"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 5 agosto 2022

Eventi. 83 «La Storia parla, ma pochi la ascoltano, insegna ma quasi nessuno impara».

“Popolo&Guerra”. Ha scritto Michele Serra in “Ho dubbi sulla Nato non su Putin” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 4 di marzo 2022: (…): nessuno, da queste parti, è in ansia per il “povero Putin”. Da quando esiste vedo in lui, e lo scrivo, un nemico della libertà, un nazionalista fanatico, nonché il garante politico degli oligarchi che si sono mangiati la Russia. Difendere “l’amico Putin” può essere un problema di Salvini e Berlusconi, certo non il mio. La partita in corso è chiara a tutti: difendere l’autodeterminazione dell’Ucraina per difendere la democrazia, concetto non poi così vago da avere bisogno di grandi approfondimenti.  Sono con l’Europa, dunque contro Putin. Ma dirlo e basta significa poco. È una comoda semplificazione (anche per questo le guerre sono pericolose: perché costringono a semplificare). E dunque pensare che la Nato non avrebbe dovuto spingere così a Est la sua presenza militare; considerare che una parte non piccola del nazionalismo ucraino ha schiette venature fasciste, come sui giornali (anche Repubblica) si legge da anni; che queste venature nazional-fasciste erano ben presenti anche nella non lontana guerra in Jugoslavia (anche lei “guerra nel cuore dell’Europa”, nella quasi indifferenza degli europei, che l’hanno dimenticata in fretta); che le autocrazie ci fanno comodo quando se ne stanno buone e fanno affari con noi, e non è intelligente scoprire che sono autocrazie solo quando scendono in guerra; che Erdogan, nazionalista islamico e persecutore dei suoi oppositori, non è un membro del quale il club Nato può vantarsi, visto che “difendere la democrazia” dovrebbe essere la sua ragione sociale; be’, dire e pensare queste cose non solo non indebolisce il cosiddetto “Occidente”, ma lo aiuta a ragionare sui propri limiti e i propri errori. Questa facoltà – ragionare sui propri limiti ed errori – mi sembra il sale della democrazia. Lasciando a duci e ducetti, ai capipopolo nazionalisti, il dubbio privilegio di sentirsi immuni da colpe, benedetti da Dio, condottieri immacolati, e in fondo al loro percorso, macellai di esseri umani. Di seguito, “All’inizio fu il Kosovo poi venne l’Ucraina” di Fabio Mini – già Generale di Corpo d’Armata -, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, venerdì 5 di agosto 2022: La Storia parla, ma pochi la ascoltano, insegna ma quasi nessuno impara. La Storia viene spesso travisata, tradita, sfruttata e allora si ribella e si vendica. La storia dei conflitti prende il sopravvento sulla storia dell’umanità e la Guerra interviene al posto della Giustizia, che ne diventa il pretesto, ma facendosi livellatrice (nemesis) nel senso materiale e morale: azzerando istituzioni e uomini, pensiero e morale, ma soprattutto riportando i conflitti alle loro origini, ai delitti irrisolti o impuniti. In questi giorni l’Europa sta vivendo una fase drammatica della sua storia e invece di ricordarla e rispettarla, cercando di non ripetere errori e nefandezze, la bistratta costruendo una storia senza passato, un presente ingestibile e l’unica prospettiva di autodistruzione. Il Kosovo è un piccolo posto nei Balcani (territorio equivalente al nostro Abruzzo) la cui storia è in questi giorni volutamente dimenticata e stravolta. Come nemico dichiarato onnipresente e pasticcione, la Russia è ritenuta responsabile di ciò che sta avvenendo in quell’area. La Russia vorrebbe allargarsi alla Serbia e quindi minacciare l’Occidente e la Nato. Il Kosovo “liberato” dalla Nato va difeso. La Nato è pronta a bombardare la Serbia, di nuovo, parola di Stoltenberg. Le forze di Kfor (inclusa la base americana di Bondsteel) non sono sufficienti a garantire la difesa da un attacco e sono praticamente ostaggi da sacrificare per giustificare un intervento armato di tutt’altro genere: gli americani hanno pronta la brigata di Vicenza e le forze dell’Alleanza hanno quelle aeree, navali, missilistiche e terrestri “over the horizon” dislocate oltre l’orizzonte kosovaro. La storia è pronta a vendicarsi di tutto questo tempo passato a non concludere un solo progetto di vera stabilizzazione. Ovvero una stabilizzazione concordata fra Kosovo e Serbia e non sulla loro testa. Qualcuno tenta di minimizzare: è una questione di targhe automobilistiche e di traffico transfrontaliero e agli storici, quelli veri, sale il conato. Il Kosovo, come cuore dei Balcani, è il luogo che produce più storia di quanta ne possa digerire, diceva Churchill, dimenticandosi di aggiungere che la digestione era più difficile proprio per la politica e l’intervento occidentale e britannico in particolare. Da sempre. Il Kosovo è il luogo dove la Serbia combatté l’impero ottomano (Kosovopolje – 1389). Perse la battaglia, fu assoggettata ma arrestò i turchi salvando l’Europa e la cristianità. Da quel posto, 600 anni dopo Milosevic, leader della repubblica di Serbia, ancora parte della federazione jugoslava, commise l’errore di dichiarare la Serbia erede e guida della federazione, riportando la questione balcanica sul piano più pericoloso e contrastato: il nazionalismo etnico padre e padrone della xenofobia, del razzismo e della discriminazione, nonché pretesto per le pulizie etniche. Il nazionalismo serbo riproposto da Milosevic innescò quello di tutte le altre repubbliche jugoslave e, dopo la caduta del Muro di Berlino, furono proprio i nazionalismi a guidare l’occidente e la Nato nella corsa ad accaparrarsi le spoglie dell’Urss, tra cui l’Ucraina. Erano quelli i problemi irrisolti già a partire dalla Conferenza di Versailles del 1919, alla fine della prima guerra mondiale. Problemi che il Wilsonismo statunitense lasciava aperti per consentire agli stati irredenti di conquistare l’indipendenza e che di fatto iniziò a frantumare gli stati multietnici e favorire i movimenti nazionalisti estremi e bellicosi. E la Storia si vendicò con la Seconda guerra mondiale. Durante la Guerra fredda il processo di disgregazione degli imperi continuò con la decolonizzazione salvando solo l’Europa dove il conflitto tra i due blocchi avrebbe comportato la loro estinzione. La fine dell’Urss e la riunificazione della Germania (3 ottobre 1990 – anch’essa su base etnica) furono viste come vittorie della democrazia e l’inizio di un periodo di pace, ma era già iniziato lo sgretolamento balcanico: in Kosovo. A luglio del 1990 il parlamento provinciale del Kosovo modificò la propria costituzione ergendosi a repubblica. La Serbia annullò sia la decisione sia lo status di autonomia fino a quel momento concesso. In Bosnia intervenne l’Onu con 40.000 uomini per uno dei suoi tanti fallimenti militari (1992) in mezzo a conflitti fra bande armate e delinquenti autori di massacri ai danni di bosniaci e serbi da parte di croati e mercenari al soldo degli Usa. Nel 1993 anche nella Russia di Eltsin, allineata con l’occidente ci fu una recrudescenza del nazionalismo patriottico e il leader del partito liberal democratico, rosso-bruno, Žirinovskij, in visita in Serbia parlò del suo impegno nella creazione di una “unione di stati slavi dalla Krajina a Vladivostok”. Poi intervenne la Nato con il bombardamento su Banja Luka (1994) primo atto di guerra dell’alleanza atlantica contro la Jugoslavia in disfacimento e anticipazione del significato della nascente Partnership for peace (Pfp) a sua volta preludio all’allargamento della Nato: o con noi o contro di noi. Con le buone o le cattive. Intanto in Kosovo continuava la repressione della polizia serba sulla popolazione albanese e l’azione di bande armate albanesi contro la polizia. Fino al 1998 queste formazioni kosovare furono considerate dagli stessi Usa come terroriste e perfino affiliate ad al Qaeda. E quindi nessuno mosse un dito. Anzi la Russia intervenne sul serbo Milosevic per convincere gli altri leader nazionalisti croati e bosniaci a siglare gli accordi di Dayton con i quali gli Stati Uniti in nome della pace costruivano un mostro geopolitico in Bosnia Erzegovina. Il Kosovo fu riportato alla luce nel 1999, grazie a una lobby albanese negli Usa e ai vagheggiamenti del presidente Clinton sulla pace mondiale, la democrazia di mercato, la guerra umanitaria e il primato americano sul mondo perché “Stato più forte”, come disse ai cadetti dell’Accademia militare di West Point. Le bande irregolari dell’UCK furono legittimate dagli aiuti europei e americani, i tentativi di difesa diplomatica di Milosevic naufragarono sull’onda della campagna antiserba e dopo il presunto massacro di Racak, saltarono anche i colloqui di Rambouillet. Così la guerra fu di nuovo chiamata a livellare la storia. Bombardamenti sulla Serbia, evacuazione degli albanesi per colpire meglio i serbi, profughi serbi mai più rientrati. Negli ultimi 22 anni di permanenza di truppe Nato e di altri paesi in Kosovo, non è mai cessata l’attività di disgregazione ed emarginazione della Serbia perché “filorussa”. Il Kosovo si è dichiarato indipendente nel 2008 dopo che per anni Onu e Nato lo avevano impedito. Il riconoscimento è tuttora contestato dalla Serbia che dopo aver subito l’aggressione ha dovuto sopportare la graduale eliminazione della minoranza serba in Kosovo e le restrizioni imposte dalla Nato alla propria sovranità. Non è servito a nulla concedere il ritiro di tutte le istituzioni pubbliche statali dal Kosovo concordato nel 2013. Non è servito chiedere di essere ammessa all’Ue e alla Nato accettandone le condizioni, anzi tali richieste sono state usate come ricatto costante. Tutti i leader della guerra kosovara glorificati e appoggiati da Usa, Gran Bretagna, Germania e Italia sono finiti sotto processo per crimini contro l’umanità, come quelli serbi che però sono stati condannati o sono morti in carcere. In compenso, il nazionalismo ucraino estremo, già fonte di disgrazie per l’Ucraina e l’Europa dalla fine dell’Ottocento in poi, sta ottenendo miliardi di dollari e armamenti americani ed europei e quindi è diventato lo stimolo a esasperare qualsiasi nazionalismo irrisolto o insoddisfatto, purché diretto contro la Russia, in Europa, e contro Russia e Cina nel resto del mondo. In realtà il patriottismo di questo genere, basato sulla dipendenza da una nazione esterna, è fittizio e svanisce con lo svanire dei soldi e del sostegno politico. Nel frattempo la guerra impazza e la storia è costretta alla vendetta.

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