"Ara Pacis" (pannello con Tellus, 9 a.C.).
Ha scritto Tomaso Montanari in “Facciamo pace con la Terra” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 12 di agosto 2022:
Tra il caldo infernale, il mare e la
campagna elettorale, in un tripudio di politici da operetta e scambi di agende,
la guerra in Ucraina ce la siamo già dimenticata. Eppure, è lì che dovremmo
tenere fissi occhi e cuore, in un esercizio di umanità che il tempo liberato
(almeno per i più fortunati) dell'estate può render più agevole. E dunque
andiamo in pellegrinaggio, laico e umanistico, all’Ara Pacis, l'altare della
Pace a Roma. Certo, quella che lì si celebra e si venera è la pace di Augusto, la
pace imperialista per eccellenza: quella che poi farà da modello a tutti gli
altri cesari - veri o sedicenti, occidentali o orientali - che da millenni
fanno deserti, e li chiamano pace. Ma nonostante tutto questo, quelle sculture
in riva al Tevere continuano a rappresentare in modo sublime l'aspirazione ad
una pace vera, quella pace che è condizione e viatico per ogni possibile
salvezza comune. A colpire, oggi, è soprattutto l'aspirazione globale,
ambientale, alla pace che vi si rappresenta: non è solo una pace tra le nazioni
e gli eserciti degli uomini, no. È tutta la natura - tutta la creazione, come
diranno i cristiani - ad esser coinvolta, con un'intensità che al Medioevo
sembrò assonante agli accenti messianici con cui i Salmi biblici prospettavano
l'avvento della salvezza: fiumi di latte e miele, bambini che giocano con i
cuccioli di leone e mettono senza conseguenze le dita nelle tane dei serpenti. Non
c'entrava tuttavia la Bibbia, era lo spirito che soffiava nella quarta Ecloga
di Virgilio, dove l'età dell'oro di Augusto significa armonia e fecondità della
natura tutta. Così sull'Ara Pacis è la dea Tellus, la Terra, a dividersi la
scena con Roma: carica di frutti e animali, madre feconda come una madonna politeista.
È quello che anche noi, oggi, dobbiamo capire: nessuna pace tra gli uomini è
possibile se non facciamo prima pace con la Terra. Perché ci raccontiamo che si
affrontano modelli diversi di società, o che la democrazia si difende dalla tirannia,
ma la verità profonda è che tutte le guerre sono guerre per il controllo e il
dominio delle risorse finite della Terra: gas, petrolio, acqua ... «Omnis feret
omnia Tellus»: la Terra darà tutto a tutti, canta Virgilio. Ed è proprio qua - in
un governo giusto, egualitario e condiviso della Terra: che a tutti assicuri la
vita - la chiave e la base per quella pace duratura che ogni giorno sembra
sempre più lontana. Di seguito, “Impariamo
a non essere i padroni del pianeta” di Nicola Lagioia pubblicato sul
settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” del 6 di agosto ultimo: Nei
sogni cominciano le responsabilità. È il titolo di una raccolta di racconti di
Delmore Schwartz che potrebbe tornare utile nel discorso sul cambiamento
climatico. Viviamo un'epoca in cui preoccupazione e irresponsabilità sembrano
alimentarsi tra loro. Più ci accorgiamo di correre un pericolo enorme più ci
riempiamo d'angoscia, ciò nonostante (sorretti da dati e cifre
incontrovertibili) non riusciamo a correre ai ripari. Se fino a qualche tempo
fa sapevamo quel che stava per succedere grazie ai rapporti della comunità
scientifica, da qualche estate cominciamo a percepire il pericolo anche coi
nostri sensi. Il crollo di un ghiacciaio, un'alluvione, un'eruzione di caldo
asiatico al centro del Mediterraneo. Nell'apologo della rana bollita (l'anfibio
messo in un pentolone dove l'acqua si riscalda in modo troppo lento perché la
piccola creatura reagisca con prontezza, ma con costanza sufficiente affinché
resti a mollo fino al punto di cottura) siamo al momento in cui vorremmo saltar
fuori ma temiamo di non avere più le forze. I ghiacciai si sciolgono, gli
oceani si acidificano, la siccità avanza, le specie si estinguono a ritmo
accelerato, le migrazioni di massa (vere e proprie fughe da paesi e territori
non più abitabili) promettono tumulti su scala globale. Per evitare il disastro
dovremmo mettere in discussione lo stile di vita che conduciamo e, in modo più
deciso, il nostro sistema di produzione, di consumo, di sviluppo. Conti alla
mano il gioco varrebbe la candela. E allora perché non ci muoviamo?Il
problema è che concetti come il sistema di produzione, o lo stile di vita, non
sono la conseguenza di un disegno razionale. Rispondono a istinti ben più
profondi. Per cambiare le regole del gioco dovremmo scendere nei territori dove
pulsioni primordiali e correnti inconsce determinano le nostre azioni più di
quanto non vorremmo. Perché l'informazione diventi conoscenza bisogna arrivare
a sentire laggiù ciò di cui siamo già edotti in superficie. Nei sogni, appunto,
cominciano le responsabilità.Siamo chiamati a un cambiamento
antropologico, a una trasfigurazione esistenziale, a una crescita spirituale.
La stoffa con cui abbiamo tessuto le nostre menti è logora. Crediamo di essere
i padroni del pianeta, sfruttiamo senza ritegno le sue risorse, pensiamo di
poter assoggettare ai nostri bisogni le altre creature (la tentazione di
ridurre in schiavitù altri esseri umani non è da noi del tutto estinta),
animati da questa credenza devastiamo foreste, miniamo ecosistemi,
amplifichiamo disuguaglianze, inseguiamo il miraggio di una crescita infinita
(contro ogni legge di natura: crediamo inesauribile ciò che non lo è), e così
seghiamo il tronco su cui siamo seduti. Tutto questo non ha a che fare con la
razionalità, riguarda semmai l'istinto, il mito (da Prometeo a Faust), e
soprattutto la paura. Creature capaci di astrazione, sappiamo di dover morire.
È per allontanare questo spettro che abbiamo costruito con tanta foga
l'apparato di difesa, aggressione, calcolo e dominio che ora sta andando
pericolosamente fuori registro. Sarà dunque in quella paura che dovremo
sostare, il che significa introdursi anche nella frattura psichica che ci ha
persuasi di essere gli eletti al centro della scena e, al tempo stesso, le
creature più tragicamente sole dell'universo, separate in modo irreparabile da
ciò che ci circonda.Come schiodarci da un antropocentrismo così
triste e distruttivo? Gli strumenti a diposizione sono diversi. Ne indicherò
uno che potrebbe suonare inatteso. Gail Bradbrook è l'attivista britannica che
nel 2018 ha contribuito a fondare Extinction Rebellion, uno dei movimenti
ambientalisti più noti tra quelli affermatisi negli ultimi anni. Difendere la
biodiversità e ridurre il rischio dell'estinzione della specie umana sono due
condivisibili obiettivi sui quali il movimento - che vanta l'appoggio di
centinaia di accademici - si sforza di sensibilizzare governi e opinione
pubblica attraverso campagne di informazione e azioni di disobbedienza civile
piuttosto radicali. Gail Bradbrook ha dichiarato di aver deciso di fondare
Extinction Rebellion dopo avere partecipato a una cerimonia di ayahuasca. È
interessante il modo in cui il rinascimento psichedelico si sta saldando ai
temi dell'emergenza climatica. Da qualche anno una parte rilevante della
comunità scientifica ha cambiato idea su sostanze come psilocibina, mescalina,
lsd, dmt (contenuta di solito nel decotto di ayahuasca). Considerate droghe
pericolose ai tempi di Nixon, è bastato studiarne seriamente gli effetti - fuor
di campagna elettorale - per rendersi conto che le cose stanno in modo diverso.
In alcuni paesi gli psichedelici vengono oggi usati in via sperimentale per
combattere le dipendenze (da eroina, alcol, cocaina), per contrastare con
efficacia le peggiori depressioni, per alleviare le sofferenze psicologiche dei
malati terminali, per curare la sindrome da stress post traumatico.Da
maneggiare con cura, coscienza e preparazione, gli psichedelici sono
assimilabili al pharmakon greco, parola ambigua che può designare sia un veleno
che una medicina. Chi ha avuto esperienze psichedeliche ben condotte afferma di
aver sentito crollare la barriera che ci fa credere di vivere separati dal
resto del creato. Sotto l'effetto degli enteogeni (altro termine con cui si
ritiene di poter definire queste sostanze) l'ipertrofia dell'io si attenua fin
quasi ad azzerarsi, e così emerge una nuova forma di coscienza: non siamo più
chiusi nella gabbia dell'individualismo esasperato che spesso ci caratterizza
ma ci sentiamo parte del tutto, il frutto mai identico della continua
negoziazione con gli altri viventi, e dell'interazione con gli alberi, le
piante, l'ossigeno, il vento, la luce, le forze e gli elementi che consentono
la vita.Molte persone, dopo esperienze simili, hanno ridotto o cessato del
tutto il consumo di carne. Molte hanno abbracciato la causa ambientalista con
un trasporto che la lettura dati scientifici non era stata da sola in grado di
infondere. Poiché il tempo a disposizione è poco, l'uso consapevole degli
psichedelici potrebbe funzionare per alcuni come acceleratore emotivo sulla
strada della consapevolezza. È l'opinione di Michael Pollan, uno dei giornalisti
più rispettati sulla scena internazionale, autore di Come cambiare la tua
mente, tra i più importanti libri divulgativi sull'argomento, pubblicato in
Italia da Adelphi e proprio in queste settimane uscito su Netflix come serie
tv. "Dopo un'esperienza psichedelica, ci sono meno probabilità di
oggettivare la natura", sostiene Pollan. A conclusioni simili sono giunti
molti ricercatori dell'Imperial College di Londra, ma sono tante le università
e gli istituti di ricerca in giro per il mondo che stanno gettando nuova luce
su questi temi.Che ci si arrivi attraverso la psichedelia o
per altre strade, siamo chiamati a un grande salto. L'uomo che cesserà di
devastare il pianeta sarà diverso da quello che lo ha minato fino ad ora.
Qualcosa dovrà scattare in noi, o non saremo. Così ecco la domanda decisiva:
perché mai non dovremmo estinguerci? Merita la nostra civiltà di continuare a
esistere?Prima di rispondere bisogna ricordare alcuni nostri tratti distintivi.
Siamo la specie che, mossa dalla paura di morire e dallo speculare desiderio di
assaltare il cielo, ha sviluppato delle protesi sempre più potenti (dalla ruota
alle sonde spaziali ai missili atomici), generando una forza capace di incidere
ora sui processi geologici del pianeta che la ospita. Questa circostanza fa
ricadere su di noi una nuova ed enorme responsabilità, inchiodandoci al tempo
stesso a un nostro antico attributo fondante: la libertà di scelta. Siamo anche
la specie, vale a dire, che pur potendo scatenare la guerra può dichiarare la
pace, pur potendo uccidere può risparmiare, pur potendo ridurre in schiavitù
può liberare, pur credendo di pulsare al centro della scena può ricordarsi di
fare parte del tutto, la specie che può condividere anziché depredare, può
rispettare anziché umiliare, e che anziché distruggere può amare.Per
la prima volta al libero arbitrio è dunque legata non solo una valutazione sul
piano etico (quel che avremmo chiamato la salvezza dell'anima), e non solo la
rovina di alcuni a vantaggio di altri, ma la vita di tutti.Gli
attributi che meglio ci definiscono come specie riducono di giorno in giorno la
distanza con ciò che determinerà la degna prosecuzione della nostra storia, o
che ci perderà. Cosa succede quando etica e sopravvivenza si guardano allo
specchio, quando l'insieme degli elementi che definiscono un'identità si
sovrappongono al destino? È questa, forse, la novità dell'epoca in cui siamo
entrati.
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