"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 2 agosto 2022

Notiziedalbelpaese. 68 Draghi Mario: «Siete voi che decidete, quindi niente richieste di pieni poteri, va bene?»

È quando ho letto sulla stampa la “barzelletta” raccontata (forse con voce perentoria ed altisonante, ché sulla stampa non si percepiva affatto) dal signor D. M. – dimissionario poiché autosfiduciatosi in Parlamento – su come  debba essere il cuore di un banchiere – “barzelletta” raccontata sicuramente con sommo compiacimento ad una assemblea di giornalisti stranieri –, è quando ho letto quella “barzelletta” che ho ripensato al magnifico racconto il “Canto di Natale” di  Charles Dickens - che lo scrisse correndo l’anno 1843 - ed alla dominante figura di quel protagonista, l’avaro banchiere Scrooge, per persuadermi completamente della necessità per il Paese tutto di fare a meno della prestazione d’opera del signor D. M., poiché risultava evidente la sua inadeguatezza alla guida di una moderna, complessa - se non complicata - democrazia dell’Occidente. Ha scritto Diego Bianchi in “Il migliore e i peones” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 29 di luglio 2022: «Siete voi che decidete, quindi niente richieste di pieni poteri, va bene?», scandisce Mario Draghi nel pomeriggio dopo aver riletto parte del testo con cui aveva relazionato in mattinata sulle dimissioni. (…). Guarda i banchi di Fratelli d'Italia, Draghi; quel "va bene?" è rivolto a loro, che almeno, pur nella scorrettezza dell'alterazione di testi e contenuti, una posizione chiara, in questa torbida vicenda di esponenziale scaricabarile, l'hanno sempre avuta. Ricorderò le 11 ore circa trascorse a liquefarmi nella tribuna del Senato come le più incomprensibili e sciatte tra quelle passate a documentare crisi di governo, ribaltoni e colpi di scena vari cui il Parlamento più pazzo del mondo ci ha da tempo abituati. Non ci ha capito niente nessuno, va detto. I giornalisti più navigati chiedevano conforto e consulenza l'un l'altro, ma lo stesso valeva per i ministri e i senatori sotto di noi, man mano che gli interventi replicavano alla relazione di Draghi, che le ore passavano e bronci e risentimenti tardoadolescenziali venivano allo scoperto. Alla fine il governo è caduto per dissanguamento, senza nessuno che si sia preso davvero e con orgoglio la briga di dare la coltellata ferale, tanto è stato il coraggio di parte di chi ancora per un po' ci rappresenta. Non c'è stata l'esultanza di chi ha vinto e tutto sommato è sembrato contenuto anche lo scoramento di chi ha perso. Altre volte, per altre crisi, c'è stato perlomeno il senso del teatro, una drammaturgia coinvolgente, a consegnare alle cronache gesti da ricordare, passaggi da citare, protagonisti da segnalare. Stavolta nulla di tutto ciò. Ridevano i senatori, quasi tutti, quasi sempre, per nulla preoccupati, all'apparenza, di ciò cui stavano dando esito. Durante alcuni degli interventi più marginali e spesso sconclusionati, nessuno ascoltava (eppure avrebbero meritato, nella loro deprecabilità), tutti parlavano con tutti, la presidente compulsava il telefonino e il senso delle istituzioni si scioglieva ancor prima delle Camere, senza che il caldo ne avesse colpa. Alla fine "il migliore" così migliore non è stato (altrimenti mai sarebbe finito rosolato da un Romeo o da un Licheri), la politica "sangue e merda" se lo è mangiato e la palla passa agli Italiani, che quelli lì li hanno comunque eletti. A ognuno le proprie responsabilità. Di seguito, «L’arroganza del “Re sole”: ora diventa un visconte dimezzato» di Domenico Gallo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 21 di luglio ultimo: Après moi le deluge! è il famoso aforisma attribuito a Luigi XV che esprimeva tutta l'arroganza del sovrano. Con lo stesso motto si potrebbe qualificare il discorso di Draghi al Senato. Un discorso da divinità offesa (per lo scollamento di una componente della sua amplissima maggioranza), che si presenta alle Camere solo per dare un'altra chance ai parlamentari di mostrarsi uniti alla sua leadership. Così non è il presidente del Consiglio che deve avere la fiducia del Parlamento, ma sono i parlamentari che devono avere la fiducia di Draghi: "All’Italia non serve una fiducia di facciata che svanisce davanti ai provvedimenti scomodi... I partiti e voi parlamentari siete pronti a ricostruire questo patto? Siete pronti? Lo dovete dire non a me, ma a tutti gli italiani". È il Parlamento che deve spiegare al popolo la ferita inferta alla leadership di Draghi, attenuando la fiducia su alcuni provvedimenti, e fare ammenda del grave errore rinsaldando la sua unità intorno al sovrano e l'obbedienza ai dettami della sua politica. A questa impostazione si possono fare due obiezioni insuperabili. I) Non si può mettere il bavaglio alla politica, soprattutto quando le maggioranze sono composite, pretendendo l'obbedienza in ogni campo. 2) Non esiste una sola politica, indiscutibile perché dettata dalla tecnica. Le competenze in politica sono importanti, ma non esiste una risposta tecnica a tutte le domande politiche. Gli alfieri del liberismo economico come Draghi commettono lo stesso errore commesso agli albori del secolo scorso dai sostenitori del "socialismo scientifico". Pretendere che scelte politiche come la privatizzazione dei servizi pubblici o la disgregazione di professioni come quella dei taxisti a vantaggio di multinazionali straniere, siano indiscutibili perché dettate dalla "scienza" economica, è un elemento di autoritarismo che mal si concilia con la dialettica democratica. Ma ci sono elementi ancora più inquietanti nel discorso di Draghi che attengono alla legittimazione internazionale di questo governo: "Questo governo si identifica pienamente nell'Ue, nel legame transatlantico. La nostra posizione è chiara e forte nel cuore dell'Ue, del G7, della Nato". A parte il fatto che non è possibile servire due padroni: chi si identifica nell'Unione Europea dovrebbe accorgersi che c'è una distanza incolmabile fra gli interessi dell'Europa (il primo è che cessi la guerra ai suoi confini) e quelli degli Usa (che dal prosieguo della guerra traggono grandi vantaggi). Chi pretende di identificarsi nell'Ue e nel legame transatlantico sposa la subalternità dell'Europa agli Usa e tradisce gli interessi europei. Draghi non è un europeista, ma il più autorevole terminale della Nato nel sistema politico. Lo dimostra con i richiami al sostegno della guerra, in Ucraina: "Armare l'Ucraina è il solo modo per permettere agli ucraini di difendersi". Draghi ha fatto riferimento alla mobilitazione a suo sostegno dei sindaci e di ampi settori della società civile, ma la spinta vera al ritorno di Draghi va cercata altrove. Zelensky non gradisce che una crisi di governo in Italia disturbi l'incessante flusso di armi all’Ucraina né, come dice il suo consigliere Podolyak, "la tradizionale lotta politica interna nei Paesi occidentali" (cioè la democrazia) "deve intaccare l'unità nelle questioni fondamentali della lotta tra il bene e il male", ovvero mettere in dubbio la suddetta "fornitura d'armi all'Ucraina". La presenza di Draghi alla guida del governo è una garanzia irrinunziabile, non per gli ambienti finanziari, ma perché sia assicurata la fedeltà assoluta agli indirizzi sconsiderati della Nato che a Madrid ha effettuato una scelta strategica di rilancio della guerra, fredda e calda (in Ucraina), difficile da far accettare ai popoli europei. Se non ché la festa del ritorno di Draghi è stata rovinata da5Stelle, FI e Lega, non intenzionati a inchinarsi al suo cospetto. Entrato in campo come il Re Sole, ne sta uscendo come il Visconte dimezzato di Italo Calvino.

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