siano – anzi, debbano essere – identiche
in tutti gli angoli del vecchio continente, e soprattutto ispirate ai valori
reazionari che questi leader impersonano. Una visione etnocentrica di Europa
che scimmiotta le visioni etnocentriche che da Orbán a Le Pen ai nostri
populisti locali immaginano per i loro paesi. Immaginano: perché, con tutta la
buona volontà del caso, è davvero anacronistico pretendere che donne e uomini
che la destra concepisce, dopo tutto, come agenti economici liberi di vendere e
di comperare, poi debbano bloccare la loro libertà di giudizio e di scelta di
fronte ai veti della tradizione interpretata da Giorgia Meloni &Co. Sposarsi
nel modo che vuole questa tradizione è un granello di autoritarismo che ben si
lega agli altri, eccoli: la donna come madre e moglie (e lavoratrice per
prendersi cura della prole e invertire la curva discendente della natalità); i
giovani come polli in batteria che devono essere allevati per lavorare (ed
eventualmente controllati affinché non sgarrino); gli europei come fedeli di
una religione cristiana (di quale denominazione?), dichiarata essere una per
tutti, anche se nei fatti molti di questi tutti sono indifferenti o
secolarizzati. Ma si sa, la religione è per la destra
un collante sociale, non una questione di spiritualità. Quell’antica voglia
di rivincita contro la cultura degli eguali diritti, contro quella troppo
facilmente disprezzata cultura individualista che eroderebbe il senso della
famiglia e delle tradizioni nazionali, alimenta questo documento delle destre
europee. Che accusa la Dichiarazione universali dei diritti di essere colpevole
di sciogliere le differenze razziali e la loro gerarchia in un’umanità fatta di
creature uguali in dignità (ospiti su questo globo e non possessori), non
importa se europei o asiatici o africani o americani, non importa se cristiani
o atei o musulmani o buddisti. L’avvenire dell’Europa reazionaria è in effetti
un passato ringhioso contro la cultura dei diritti e dell’eguaglianza che prova
a ritornare. E lo fa ridisegnando l’Europa in opposizione a quella che ci hanno
consegnato Jean Monnet, Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli.
Tradizione e
sovranità. Un’Europa, quella della destra, che esclude gli inferiori (i non
cristiani e non bianchi) e che discrimina chi vuole uscire dal recinto delle
funzioni sociali definite dalla sua idea di tradizione, come le donne quando
chiedono eguale considerazione o chi vuole amare senza chiedere permesso al
governo. Di quell’Europa rinata dopo la guerra e il totalitarismo dalla destra
reazionaria di ieri (un fatto bellamente taciuto nel Documento, che parla di
una generica guerra mondiale e attribuisce le colpe al totalitarismo sovietico)
resterebbe ben poco se la destra guidasse i governi nazionali e Bruxelles. Si
legge, per esempio, nel Documento, che nel dibattito sul futuro dell’Europa
appena iniziato, «non deve mancare la voce dei partiti impegnati per la libertà
delle nazioni e le tradizioni dei popoli europei». Una voce che urla sguaiata
contro chi vuole diminuire «la sovranità e integrità territoriale» e che chiede
di ridefinire la funzione dell’Unione, la quale «oggi invece di tutelare
l’Europa e il suo patrimonio, invece di permettere il libero sviluppo delle
nazioni europee, diventa essa stessa fonte di problemi, ansia e indifferenza
certezze». Per quale ragione? Perché la Corte europea dei diritti dell’uomo e i
regolamenti diramati da Bruxelles in questi ultimi decenni impongono alle
amministrazioni locali e nazionali di adottare pratiche non discriminatorie e
di attenzione al genere, di contrasto dell’esclusione dalla piena partecipazione
delle donne alla vita sociale e politica dei loro paesi. Questa Europa viene
definita nel Documento della destra reazionaria la “manifestazione di
un’ingegneria sociale pericolosa e invasiva” che mente dichiara “i limiti delle
competenze dell’Unione” poi mette limiti al modo di operare dei governi
nazionali (come fa, appunto, con il governo autoritario guidato da Orbán). Un
nuovo monopolio ideologico. E qui siamo al nucleo del documento: militanza
contro l’azione «moralizzante a cui abbiamo assistito negli ultimi anni nelle
istituzioni dell’Ue» che «ha portato a una pericolosa tendenza ad imporre un
monopolio ideologico». E che cosa ci propone in cambio la destra? Forse la fine
del monopolio ideologico? No. Ci propone di sostituire quel monopolio ideologico
con un altro monopolio, che però è presentato come verità: il rispetto delle
tradizioni, quasi che queste fossero come sassi inerti ed eterni, sempre uguali
a sé stessi. «Siamo convinti che la cooperazione tra le nazioni europee debba
basarsi sulla tradizione, sul rispetto della cultura e della storia delle
nazioni europee, sul rispetto del patrimonio giudeocristiano d’Europa e sui
valori condivisi che uniscono costruiscono le nostre nazioni, e non sulla loro
distruzione», ecco il nuovo monopolio ideologico presentato come verità
indiscussa e autoevidente. E si potrebbe continuare fino alla nausea. La patria
europea dovrebbe acquistare forma confederata, proteggendo la regola di
unanimità contro il principio di maggioranza che significherebbe «trasformare l’Unione
in una particolare forma di oligarchia». Solo un’Unione riformata in questo
senso può rinsaldare l’Europa secondo questi principi: il dominio della
comunità (la patria, i valori europei, ecc.) contro la libertà individuale; più
sovranismo perché ciascun governo faccia quel che vuole ma con i soldi europei;
più famiglia per ripopolare l’Europa e dare una risposta al bisogno economico
di nuove braccia da lavoro, evitando di dover ricorrere a stranieri; e quindi
giustificando la lotta all’immigrazione nel nome dei sacri valori europei:
lavoro e famiglia.
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