"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 15 agosto 2022

Virusememorie. 91 «Lo spreco ingiustificato della nostra stessa sopravvivenza».

"Composizione", acquerello (2022) di Anna Fiore.

Geme la Terra” sotto l’insostenibile “urto” dell’unico essere vivente fuori-posto, ovvero il “virus-uomo”. Ha scritto Paolo Di Paolo in “Spreco” pubblicato sul settimanale “L’Espresso” di ieri, 14 di agosto 2022:

La storia delle occasioni sprecate sarebbe un'affascinante, e disperante, controstoria d'Italia. Il racconto di un Paese abituato, verrebbe da dire vocato, allo sperpero. C'è una dimensione oggettiva, concretissima: riguarda non solo le mani sporche ma soprattutto quelle bucate. Decenni di risorse economiche male impiegate, fiumi di denaro investiti in modo avventato, incongruo, criminale; fondi congelati dai lunghi inverni della più imbecille e ottusa burocrazia. Ma c'è anche una dimensione ideale: uno spreco di pensiero e di visione che mai riesce a concretarsi; il professionismo della fumisteria, il trionfo della promessa mai mantenuta, l'abitudine alla deroga, al rinvio, l'appello a un futuro che non arriva mai, ed è sempre qualche anno - una vita – più in là. Lo spreco diventa così dispendio di energie creative, intellettuali, perfino morali. Diventa tempo che si dilapida, obliterato. Il fermo immagine metaforico di un guasto idraulico che nessuno si perita di riparare. E intanto, nell'indifferenza, nell'inerzia, goccia dopo goccia litri d'acqua e di possibilità sono consumati, e irrecuperabili. Un tempo di parsimonia coatta può seguire a quello dello sperpero disinvolto; un'età di privazioni può succedere alla stagione di un finto carnevale dell'abbondanza. Ma lo spreco è comunque e sempre un'offesa, come si insegnava a tavola, cominciando dal pane. Il peccato presuntuoso di chi non valuta i limiti, di chi ha per misura del mondo sé stesso. E pretende di vivere un eterno, gretto e dunque cieco presente. La verità minacciosa della crisi ambientale è ancora respinta da miliardi di coscienze: la specie umana, anche in forza di una capacità di adattamento (psichico e fisico) impressionante, teme solo ciò che la tocca direttamente. E reagisce solo a quanto ha sotto gli occhi. Salvo una minoranza più avvertita, più sensibile, più preoccupata, che qualcuno direbbe di visionari o di allarmisti: ma che intanto riesce a cogliere, nella distrazione, lo sgocciolio insistente. Quella - si dice per l'appunto così - perdita. Lo spreco ingiustificato della nostra stessa sopravvivenza. Di seguito, l’incantevole scrittura di Viola Ardone – insegnante e scrittrice - in “Il canto dell’orso che sa cos’è la Natura” pubblicata sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” del 6 di agosto ultimo: Io sono l'orso, orso da sempre. Io abito la Terra da quando la Terra era una palla di fango e di erbe, e le notti duravano dal tramonto fino all'alba, e la luna e le stelle erano le sole luci nel cielo, e senza la luna e le stelle era il buio. Io sono l'orso da quando le cime delle montagne erano aguzze come denti di tigre e i fiumi erano le uniche strade nel mondo, e il mondo era pieno di orsi: orsi d'acqua dotati di scaglie e pinne e code argentate; orsi di cielo coperti di piume e di penne e con becchi dorati; orsi di terra di ogni forma e dimensione. Quando è arrivato l'orso senza pelliccia, nessuno in principio gli dato importanza: noi millenari lo guardavamo con la coda dell'occhio e ridevamo sotto i baffi dandoci di gomito l'uno con l'altro. Questo si estingue in meno di mille anni, sicuro, ci dicevamo. Debole com'è, privo di ali, di scaglie e nudo di pelo sarà una delle tante vittime di Natura. Invece l'orso senza pelliccia è rimasto per molto di più del previsto e si è chiamato Uomo. Uomo tra tutti gli orsi che sono esistiti da quando esiste il fango è quello che ha più combattuto contro Natura. Col fuoco, col ferro, col fumo, facendo fare a natura secondo i suoi gusti: girandole il corso dei fiumi, bucando la pancia delle montagne, prendendole frutti e animali, mischiandole l'aria coi gas. Uomo ci ha sempre fatto una specie di pena, a noi orsi col pelo, ma forse la sua forza è stata proprio questa sua debolezza, si è fatto più accorto e ha imparato meglio degli altri e più in fretta a sfidare Natura. Uomo ha più freddo e più caldo degli altri, la sua pelle sottile si irrita col sole e la neve. Deve fare una serie di sforzi infiniti per rimanere vivo. Orso no. A orso basta mangiare bere dormire vagare. Morire. Uomo non vuole morire, per lui è punizione divina. Uomo non conosce letargo, raramente riposa la testa, poche ore il corpo soltanto. Uomo non conosce stagioni: d'estate vuole il freddo e d'inverno il caldo, e ha inventato le macchine ad aria pungente per il freddo ed il caldo. Tutta una vita a combattere perché manca di pelo e di piume e di scaglie. È questa sua disgrazia che lo ha reso cattivo. Un tempo orsi con pelo e orsi senza pelo vivevano distinti e separati. Uomo infatti aveva disposto le sue case vicine tra loro e le aveva chiamate città. Gli orsi avevano i boschi, i fiumi e la montagna, il freddo e il buio, da sempre. Poi anche questo è cambiato: qualcosa creato da uomo ha fatto scappare via il freddo, ha smontato gli alberi dalle foreste, allagato la notte di luce, asciugato i fiumi e fatto morire le piante. È stato lui, di sicuro, perché è l'unico da quando la terra era una palla di fango e di erba a lottare contro Natura. Così noi orsi siamo arrivati in città. I primi si erano persi. Senza più orientamento del caldo e del freddo avevano smarrito la strada del cibo e la luce delle stelle, e si erano trovati con le zampe sul duro rovente della strada dell'uomo. Avevano trovato cibo facile e vita comoda e si erano fatti confidenti. È stato un errore: Uomo scambia la confidenza per docilità. In principio erano stati cacciati da Uomo, perché avevano grosse unghie e postura eretta, proprio come lui. Ma col tempo ci hanno proposto il solito patto: quello che per millenni hanno offerto ad altri prima di noi. Tutti quelli che si sono fatti addomesticare sono diventati loro schiavi. Chi lavora con Uomo finisce spennato, macinato, messo allo spiedo, costretto a lavorare fino allo sfinimento o a fare da compagnia in uno spazio piccolo, con una ciotola per l'acqua e una per il cibo, al posto della libertà. Orso non voleva diventare domestico ma i boschi erano diventati troppo caldi, il cibo poco, i fiumi e i laghi in secca. Non c'era più differenza tra la stagione del caldo e quella del freddo. Nei mesi del letargo vagavamo in preda all'insonnia, con le zampe ciondoloni lungo il corpo senza sapere cosa farcene di quel tempo così lungo e vuoto, e ci chiedevamo l'uno con l'altro dove fosse finito l'inverno. Non ridevamo più sotto i baffi tra noi. Io sono l'orso, orso da sempre. E lo so che il tempo dura più delle specie. Sapevamo fin dall'inizio che gli orsi senza pelliccia erano destinati a sparire e ci hanno sorpreso perché sono restati fin troppo. Alla fine è stata la loro stessa battaglia contro Natura, che li aveva salvati per millenni, a portarli ad estinguersi rapidamente. Perché Natura perdona ma non dimentica, è un fatto di carattere. Quando il clima è cambiato per loro non c'è stato più posto. Per noi è stato diverso, avevamo ancora unghie forti, pelliccia folta e denti aguzzi, e quando la terra è diventata una palla di fango rovente abbiamo aspettato e resistito, resistito e aspettato. È una vita che ci alleniamo al letargo. Gli orsi senza pelliccia invece non sanno fermarsi né tornare indietro per tempo. Sanno leggere i libri ma non gli avvertimenti di Natura. Per questo all'inizio non hanno capito e poi è stato davvero troppo tardi e loro non sapevano di essere così deboli, l'avevano dimenticato che tra tutte le specie erano quella meno adatta a sopravvivere, così delicati, senza piume e squame e peli. E senza memoria. Quasi nessuno di loro aveva previsto quello che sarebbe successo, e quei pochi non erano stati creduti. Forse immaginavano che ci sarebbe voluto più tempo: i ghiacciai per sciogliersi, i campi per inaridirsi, i boschi per bruciare, i laghi e i fiumi per andare in secca. Non conoscevano i tempi di Natura: a volte ci impiega millenni, altre le basta scrollare un po' il dorso nodoso per mandare a gambe all'aria una specie e far posto a un'altra, come una mucca indolente che si toglie di dosso un insetto noioso. Basta un colpo di tosse di Natura e ogni dinosauro si scopre formica. Quando tutto è finito, noi orsi ce ne siamo tornati nei boschi. Abbiamo lasciato le loro città e permesso alle erbe di mangiarsi di nuovo le strade. C'è voluto del tempo perché sui monti tornasse la neve e le piogge di nuovo riempissero i fiumi. Ogni tanto ci capita ancora di pensare a Uomo: peccato, ci diciamo allargando le zampe con rassegnazione, non erano tutti malvagi, soprattutto i loro cuccioli, e poi si dormiva bene nelle loro tane di pietra, e per andare a caccia bastava entrare in un market. È un modo di vivere anche quello, chi dice di no, ma sono andati oltre il limite, Natura non li ha perdonati. È un fatto di carattere. Tre fiocchi di neve mi si posano sulla pelliccia, il cuore rallenta il suo ritmo, tra poco si dorme. Non sai che silenzio, la notte.

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