A lato. Lo scrittore - di noir - e giornalista Augusto De Angelis e la nipotina.
“Promemoriaelettorale”. Ha scritto Furio Colombo in “Meloni non è Biancaneve” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi 13 di agosto 2022: (…). Nella nuova versione di questa fiaba il linguaggio è duro e sgradevole, ti dice subito che gli italiani si dividono in "patrioti" (i suoi seguaci, i soli fidati custodi della patria) e gli altri, che sono comunisti o poco di buono. Gli "stranieri" devono stare fuori, di là dai confini, che segnano il punto in cui finisce una razza e ne comincia un'altra, che non bisogna mischiare o confondere.
Se non sei nato qui è inutile
tentare di saltare gli ostacoli. Non sei italiano e non lo diventerai mai.
L'idea è che ogni razza è una razza superiore, e non può essere contaminata da
un'altra razza. Questa idea del mondo e dei confini crea alla non Biancaneve un
problema non da poco in quanto madre. Deve sostenere che non c'è e non ci può
essere alcun rapporto o confronto o accostamento fra la sua bambina e ogni
altro bambino, che siano sani o malati - se gli altri bambini non sono
italiani. Noi (l'Italia) non siamo uno Stato, siamo una nazione (che vuol dire
l'aggregazione di gente abituata dai secoli a stare insieme e a formare un
popolo) che non deve essere infiltrata in alcun modo. In altre parole la nostra
Biancaneve-Giorgia proclama la pietrificazione delle generazioni di popoli che
nei secoli si erano accostati e mischiati ad altri popoli e tutto ciò avveniva
spostando case, città, oggetti, cerimonie, religioni, gerarchie e abitudini. Adesso
la parola d'ordine nella colonna sonora della fiaba Meloni è "blocco del
Mediterraneo". Che vuol dire: non deve passare nessuno per non inquinare
un popolo fingendo di non sapere che è già stato invaso e mischiato e affollato
da tante intelligenze diverse (popolo e governo) bianco e nero, dell'estremo
Nord e dell'estremo Sud, che viene dall'Africa, da tutte le distanze di Oriente
e dai ghiacciai. Nel Mediterraneo la gente senza assistenza affoga. Ma il punto
non è la salvezza. Il punto è che non devono traversare quel mare altrimenti
portano miseria, delinquenza, disordine e malattie. Chi li salva è complice
della grave violazione di una legge italiana detta "legge sicurezza".
Nel linguaggio del nuovo personaggio disneyano, il pericolo per la sicurezza è
lo "straniero". Straniero è qualcuno che penetra i confini di un
Paese in cui la vita è possibile, col pretesto di sopravvivere. Ma in realtà
vuole vivere meglio con vari espedienti. Per esempio rubare il lavoro ai
cittadini di quel Paese, oppure, invece di lavorare, incassare assistenza, che
il popolo invaso finisce sempre per dare credendo che sia obbligatorio. Oppure
prendere il controllo del Paese al posto dei titolari (il gioco è perfetto se i
titolari del Paese invaso sono bianchi e i nuovi venuti neri, cioè inferiori)
che diventeranno gli schiavi. Come vedete è una brutta storia, benché
presentata come una fiaba a colori e con richiami a storie liete che vengono
prima. I sette nani? Nel film Disney-Meloni sono più rudi e robusti, hanno le
loro canzoni eccentriche ("Frontiera Frontiera, cosa importa se si
muore", "Nizza, Savoia, Corsica fatal, Malta baluardo di
romanità", e ti fanno capire che non sono nostalgici, non cercano il
passato. Questo adesso è il presente. E non ti devi preoccupare. Con la sua
aria giudiziosa, la Disney-Giorgia ti fa capire che non è responsabile di chi
prova simpatia e la segue. Lei, con l'aria dolce e testarda, sostiene di essere
dalle tante parti giuste, che sono tutte a destra, anche se la sinistra, con la
mela avvelenata del marxismo, aveva cercato di addormentarci tutti. Ma il
popolo, come il principe, ha capito, e scoccherà il bacio del risveglio. Come
molti sanno, Walt Disney era un uomo di destra, forse l'unico nel mondo dello
spettacolo americano. Ma forse anche lui, a questo punto, avrebbe rinunciato. Di seguito, «L’antifascista “Augusto”
assassinato perché scrive noir» di Alessandro
Robecchi pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi: (…). Era nato nel 1888 Augusto De
Angelis, a Roma, ma fu subito milanese di adozione. Gli studi di giurisprudenza
non gli piacciono, li lascia a metà e si lancia nel giornalismo, con buona
fortuna, è una firma, intervista persino Mussolini, un paio di volte, e alla
fine di uno di quei colloqui, il duce gli dice, minaccioso: "Dite la verità
o la verità vi raggiungerà". Mortalmente profetico. Non gli basta neppure
il giornalismo: vuole scrivere, e scrive molto: teatro, biografie, libri,
persino la radio (ancora prima della fondazione dell'Eiar, una specie di pioniere).
Poi, dal 1930, i romanzi gialli. Un terreno inesplorato, una nuova frontiera,
un genere che già impazza nei Paesi anglosassoni, in quella linea che discende
da Poe e Conan Doyle e poi si spezza, si biforca: i ragazzacci dell'hard boiled
in America (Hammett, Chandler), il Maigret di Simenon in Francia. In Italia,
lui, Augusto De Angelis, una ventina di romanzi, una quindicina con il suo
commissario Carlo de Vincenzi, successo popolare, buone vendite. Oggi che il noir
italiano è un genere affermato, campionario di personaggi e affreschi locali,
De Angelis è riconosciuto come il capostipite, l'iniziatore, come si usa dire: il
papà. Ma al regime quella roba misteriosa e sanguinaria non piace. Tutti quegli
ammazzamenti, si dice, corrompono il carattere nazionale. E poi, che diamine,
sotto il fascismo il crimine non esiste, l'ordine regna, perché tutti quei
delitti? In più, il commissario de Vincenzi non è abbastanza fascista, anzi non
lo è per niente, nemmeno nelle forme. E un riflessivo, non un muscolare, non ha
mascelle volitive, non tifa per punizioni esemplari e bastonature. È uno che
capisce, che si mette nei panni del cattivo, non solo della vittima, predilige
l'analisi psicologica, e spiega perché: "Poe non ha conosciuto Freud, ma
oggi scrivendo un romanzo poliziesco non si può ignorare Freud".
Intollerabile. È vero che De Angelis dribbla, si barcamena, fa lo slalom tra
censure e divieti. Molti dei colpevoli dei suoi libri, per esempio, sono
stranieri (Milano era già cosmopolita, come si poteva esserlo negli anni Trenta
anche senza essere Parigi), cosa che avrebbe dovuto ammorbidire i censori. Niente
da fare. Nell'agosto del 1941 il regime annuncia il ritiro ("a cura degli editori",
che ubbidiscono al volo) di molti romanzi gialli, "per ragioni di carattere
morale". Passano solo due anni e arriva il divieto assoluto: il l° giugno
del 1943 il Minculpop decreta "il sequestro di tutti i romanzi gialli in
qualunque tempo stampati e ovunque esistenti in vendita". La fine di un
genere letterario, per decreto. L'ultimo romanzo di De Angelis (Curti Bò e la
piccola tigre bionda) è uscito da nemmeno un mese. Il padre del giallo
italiano, insomma, non può scrivere i suoi romanzi, verrà riscoperto più tardi,
passerà per le mani del grande Oreste del Buono, avrà la sua rivincita con
tanto di serie tv (allora sceneggiati televisivi), nei primi Settanta, con
Paolo Stoppa a incarnare il suo commissario. Gentile, riflessivo, arguto,
colto, non stupisce che non piacesse a un regime, che preferiva l'intimidazione
e il manganello. De Angelis rimane senza la sua passione, il noir, il genere
letterario (parole sue) "accessibile a tutti i lettori..., uomini e donne
di tutti i ceti e di tutte) e classi sociali". Stop, basta, chiuso, il
duce non vuole. Sfolla a Bellagio, sul lago, con la famiglia. E torna al
giornalismo, alla Gazzetta del Popolo. Ma quel che scrive piace ancora meno dei
gialli, e dopo l’8 settembre del 1943 viene arrestato come antifascista. Il
carcere è duro, lo prova, lo annichilisce, si ammala. Finalmente lo fanno
uscire ed è qui che comincia - e finisce subito - il nostro cold case. Sul
lungolago di Bellagio - è il 2 luglio 1944 - incontra Pietro Varoni, fascista
notorio, che lo picchia selvaggiamente. Augusto De Angelis viene ricoverato
all'ospedale di Como, dove muore dopo un paio di settimane (18 luglio).
L'indagine prosegue solo perché i Carabinieri tacciono il movente politico. Il
Varoni viene arrestato e subito rilasciato, ma la pratica va avanti, fino al
processo del 1950. Furono le lesioni a ucciderlo? O il suo stato di salute
generale, provato e fragile? C'è una guerra di perizie, si esuma la salma. Poi
il verdetto: niente omicidio, solo qualche sberla. E poi c'è l'amnistia, basta
odio, basta vendette, bisogna andare avanti, troncare, sopire. Augusto de Angelis
rimane così senza giustizia, morto di galera e di botte, di regime. Una morte
senza trama, senza colpi di scena. Così feroce e banale che lui non l'avrebbe
mai scritta.
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