"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 22 agosto 2022

Notiziedalbelpaese. 76 Nadia Urbinati: «La religione è per la destra un collante sociale, non una questione di spiritualità».

 

A lato. "Ratto d'Europa" (1995) di Fernando Botero. 

Promemoriaelettorale”. Ha scritto Dario Vergassola in “Un capitano c’è solo un capitano” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 19 di agosto 2022: Il 29 giugno scorso la Terra ha girato più velocemente, impiegando 1,59 millisecondi in meno del solito. E l'altro giorno allo scoop che la romanista Meloni fosse stata laziale sono girate più velocemente del solito anche le mie balle.

Perché è solo calcio: sarebbe stato grave se per esempio Di Maio fosse uno che diceva "mai con il Pd". Vabbè, ho sbagliato esempio. I veri problemi sono che Putin ha chiaramente aggirato le sanzioni, un po' come quelli che prendono una multa e riescono a far levare i punti della patente al nonno novantenne. I veri problemi sono che a Napoli, per strada, una suora ha separato due ragazze che si baciavano, ma a Civitanova Marche nessuno ha separato due uomini che si massacravano. I veri problemi sono che mentre Letta e Calenda si comportano come in una faida tra trapper, Giorgia, nell'anno più caldo degli ultimi due secoli, è l'unica che fa proposte concrete: meno olio di ricino, più liquido refrigerante. E da neo romanista canta ancora: "C'è solo un capitano", dimenticando però che "c'è anche una sola villa a Sabaudia", e bisogna fare a turno. Di seguito, “Non possiamo volere l’Europa reazionaria di Meloni-Salvini” di Nadia Urbinati - titolare della cattedra di Scienze politiche alla Columbia University di New York - pubblicato sul quotidiano “Domani” dell’11 di agosto ultimo: Scriveva l’irlandese Edmund Burke nelle Riflessioni sulla Rivoluzione Francese, il vangelo del pensiero reazionario moderno scritto nel 1790, che «l’età della cavalleria è finita. Quella dei sofisti, degli economisti e dei contabili è giunta; e la gloria dell’Europa giace estinta per sempre». Sofisti, economisti, contabili: professioni che presumono una società nella quale la dimensione della volontà individuale ha la precedenza e si avvale della libera opinione (sofismo), degli interessi (economia) e dei diritti (contabili e avvocati). Quelle parole riacquistano vitalità nella destra europea che da qualche anno si sta preparando a governare la politica del vecchio continente. Se Burke scriveva con nostalgia di un’Europa «estinta per sempre» (quella della gerarchia e dell’onore nazionale), la nuova destra prova a invertire la direzione di marcia della storia. E lancia la sua “Dichiarazione sull’avvenire dell’Europa”, firmata lo scorso anno da Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Viktor Orbán, Marine Le Pen, Vox in Spagna, Kaczynski in Polonia e altri reazionari meno noti. Non è la prima volta che programmi palingenetici di questa matrice sono proclamati e (a volte) si materializzano. Ci hanno provato le potenze tradizionaliste tra il 1815 e il 1830 con la Santa Alleanza degli imperi (Russia, Prussia, Austria) in reazione all’imperialismo di Napoleone, generativo di nuovi ordini costituzionali e liberali. Ci hanno riprovato fascisti e nazisti, che hanno rispolverato ambizioni imperiali per ridare ordine al vecchio continente sotto il potere della loro “stirpe” (ariana, meglio che italica). Resurrezione reazionaria. Oggi, dopo settant’anni di governo democratico, conquistato sui campi di battaglia contro quei fanatici della gerarchia della loro “stirpe”, la parte allora sconfitta cerca di risorgere per ridare a quell’Europa che sembrava estinta una nuova chance. L’ideologia della destra è reazionaria nel senso proprio della parola: pensata per rilanciare una visione di Europa che la Rivoluzione francese avrebbe voluto “estinta per sempre”. Eccola qui, l’Europa della destra. Rinata su spinta dei paesi dell’est, in diretta competizione contro i paesi dell’Europa occidentale dai quali è nata la matrice della Unione europea nella quale ci identifichiamo. Un’altra Europa questa della destra. Un mostriciattolo che tiene insieme idee che cozzano tra loro: da un lato vuole più autonomia degli stati nazionali per progettare e celebrare la pluralità dei popoli e delle loro culture; dall’altro si lancia in una visione della vita e della persona che vuole spalmare su tutto il continente. Come se le idee di famiglia e di vita personale e intima siano – anzi, debbano essere – identiche in tutti gli angoli del vecchio continente, e soprattutto ispirate ai valori reazionari che questi leader impersonano. Una visione etnocentrica di Europa che scimmiotta le visioni etnocentriche che da Orbán a Le Pen ai nostri populisti locali immaginano per i loro paesi. Immaginano: perché, con tutta la buona volontà del caso, è davvero anacronistico pretendere che donne e uomini che la destra concepisce, dopo tutto, come agenti economici liberi di vendere e di comperare, poi debbano bloccare la loro libertà di giudizio e di scelta di fronte ai veti della tradizione interpretata da Giorgia Meloni &Co. Sposarsi nel modo che vuole questa tradizione è un granello di autoritarismo che ben si lega agli altri, eccoli: la donna come madre e moglie (e lavoratrice per prendersi cura della prole e invertire la curva discendente della natalità); i giovani come polli in batteria che devono essere allevati per lavorare (ed eventualmente controllati affinché non sgarrino); gli europei come fedeli di una religione cristiana (di quale denominazione?), dichiarata essere una per tutti, anche se nei fatti molti di questi tutti sono indifferenti o secolarizzati. Ma si sa, la religione è per la destra un collante sociale, non una questione di spiritualità. Quell’antica voglia di rivincita contro la cultura degli eguali diritti, contro quella troppo facilmente disprezzata cultura individualista che eroderebbe il senso della famiglia e delle tradizioni nazionali, alimenta questo documento delle destre europee. Che accusa la Dichiarazione universali dei diritti di essere colpevole di sciogliere le differenze razziali e la loro gerarchia in un’umanità fatta di creature uguali in dignità (ospiti su questo globo e non possessori), non importa se europei o asiatici o africani o americani, non importa se cristiani o atei o musulmani o buddisti. L’avvenire dell’Europa reazionaria è in effetti un passato ringhioso contro la cultura dei diritti e dell’eguaglianza che prova a ritornare. E lo fa ridisegnando l’Europa in opposizione a quella che ci hanno consegnato Jean Monnet, Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli.

Tradizione e sovranità. Un’Europa, quella della destra, che esclude gli inferiori (i non cristiani e non bianchi) e che discrimina chi vuole uscire dal recinto delle funzioni sociali definite dalla sua idea di tradizione, come le donne quando chiedono eguale considerazione o chi vuole amare senza chiedere permesso al governo. Di quell’Europa rinata dopo la guerra e il totalitarismo dalla destra reazionaria di ieri (un fatto bellamente taciuto nel Documento, che parla di una generica guerra mondiale e attribuisce le colpe al totalitarismo sovietico) resterebbe ben poco se la destra guidasse i governi nazionali e Bruxelles. Si legge, per esempio, nel Documento, che nel dibattito sul futuro dell’Europa appena iniziato, «non deve mancare la voce dei partiti impegnati per la libertà delle nazioni e le tradizioni dei popoli europei». Una voce che urla sguaiata contro chi vuole diminuire «la sovranità e integrità territoriale» e che chiede di ridefinire la funzione dell’Unione, la quale «oggi invece di tutelare l’Europa e il suo patrimonio, invece di permettere il libero sviluppo delle nazioni europee, diventa essa stessa fonte di problemi, ansia e indifferenza certezze». Per quale ragione? Perché la Corte europea dei diritti dell’uomo e i regolamenti diramati da Bruxelles in questi ultimi decenni impongono alle amministrazioni locali e nazionali di adottare pratiche non discriminatorie e di attenzione al genere, di contrasto dell’esclusione dalla piena partecipazione delle donne alla vita sociale e politica dei loro paesi. Questa Europa viene definita nel Documento della destra reazionaria la “manifestazione di un’ingegneria sociale pericolosa e invasiva” che mente dichiara “i limiti delle competenze dell’Unione” poi mette limiti al modo di operare dei governi nazionali (come fa, appunto, con il governo autoritario guidato da Orbán). Un nuovo monopolio ideologico. E qui siamo al nucleo del documento: militanza contro l’azione «moralizzante a cui abbiamo assistito negli ultimi anni nelle istituzioni dell’Ue» che «ha portato a una pericolosa tendenza ad imporre un monopolio ideologico». E che cosa ci propone in cambio la destra? Forse la fine del monopolio ideologico? No. Ci propone di sostituire quel monopolio ideologico con un altro monopolio, che però è presentato come verità: il rispetto delle tradizioni, quasi che queste fossero come sassi inerti ed eterni, sempre uguali a sé stessi. «Siamo convinti che la cooperazione tra le nazioni europee debba basarsi sulla tradizione, sul rispetto della cultura e della storia delle nazioni europee, sul rispetto del patrimonio giudeocristiano d’Europa e sui valori condivisi che uniscono costruiscono le nostre nazioni, e non sulla loro distruzione», ecco il nuovo monopolio ideologico presentato come verità indiscussa e autoevidente. E si potrebbe continuare fino alla nausea. La patria europea dovrebbe acquistare forma confederata, proteggendo la regola di unanimità contro il principio di maggioranza che significherebbe «trasformare l’Unione in una particolare forma di oligarchia». Solo un’Unione riformata in questo senso può rinsaldare l’Europa secondo questi principi: il dominio della comunità (la patria, i valori europei, ecc.) contro la libertà individuale; più sovranismo perché ciascun governo faccia quel che vuole ma con i soldi europei; più famiglia per ripopolare l’Europa e dare una risposta al bisogno economico di nuove braccia da lavoro, evitando di dover ricorrere a stranieri; e quindi giustificando la lotta all’immigrazione nel nome dei sacri valori europei: lavoro e famiglia.

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