“Popolo&Guerra”. Ha scritto Michele Serra in “Il testosterone in battaglia”
pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” dell'11 di marzo 2022: (…),
le mie residue illusioni… Sono così poche che basta un soffio a disperderle.
L’idea che la femmina, in quanto custode fisica della vita, abbia qualche
esitazione in più quando si tratta di muovere guerra, dunque di creare morte, è
forse fragile, ma non priva di qualche pezza d’appoggio psicologica e
biologica. Certamente virago come la signora Thatcher sembrano venute al mondo
apposta per smentirmi. E all’opposto la sublime mansuetudine di alcuni maschi
(Gandhi, Einstein, e a ritroso nei secoli Francesco d’Assisi, Gesù di Nazareth,
il Buddha storico) assegna anche a noi uomini il peso di testimoniare
l’armonia, e ripudiare la violenza. Ma che la guerra sia maschile è cosa ben
stratificata nei millenni. Probabilmente a partire dalla corporatura più
robusta, per giunta mai impedita dalla preziosa fatica della gravidanza e
dell’allattamento, a fare la guerra ci siamo andati sempre noi. Non per caso
gli eserciti si sono arricchiti di una importante presenza femminile (anche
quello italiano) a partire dalla loro parziale conversione a compiti di pace, e
di frapposizione tra contendenti in guerra. Mettiamola così: preferirei, in
caso di invasione, avere a che fare con soldate piuttosto che soldati. Credo, o
forse mi illudo, che dovrei fare i conti con minore brutalità e maggiore
rispetto della sfera personale, delle case dove si vive, dei bambini, delle
città, delle scuole e degli ospedali. Di seguito, “La linea del Dniepr, i ponti abbattuti e la vittoria lontana” di
Fabio Mini – già Generale di Corpo d’Armata - pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 2 di agosto 2022: (…). …sappiamo
qualcosa della leadership ucraina e poco o nulla del popolo ucraino. Di
certo è un popolo martoriato e disorientato la cui voce è filtrata e soppressa
dalla propaganda o dalla repressione ultranazionalista. Come al popolo russo
era stata annunciata una “operazione speciale” limitata e transitoria, a quello
ucraino è stata annunciata la vittoria certa non tanto per la resistenza
popolare quanto per l’assistenza, da lontano, di tutto il mondo che “conta”.
Questo popolo comincia a non capire più cosa sta succedendo e il presidente
eletto per “servire il popolo” ora se ne serve per scaricare su altri le
proprie velleità e i fallimenti. Del diluvio di miliardi di dollari ed euro
rovesciati sull’Ucraina nemmeno una goccia ha raggiunto il popolo. Il debito
ucraino aumenta vertiginosamente e viene spacciato per aiuto umanitario. Di
fatto l’Ucraina è da tempo incapace di pagare gli interessi sui debiti
contratti prima della guerra. È già in default tecnico e l’aumento degli
“aiuti” la ridurrà al fallimento. La promessa della vittoria è corredata da
quella della ricostruzione che renderà l’Ucraina “più bella e forte che pria”.
La vittoria sarà certa perché l’Ucraina sta salvando il mondo fornendo grano.
Ma è stato fatto notare che l’accordo voluto da Onu e Turchia prevede anche lo
sblocco del grano russo e comunque neppure assieme potranno risolvere un
problema che era evidente già prima della guerra. Un problema che durante la
guerra ha soltanto spostato il profitto da uno speculatore all’altro, alla
faccia del mondo in crisi alimentare. Il popolo ucraino non capisce perché
saltino fuori all’improvviso le faide interne al governo e le purghe di
centinaia di funzionari traditori. Il popolo ricorda benissimo che lo stesso
Zelensky è divenuto ostaggio di una fronda estremista interna dopo il primo
discorso d’insediamento. Se oggi crede veramente in quella fronda o è
spaventato a morte o è vittima della sindrome di Stoccolma e si è innamorato
del sequestratore. Il popolo ucraino ricorda bene ciò che hanno fatto i russi
agli ucraini ma sa anche che tutti i paesi confinanti, a partire dalla Polonia,
rivendicano brandelli di Ucraina. Il popolo comincia a sospettare che appunto
l’Ucraina sarà fatta a brandelli. A partire dal Donbass. Zelensky in questo è
stato chiaro: farà saltare tutti i ponti sul Dniepr e i russi “dovranno
passarlo a nuoto”. Strano ragionamento per chi prevede di riconquistare tutti i
territori ucraini finora perduti. Ma fa caldo e se ora Zelensky avverte i russi
che dovranno superare il grande fiume a nuoto significa che dà già per scontata
l’occupazione dell’Ucraina ad est del fiume. Vale a dire della metà più ricca e
industrializzata del paese. Non è un buon segnale da lanciare al popolo che
però è talmente stanco della guerra da rassegnarsi anche all’occupazione russa.
Il popolo conserva la memoria lunga del proprio paese molto più dei suoi capi
politici. Il popolo disorientato ricorda che quel fiume non ha mai impedito
alle truppe d’invasione di avanzare. In un senso o nell’altro. E invece il suo
attraversamento, vero o presunto, è stato sempre un segnale di grande forza.
Nel 1966 le forze del Patto di Varsavia effettuarono una esercitazione
corazzata che prevedeva il “forzamento” del fiume, vale a dire il superamento
sotto il fuoco avversario. All’esercitazione “Dniepr 66” parteciparono migliaia
di carri armati e furono ammessi ad assistere tutti gli addetti militari stranieri
accreditati a Mosca. Fu uno choc: in un mattino rigorosamente dopo colazione e
prima di pranzo gli osservatori videro all’orizzonte orientale le formazioni di
migliaia di mezzi corazzati avvicinarsi a tutta velocità al fiume articolate in
colonne distanziate di un paio di chilometri una dall’altra. I capi carro fuori
torretta e le bandierine di unità sventolanti sulle antenne radio. A qualche
centinaio di metri dalla riva la marcia rallentò di poco, i capicarro e i
piloti chiusero le botole e spuntarono gli snorkel delle prese d’aria dei
motori. I carri proseguirono in acqua, s’immersero fino all’altezza delle
bandierine e approdarono sulla riva opposta riprendendo la corsa verso ovest.
Gli addetti militari saltarono il pranzo e si affrettarono a inviare cablo e
descrivere l’azione. Nacque da quel momento la sindrome dell’invasione
sovietica “da Mosca alla Manica in quarantotto ore”. La dottrina strategica
cambiò e fu previsto il ricorso alla guerra nucleare. Le forze della Nato e
statunitensi si attrezzarono per la difesa su linee successive con l’intenzione
di rallentare l’avanzata nella consapevolezza che non sarebbe stato possibile
arrestarla. Il V e VII corpo d’armata americani schierarono unità e mezzi
pre-posizionati in corrispondenza delle “soglie” naturali, da Trieste a
Stettino. Le divisioni di Fort Carson, Colorado e di Fort Hood, Texas erano in
grado d’intervenire in trentasei ore contro lo sfondamento. Gli aerei da
trasporto erano già pronti al salto dell’Atlantico e della Groenlandia per il
rimpiazzo delle forze alleate europee annientate. Spuntarono le proposte delle
prime forme di “difesa non provocatoria” e controllo degli armamenti. Dieci
anni dopo (1976) le scuole di guerra occidentali ancora proiettavano ai
frequentatori il film della “Dniepr 66” realizzato non dai russi ma dalla Nato,
come esempio della minaccia alla quale contrapporsi. Dopo quasi altri dieci
anni (1984) un profugo ebreo russo che da sottotenente di complemento aveva
partecipato all’esercitazione come capo carro scrisse un libro nel quale
spiegava che il superamento del fiume era stato possibile grazie alla
costruzione di ponti sommersi in corrispondenza dei vari punti di
attraversamento. I carri avevano solo i piloti, i capi carro erano tutti
ufficiali o allievi ufficiali. La minaccia non era poi così potente, ma aveva
raggiunto lo scopo e ancora dieci anni dopo (1992) la Cia pubblicava l’annuale
rapporto sulla strabiliante potenza militare dell’Unione sovietica. Che nel
frattempo era stata sciolta. Fino ad oggi la Russia non ha mai pensato di
attraversare il fiume Dniepr e invadere il resto dell’Ucraina: le forze e le
tattiche finora usate non lo consentono. Questa eventualità è sempre stata
paventata dalla propaganda dei paesi occidentali e dell’Ucraina tesi a
mobilitarsi e cercare un pretesto per la guerra contro la Russia, a prescindere
dall’Ucraina. Ma non è detto che la Russia continui a pensarla allo stesso
modo. Inoltre, non è detto che l’occidente sia pronto o voglia sacrificarsi per
l’Ucraina al primo russo che nuota nel Dniepr, magari solo perché fa caldo.
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