"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 7 agosto 2022

Notiziedalbelpaese. 69 Dario Vergassola: «Molti politici come i tappezzieri: devono la loro vita alle poltrone».

Ha scritto Dario Vergassola in “Una volta era tutta Carfagna” pubblicato sul settimanale “il Vernedì di Repubblica” del 5 di agosto 2022: Voglio trovare un senso a questa crisi, anche se questa crisi un senso non ce l'ha. Una possibile spiegazione, un po' terra terra ma abbastanza plausibile, è che molti politici siano come i tappezzieri: devono la loro vita alle poltrone. E così, Draghi fa il trolley, Putin e i suoi "tovarish di merende" godono dello spettacolo dei veleni della politica, abituati alla più sbrigativa politica del veleno. In questo senso i due mandati su cui insiste Grillo sembrano pochi, ma non lo sono se si pensa che in 10 anni, in Italia, abbiamo avuto una media di 895 Governi. E al Cremlino oggi conviene così: a loro basta che gli lasciamo fare la guerra in santa pace. Mentre ci occupiamo di cose serissime come l'esodo da Forza Italia, con un tristissimo Silvio che guarda Arcore e sospira: "Qui una volta era tutta Carfagna"; e come la ducessa di Fratelli d'Italia che -vedendo cadere non una ma 5 Stelle - esprime il suo rovazzesco desiderio: andiamo a comandare. Anche se realisticamente teme il fuoco amico. Ma ci deve stare: chi di Fiamma ferisce ...

Cocci&frammentidipolitica”. 1 Tratto da “Fra un tweet e l’altro” di Diego Bianchi, sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 5 di agosto: Dietro le scelte della #Lega contro #Draghi c'è #Putin?  Se così fosse saremmo una quinta colonna dei russi, come l'Ungheria di Orbàn. A Giorgia Meloni va bene essere alleata con chi trama con la Russia contro l'Occidente?», scrive Enrico Letta su 'Twitter a margine di quanto raccontato dalla Stampa su presunte pressioni fatte da Mosca su Salvini e i suoi ministri. Dal momento che nessuno dei tre sicari del "migliore" trova ancora il coraggio e l'orgoglio di autodenunciarsi ufficialmente in quanto tale, a più di una settimana dalle dimissioni di Draghi si sale di livello e si cercano i mandanti. In attesa di sapere se ci sia dolo o se invece sia stata l'eterogenesi dei fini a produrre brindisi sincronizzati tanto al Cremlino quanto in alcune sedi di partito patriote (mentre scrivo ascolto Conte allontanare ogni sospetto definendo i 5 Stelle un partito di "patrioti", appunto), la campagna elettorale sale di giri. Sempre mentre scrivo, c'è Berlusconi in tv, su Rete 4, come ai bei tempi, che snocciola il «credo laico di Forza Italia», qualunque cosa sia, che lui pare abbia già declamato a braccio nel febbraio del '94 e che ora sta di nuovo interpretando leggendo dallo stenografico di allora. Il leader di Forza Italia sproloquia di libertà e di comunismo come quando avevo ancora i capelli lunghi, poi va a braccio nell'attesa vana che il conduttore lo interrompa, cosa che finalmente avviene per lanciare la pubblicità, unico limite riconosciuto e condiviso alla libertà di non mollarci mai, sospesi nel tempo tra un milione di alberi da piantare oggi e un milione di posti di lavoro ieri, senza più Brunetta, Gelmini e Carfagna a tenere il conto. I tre ex ministri di Draghi ieri e di Berlusconi l'altroieri, sommati all'immarcescibile Di Maio, sono per ora i pezzi pregiati del discutibile mercato del centrosinistra volto ad acquisire nomi che dovrebbero in automatico portare elettori di centrodestra a votare la coalizione di centrosinistra senza tener conto di quanti elettori di centrosinistra potrebbero desistere, proprio a causa di tali operazioni, dal sempre più labile desiderio di votare. Pur comprendendo le necessità di compromesso dettate da una legge elettorale funesta, ritengo si sia ancora in tempo, tra un tweet che sbugiarda Salvini perché da ministro avrebbe fatto meno rimpatri di quanto promesso e un altro che esulta per l'astensione sui finanziamenti alla guardia costiera libica, per affrontare gli sfavori del pronostico proprio come se si fosse anche nei fatti, e non solo a parole, la coalizione di sinistra da votare.

Cocci&frammentidipolitica”. 2 Tratto da “Il Salvini rasato” di Filippo Ceccarelli pubblicato sempre su “il Venerdì di Repubblica” del 5 di agosto: Nel vasto mondo e baldanzoso di quelli che "ci mettono la faccia", l'altra settimana Matteo Salvini l'ha cambiata presentandosi a un comizio senza più la barba. Dopo aver reso noto che non succedeva da dieci anni, in punta di polemico vittimismo ha voluto aggiungere: "Domani parleranno solo di questo". Forse si aspettava di più, perché il giorno dopo le cronache - e non tutte - hanno dedicato alla circostanza solo qualche riga. Così, sia pure in congruo ritardo, potrà accontentarsi di questa trascurabile noterella ispirata dal fatto che il mutamento di maschera, che in latino si dice persona, coincide esattamente con l'inizio della campagna elettorale estiva; là dove il dato stagionale giustificherebbe un alleggerimento di peli sul volto, anche se sul piano del messaggio politico il Salvini rasato potrebbe spiegarsi con la necessità di far meno paura, inseguire il voto moderato, per così dire, e così via. Con la piena consapevolezza che ben altri sono i problemi che affliggono l'Italia in questo drammatico frangente eccetera, si eviterà qui di giudicare se il Capitano stia meglio o peggio. L'indizio, quant'altri mai neurovisivo, è che del taglio della barba si era ritenuto in dovere di dar conto a Berlusconi con il quale in proposito aveva ingaggiato una scommessa che sa tanto di omaggio votivo, talismano della vittoria e pegno d'alleanza. E così, rientrando in gioco le peripezie del berlusconismo pilifero, agli attempati rubrichisti può succedere di sentirsi un po' più giovani. Era l'aprile del 2011 quando, nel corso di una premiazione promossa dal ministero della Gioventù di Giorgia Meloni, Silvione espresse compiutamente, per giunta a spese del barbuto professore che l'aveva accolto, le ragioni della sua storica e conclamata idiosincrasia. Non c'entravano né i barbudos della rivoluzione castrista né i talebani. Specie per quanti svolgono il loro impegno in pubblico, spiegò con didascalica e crudele franchezza, la barba "ispira diffidenza dando l'impressione che chi la porta voglia nascondere qualche malformazione". Accadde così che qualche anno dopo l'aspirante governatore lombardo Attilio Fontana affrontò la campagna elettorale dopo essersi tagliato la barba; o che dopo la vittoria il Cavaliere pose la questione al presidente siciliano Musumeci: "Senti a me, da amico: tagliati quell'orribile e ridicolo pizzetto". Analoga e giocosa intimidazione dovette subire a più riprese il ministro La Russa, una volta perfino durante il giuramento, sotto gli occhi di un accigliato Napolitano. Sembra incredibile, ma anche oggi che ha quasi 86 anni Berlusconi si ritiene ancora un modello, pure fisico, al quale conformarsi - e Salvini l'asseconda non si sa se per gentilezza o calcolo, cortigianeria o pietà.

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