"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 24 agosto 2022

Dell’essere. 53 Goethe: «Natura! Viviamo nel suo seno e le siamo estranei. La vita è la sua invenzione più bella e la morte è il suo artificio per avere molta vita».

A lato. "Faro e onde" (2022), acquerello di Anna Fiore.

Storiedivitediverse” 1. Ha scritto Concita De Gregorio in “Il passaggio di Narnia” – pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 20 di agosto 2022 – di una “stagione della vita” vissuta o quanto meno inseguita, caparbiamente ricercata nelle memorie, negli oggetti, nelle voci, nelle mura delle vecchie dimore – di campagna meglio – memorie che, con esse rase al suolo per i nuovi progetti, sono destinate a scomparire dalle affannose attenzioni correnti poiché non amorevolmente più accarezzate e puerilmente ricercate.

È capitato ad una antica casa di campagna da noi intensamente vissuta, luogo di ritrovo di parenti prossimi e non prossimi, di amici o di improvvisi ospiti al seguito, abbattuta per una ricostruzione più idonea alle necessità correnti. Ricordo bene la mia ultima visita - in solitaria - alla “casa” in un pomeriggio dello scorso mese di ottobre (2021) e della lacerante difficoltà di staccarmene, all’imbrunire, come se una forza misteriosa mi trattenesse lì accanto alla casa morente (lo sarebbe stato entro pochissimi giorni). E ho dovuto farmi forza allorché mi fu chiesto e ri-chiesto a più voci di andare a vedere la nuova struttura appena sorta. Ed ancor oggi un magone grande continua ad impossessarsi del mio animo ogni qual volta mi tocca raggiungere quella che è stata l’antica casa di campagna”, ché mi pare di sentire ancor oggi un rincorrersi gioioso di voci.  Ha scritto Concita De Gregorio: È arrivata la stagione della vita in cui si vendono le case dei nonni. Non tutti, ma quasi tutti i nonni avevano una casa. Che ora è un rudere in campagna, il fico è cresciuto dentro la stanza del camino e c'è da rifare il tetto che è venuto giù, costa troppo, vedremo. È un appartamento di una palazzina di pietra al centro del paese, il paese si trova a 740 chilometri dalla città dove la terza generazione vive e ci si va una volta all'anno d'estate, i genitori volentieri perché sentono gli odori, i figli protestando perché la casa è buia, è umida, le lenzuola sono ruvide e in paese non c'è niente da fare. Talvolta è all'estero, la casa, perché siamo tutti figli del mondo e soprattutto per i rami materni (che non si considerano mai nelle genealogie) esistono rotte di provenienza che, vuoi o non vuoi, sai o non sai, ritornano. Il tempo fa dei giri. Le case dei nonni quando i genitori sono giovani non si toccano. Resta tutto com'era, perché i loro figli - i nostri genitori - fanno troppa fatica a separarsi dal luogo dove sono nati. Fatica pratica, soprattutto emotiva. Le stanze restano così, le cucine non si ammodernano, le trapunte dei letti e i quadri non si toccano. Per la nostra vita intera le case dei nonni sono rimaste intatte, ferme a un altro tempo. Poi i nostri genitori diventano nonni a loro volta, nascono i nostri figli e crescono, talvolta precocemente fanno famiglia e se ne vanno. I figli dei nostri nonni, cioè i nostri genitori, diventano bisnonni. Hanno ottant'anni, più o meno. È maturo il tempo dei congedi, o per lo meno del pensiero di come mettere in ordine le cose per dopo. Perciò ecco: arriva il momento in cui si vendono le antiche case. Si fa una riunione di famiglia, talvolta in videochiamata, si fa la tara dei pensieri e delle parole che si incagliano, si prova a capirsi nel lessico familiare e si decide che sì, ci sono questi stranieri che la vogliono, vendiamola. Sono due soldi, di solito, che fra tasse e distribuzione fra gli ormai tanti eredi sono niente. A volte meno di niente. Ma ci sono le cose. Non bisogna mai dimenticare le cose. È arrivato all'improvviso a casa mia l'armadio di mia nonna. Stava in camera sua, un tempio inviolabile. La stanza dove all'ombra riposava il pomeriggio, dove potevi entrare solo se ti diceva: entra. L'armadio aveva due ante a specchio, era prezioso e fragile, non si poteva toccare. Il passaggio di Narnia. Un posto misterioso e magico, che custodiva dolci, regali, fettucce per i rammendi e scialli per uscire la sera. Quando ero stata molto brava, o lei era molto malinconica e dunque generosa, mi diceva - dal letto - apri il secondo cassetto. No, non quello, il secondo - non vedeva, sentiva. Prendi la busta a destra, aprila. Dentro c'è un uccellino di legno, stai attenta non lo rompere. Vieni, ti faccio vedere come funziona: ha questa pallina attaccata al filo, sotto, vedi? Se la fai girare l'uccellino si muove. Ti piace? Un meccanismo. Un piccolo uccello di legno con una testa mobile, un filo con un peso che nella rotazione gli faceva fare il gesto di beccare. Una meraviglia. Ora ho a casa l'uccellino, da cinquant'anni, e l'armadio, da cinque giorni. Ora devo pensare di cosa riempirlo, a chi lasciarlo, quando.

Storiedivitediverse” 2. Ha riportato Umberto Galimberti in “Nichilismo cosmico” la lettera del giovine lettore A. M. pubblicata sullo stesso settimanale “d” del 20 di agosto ultimo: Ho 19 anni. E ascoltandola mi sfugge come la condizione nichilista che lei descrive possa assurgere a tratto esclusivo e distintivo dei giovani di oggi. Penso al mal du siècle dei giovani de/XIX secolo, oppure allo smarrimento, alla delusione, all'incomprensione dei giovani della Beat Generation Dean Moriarty e Sai Paradise, i due protagonisti di Sulla strada di Kerouac, sono, infin dei conti, alla ricerca di un significato che nemmeno esiste. Solo dopo aver macinato migliaia di chilometri capiscono che un senso non c'è, e se c'è, sta nella strada che porta al nulla, perché è la strada che detiene il mistero dell'eterno assoluto presente. Ed è in quell'assoluto presente che Dean e Sai perdono lo scopo, perdono il perché. Non è forse il giovane un oggetto sacro che esula dal suo tempo specifico, per cui la caduta nel nulla non è il tratto specifico dei giovani d'oggi? Ha così risposto Umberto Galimberti al giovine Suo lettore: Quando malinconicamente pensiamo che il nulla racchiuda il senso della vita, allora dovremmo sporgere lo sguardo in modo più profondo e abissale e scopriremo che la vita, e con lei la storia, non sono attraversate da alcun senso. Se ho capito bene la sua lettera, il nichilismo di cui lei parla fa impallidire il nichilismo di cui parlo io, quando descrivo l'attuale condizione giovanile come una condizione caratterizzata da un futuro imprevedibile che non retroagisce come motivazione, come invece accadeva alla mia generazione quando il futuro sembrava esser lì ad aspettarci, e guardarlo motivava immediatamente l'impegno e la voglia di viverlo. Oggi, invece, come scrive Nietzsche: "Manca lo scopo, manca la risposta al perché". Perché devo impegnarmi, perché devo studiare o lavorare e, al limite, perché devo stare al mondo se il futuro non è più una promessa ma, come dice Miguel Benasayag, una minaccia? Non è forse proprio per difendersi dall'angoscia che i giovani avvertono quando sporgono il loro sguardo sul futuro a indurli a bere senza misura o a drogarsi, non tanto per il piacere che alcool e droga possono dare, quanto per anestetizzarsi dall'angoscia del futuro, per cui vivono l'assoluto presente, in presa diretta ventiquattro ore su ventiquattro? Al pari di lei anch'io sostengo che la giovinezza ha qualcosa di sacro, perché nell'arco della vita rappresenta quell'età in cui si ha il massimo della potenza biologica, il massimo della potenza sessuale, il massimo della potenza ideativa, se è vero che Leopardi ha scritto L'Infinito a 21 anni, Einstein ha trovato la sua formula a 24, gli ideatori di Google e di Appie in quell'età hanno ideato quel mondo virtuale che noi oggi tutti abitiamo. E se questo è vero, una società che non impiega i giovani e tutta quella potenza che la natura ha dato loro, come può pensare di avere futuro? Ma lei guarda a un livello più abissale del mio, perché il mio sguardo non oltrepassa l'orizzonte della storia e constata che per i giovani d'oggi è difficile reperire un senso della loro esistenza. Lei invece guarda a partire dalla natura, che, essendo del tutto indifferente alla vicenda umana, assiste al succedersi delle generazioni, ognuna delle quali porta con sé quell'età sacra che è la giovinezza, per poi spegnersi onde lasciare il posto alla generazione successiva che a sua volta si spegnerà, dove ciò che si celebra non è più la storia, ma l'eterno ciclo del tempo che ripete se stesso senza ragione e senza perché, quindi senza che un senso sia da qualche parte reperibile. Qualunque sia la strada che ogni generazione intraprende per trovarlo alla fine c'è il nulla. Il suo sguardo non è dissimile da quello di Goethe là dove scrive. "Natura! Viviamo nel suo seno e le siamo estranei. Sembra che abbia puntato tutto sull'individualità, eppure niente le importa degli individui. In essa è eterna vita, divenire e moto, e tuttavia non progredisce. Il suo spettacolo è sempre nuovo, perché essa crea sempre nuovi spettatori. La vita è la sua invenzione più bella e la morte è il suo artificio per avere molta vita. Non conosce né passato né futuro. Il presente è la sua eternità". Convenga con me che, da questo punto di vista non c'è alcun senso da reperire. Ma forse questo sguardo che lei, con Goethe, propone sarebbe bene che tutti noi lo tenessimo presente ogni volta che ci angosciamo e ci distruggiamo perché non otteniamo quello che il nostro Io vuole.

1 commento:

  1. "Tutti i cambiamenti anche i più attesi, hanno la loro malinconia, perché ciò che lasciamo dietro di noi è parte di noi stessi, dobbiamo morire in una vita prima di poter entrare in un ' altra". (Anatole France). "C' è solo una costante nella vita : il cambiamento. Se resistiamo al cambiamento soffriremo inutilmente. Dobbiamo accettare che tutto cambi : le persone, le situazioni, i sentimenti, la vita. E dobbiamo accettarlo come un albero fa con il vento : piegandosi, ma non spezzandosi ". (Anonimo). " Il cambiamento non è mai doloroso, solo la resistenza al cambiamento lo è ". (Buddha). " Si guarisce, si guarisce da tutto. Dalle assenze, dai ricordi, dalle dipendenze. Col tempo, non si elimina, si accantona, si fa da parte. Ti accorgi che, quello da cui non sapevi staccarti, quello per cui avresti creduto di morire senza, non è più insostituibile. Indispensabile. Perché, si sa, tutto passa, anche se niente si dimentica ". (Anonimo). "Non siamo i personaggi di una favola a lieto fine, siamo anime tormentate, condannate a vagare sulla terra senza pace e senza motivo, abbiamo il fuoco che ci brucia dentro e il vuoto attorno ". (Lucrezia Beha). " Annullate spazio e tempo nutrendovi d'amore ".(Carlo Prevale). Grazie, carissimo Aldo, per l'opportunità che mi regali con la condivisione di tanti tuoi preziosi post, come questo, perché mi sono di grande aiuto in quella difficile impresa che è la conoscenza del mio vero sè... Buona continuazione.

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