"Composizione", acquerello (2022) di Anna Fiore.
“Geme la Terra” sotto l’insostenibile “urto” dell’unico essere vivente fuori-posto, ovvero il “virus-uomo”. Ha scritto Paolo Di Paolo in “Spreco” pubblicato sul settimanale “L’Espresso” di ieri, 14 di agosto 2022:
La storia delle occasioni
sprecate sarebbe un'affascinante, e disperante, controstoria d'Italia. Il
racconto di un Paese abituato, verrebbe da dire vocato, allo sperpero. C'è una
dimensione oggettiva, concretissima: riguarda non solo le mani sporche ma soprattutto
quelle bucate. Decenni di risorse economiche male impiegate, fiumi di denaro
investiti in modo avventato, incongruo, criminale; fondi congelati dai lunghi
inverni della più imbecille e ottusa burocrazia. Ma c'è anche una dimensione
ideale: uno spreco di pensiero e di visione che mai riesce a concretarsi; il
professionismo della fumisteria, il trionfo della promessa mai mantenuta,
l'abitudine alla deroga, al rinvio, l'appello a un futuro che non arriva mai, ed
è sempre qualche anno - una vita – più in là. Lo spreco diventa così dispendio
di energie creative, intellettuali, perfino morali. Diventa tempo che si
dilapida, obliterato. Il fermo immagine metaforico di un guasto idraulico che
nessuno si perita di riparare. E intanto, nell'indifferenza, nell'inerzia,
goccia dopo goccia litri d'acqua e di possibilità sono consumati, e
irrecuperabili. Un tempo di parsimonia coatta può seguire a quello dello
sperpero disinvolto; un'età di privazioni può succedere alla stagione di un
finto carnevale dell'abbondanza. Ma lo spreco è comunque e sempre un'offesa,
come si insegnava a tavola, cominciando dal pane. Il peccato presuntuoso di chi
non valuta i limiti, di chi ha per misura del mondo sé stesso. E pretende di
vivere un eterno, gretto e dunque cieco presente. La verità minacciosa della
crisi ambientale è ancora respinta da miliardi di coscienze: la specie umana,
anche in forza di una capacità di adattamento (psichico e fisico)
impressionante, teme solo ciò che la tocca direttamente. E reagisce solo a
quanto ha sotto gli occhi. Salvo una minoranza più avvertita, più sensibile,
più preoccupata, che qualcuno direbbe di visionari o di allarmisti: ma che
intanto riesce a cogliere, nella distrazione, lo sgocciolio insistente. Quella
- si dice per l'appunto così - perdita. Lo spreco ingiustificato della nostra
stessa sopravvivenza. Di seguito, l’incantevole scrittura di Viola
Ardone – insegnante e scrittrice - in “Il
canto dell’orso che sa cos’è la Natura” pubblicata sul settimanale “Robinson”
del quotidiano “la Repubblica” del 6 di agosto ultimo: Io sono l'orso, orso da sempre.
Io abito la Terra da quando la Terra era una palla di fango e di erbe, e le
notti duravano dal tramonto fino all'alba, e la luna e le stelle erano le sole
luci nel cielo, e senza la luna e le stelle era il buio. Io sono l'orso da
quando le cime delle montagne erano aguzze come denti di tigre e i fiumi erano
le uniche strade nel mondo, e il mondo era pieno di orsi: orsi d'acqua dotati
di scaglie e pinne e code argentate; orsi di cielo coperti di piume e di penne
e con becchi dorati; orsi di terra di ogni forma e dimensione. Quando è
arrivato l'orso senza pelliccia, nessuno in principio gli dato importanza: noi
millenari lo guardavamo con la coda dell'occhio e ridevamo sotto i baffi
dandoci di gomito l'uno con l'altro. Questo si estingue in meno di mille anni,
sicuro, ci dicevamo. Debole com'è, privo di ali, di scaglie e nudo di pelo sarà
una delle tante vittime di Natura. Invece l'orso senza pelliccia è rimasto per
molto di più del previsto e si è chiamato Uomo. Uomo tra tutti gli orsi che
sono esistiti da quando esiste il fango è quello che ha più combattuto contro
Natura. Col fuoco, col ferro, col fumo, facendo fare a natura secondo i suoi
gusti: girandole il corso dei fiumi, bucando la pancia delle montagne,
prendendole frutti e animali, mischiandole l'aria coi gas. Uomo ci ha sempre
fatto una specie di pena, a noi orsi col pelo, ma forse la sua forza è stata
proprio questa sua debolezza, si è fatto più accorto e ha imparato meglio degli
altri e più in fretta a sfidare Natura. Uomo ha più freddo e più caldo degli
altri, la sua pelle sottile si irrita col sole e la neve. Deve fare una serie
di sforzi infiniti per rimanere vivo. Orso no. A orso basta mangiare bere
dormire vagare. Morire. Uomo non vuole morire, per lui è punizione divina. Uomo
non conosce letargo, raramente riposa la testa, poche ore il corpo soltanto.
Uomo non conosce stagioni: d'estate vuole il freddo e d'inverno il caldo, e ha
inventato le macchine ad aria pungente per il freddo ed il caldo. Tutta una
vita a combattere perché manca di pelo e di piume e di scaglie. È questa sua
disgrazia che lo ha reso cattivo. Un tempo orsi con pelo e orsi senza pelo
vivevano distinti e separati. Uomo infatti aveva disposto le sue case vicine
tra loro e le aveva chiamate città. Gli orsi avevano i boschi, i fiumi e la
montagna, il freddo e il buio, da sempre. Poi anche questo è cambiato: qualcosa
creato da uomo ha fatto scappare via il freddo, ha smontato gli alberi dalle foreste,
allagato la notte di luce, asciugato i fiumi e fatto morire le piante. È stato
lui, di sicuro, perché è l'unico da quando la terra era una palla di fango e di
erba a lottare contro Natura. Così noi orsi siamo arrivati in città. I primi si
erano persi. Senza più orientamento del caldo e del freddo avevano smarrito la
strada del cibo e la luce delle stelle, e si erano trovati con le zampe sul
duro rovente della strada dell'uomo. Avevano trovato cibo facile e vita comoda
e si erano fatti confidenti. È stato un errore: Uomo scambia la confidenza per
docilità. In principio erano stati cacciati da Uomo, perché avevano grosse
unghie e postura eretta, proprio come lui. Ma col tempo ci hanno proposto il
solito patto: quello che per millenni hanno offerto ad altri prima di noi.
Tutti quelli che si sono fatti addomesticare sono diventati loro schiavi. Chi
lavora con Uomo finisce spennato, macinato, messo allo spiedo, costretto a
lavorare fino allo sfinimento o a fare da compagnia in uno spazio piccolo, con
una ciotola per l'acqua e una per il cibo, al posto della libertà. Orso non
voleva diventare domestico ma i boschi erano diventati troppo caldi, il cibo
poco, i fiumi e i laghi in secca. Non c'era più differenza tra la stagione del
caldo e quella del freddo. Nei mesi del letargo vagavamo in preda all'insonnia,
con le zampe ciondoloni lungo il corpo senza sapere cosa farcene di quel tempo
così lungo e vuoto, e ci chiedevamo l'uno con l'altro dove fosse finito
l'inverno. Non ridevamo più sotto i baffi tra noi. Io sono l'orso, orso da
sempre. E lo so che il tempo dura più delle specie. Sapevamo fin dall'inizio
che gli orsi senza pelliccia erano destinati a sparire e ci hanno sorpreso
perché sono restati fin troppo. Alla fine è stata la loro stessa battaglia
contro Natura, che li aveva salvati per millenni, a portarli ad estinguersi
rapidamente. Perché Natura perdona ma non dimentica, è un fatto di carattere.
Quando il clima è cambiato per loro non c'è stato più posto. Per noi è stato
diverso, avevamo ancora unghie forti, pelliccia folta e denti aguzzi, e quando
la terra è diventata una palla di fango rovente abbiamo aspettato e resistito,
resistito e aspettato. È una vita che ci alleniamo al letargo. Gli orsi senza
pelliccia invece non sanno fermarsi né tornare indietro per tempo. Sanno
leggere i libri ma non gli avvertimenti di Natura. Per questo all'inizio non
hanno capito e poi è stato davvero troppo tardi e loro non sapevano di essere
così deboli, l'avevano dimenticato che tra tutte le specie erano quella meno
adatta a sopravvivere, così delicati, senza piume e squame e peli. E senza
memoria. Quasi nessuno di loro aveva previsto quello che sarebbe successo, e
quei pochi non erano stati creduti. Forse immaginavano che ci sarebbe voluto
più tempo: i ghiacciai per sciogliersi, i campi per inaridirsi, i boschi per
bruciare, i laghi e i fiumi per andare in secca. Non conoscevano i tempi di
Natura: a volte ci impiega millenni, altre le basta scrollare un po' il dorso
nodoso per mandare a gambe all'aria una specie e far posto a un'altra, come una
mucca indolente che si toglie di dosso un insetto noioso. Basta un colpo di
tosse di Natura e ogni dinosauro si scopre formica. Quando tutto è finito, noi
orsi ce ne siamo tornati nei boschi. Abbiamo lasciato le loro città e permesso
alle erbe di mangiarsi di nuovo le strade. C'è voluto del tempo perché sui
monti tornasse la neve e le piogge di nuovo riempissero i fiumi. Ogni tanto ci
capita ancora di pensare a Uomo: peccato, ci diciamo allargando le zampe con
rassegnazione, non erano tutti malvagi, soprattutto i loro cuccioli, e poi si
dormiva bene nelle loro tane di pietra, e per andare a caccia bastava entrare
in un market. È un modo di vivere anche quello, chi dice di no, ma sono andati
oltre il limite, Natura non li ha perdonati. È un fatto di carattere. Tre
fiocchi di neve mi si posano sulla pelliccia, il cuore rallenta il suo ritmo,
tra poco si dorme. Non sai che silenzio, la notte.
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