"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 29 agosto 2022

Piccolegrandistorie. 28 Storie di Calabria.

 

A lato. Duomo di Cosenza: "Tomba di Isabella d'Aragona" (1275).

Storie di Calabria” 1. “La luce francese che illumina il Duomo di Cosenza” di Tomaso Montanari, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del primo di luglio 2022: Compie 800 anni, il Duomo di Cosenza. Conficcata in un centro antico struggente quanto tradito, la cattedrale è come un'arca di Noè, carica di oggetti mirabili (su tutti la Stauroteca donatale da Federico II), o come un'arca dell'Alleanza. Dell'alleanza tra tempi e luoghi lontani: monumento meticcio e porta magica tra identità diverse. Quel che a Cesare Brandi pareva una compromissione inaccettabile («gotico su impianto romanico, ma purtroppo a causa di rifacimenti e restauri, e restauri di restauri, è ridotto a parere tutto falso») sembra a noi una geografia di cicatrici che ce lo fa più caro, più simile a noi tutti: gli umani. E non è forse questa connessione sentimentale, in fondo, a tenere i monumenti in vita? E poi lo stesso Brandi concedeva: «Nel Duomo di Cosenza c'è un monumento, più che singolare, assolutamente unico in Italia: quello a Isabella d'Aragona, moglie di re Filippo l'Ardito, che tornando dall'Oriente morì a Cosenza. Era il 1271 e alla sovrana, probabilmente a cura degli Angioini di Napoli, fu fatto erigere il monumento sepolcrale: e regina di Francia Isabella, francesi gli Angioini, non meraviglia che lo scultore fosse francese». Ecco la folgorazione: un caso crudele volle che quella giovane sovrana incinta, nata in Spagna e regina di Francia, morisse cadendo da cavallo proprio lì, a Cosenza. E lì fosse sepolta, finché il marito non riuscì a riportarne il corpo tra le arche reali francesi. Ma la tomba no, quella è restata: francese non solo nella funzione, ma nella fattura e dunque nello stile. Contaminazione felice e feconda di un tempo più capace del nostro di abbattere frontiere e mescolare storie. Un'opera meravigliosa, continuava Brandi: «Questa scultura unica merita un viaggio a Cosenza: perché l'aerea trasparenza di questa pietra, più modellata che scolpita, si indurisce per la fotografia, non sopporta le ombre secche: esige questo crepuscolo, la luce filtrata da quella ipotetica grisaglia che sta dietro le figure e che diffonde sulle figure l'impalpabile grigio, lunare e velato, che è solo francese». Andare a Cosenza per conoscere Isabella, sì: per vedere questo pezzo di ile de France trapiantato all'estremo sud della Penisola. Vedere con i nostri occhi: andando con i nostri corpi vivi incontro a quei corpi di pietra. Chi usa l'arte, la cultura, l'identità come altrettante clave contro gli incroci, i mescolamenti, le ibridazioni tra popoli e storie: ebbene, non sa cosa siano. Quanta luce si perde dividendo, classificando e separando ciò che è intrecciato così strettamente da non esistere da solo. Come ci insegna questa luce francese che illumina Cosenza da più di sette secoli.  

Storie di Calabria” 2. «I Bronzi “fratricidi” erano romani?» di Sergio Rinaldi Tufi pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 27 di agosto ultimo: La grande stampa non ha colto l'occasione del cinquantenario della scoperta (agosto 1972) per fare il punto sulle ultime importanti ipotesi nelle ricerche sui Bronzi di Riace. Neppure quelle che li collegano alla vicenda (fra storia e mito) dei "Sette contro Tebe", narrata anche in una celebre tragedia di Eschilo, e addirittura ipotizzano una loro presenza a Roma. Parliamone noi (…) partendo doverosamente però da un'intervista al personaggio da cui tutto è partito, Stefano Mariottini, il "sub" che le individuò e che diede subito la notizia alle autorità competenti. Solo un appassionato di immersioni fortunato e onesto? No: chimico e dirigente di aziende, fra cui Selenia, ha collaborato da allora come volontario a infinite ricerche delle Soprintendenze e dei nuclei specializzati dei carabinieri. (…). All'inizio le due statue venivano viste quasi come "gemelle", accomunate dalla perfezione delle forme e dalle grandi dimensioni (2,05 metri per la statua battezzata provvisoriamente "K, 1,98 per "B"). E sono analoghe anche le impostazioni delle due figure, che somigliano a quelle del "Canone" delineato intorno al 450 a.C. da Policleto, grande scultore di Argo in Peloponneso: peso del corpo scaricato in maggior misura sulla gamba destra mentre la sinistra è di appoggio ("ponderatio"). Negli anni si è parlato, a seconda dei momenti e dell'esito delle più disparate analisi, di distanza cronologica fra le due sculture, oppure di contemporaneità. Fra i più recenti protagonisti delle ricerche ricordiamo Paolo Moreno (Università di Roma III, grande esperto di scultura del V e IV secolo a. C., scomparso nel 2021) e Daniele Castrizio (Università di Messina (…). Su alcuni punti c'è accordo. Anzitutto, le statue sono proprio contemporanee, e si datano intorno al 450 a. C., non solo perché è questo il periodo in cui Policleto elabora il "Canone", ma anche perché lo rivela l'esame al C 14 (l'isotopo radioattivo del carbonio che consente di datare i resti vegetali e animali) dei residui organici trovati fra le terre di fusione rimaste all'intero delle sculture. Altre analisi hanno attribuito le terre stesse alla zona di Argo (proprio la città di Policleto). Vista la qualità delle sculture, il monumento di cui in origine facevano parte doveva essere importantissimo, e ricordare un evento in cui la presenza di Argivi era stata determinante. Pausania, autore nel II secolo d. C. di una Periegesi (guida) della Grecia, dice che nella stessa Argo esisteva un monumento dedicato all'impresa (fra storia e mito) dei Sette contro Tebe. I tebani Eteocle e Polinice non avevano trovato un accordo sulla successione al padre Edipo, e avevano deciso di regnare un anno per uno. Quando Eteocle, alla fine del suo primo turno, non rispetta l'accordo, Polinice va ad Argo a chiede aiuto al re Adrasto e al valoroso e feroce Tideo, che coinvolgono altri cinque eroi, fra cui il mite e poco convinto Anfiarao. Si parte per Tebe, dove però Eteocle e Polinice si uccidono fra loro, e gli altri muoiono tutti, tranne Anfiarao. Poiché l'evento, visto il pessimo esito, non sembra tale da essere celebrato, e poiché d'altra parte la sconfitta venne vendicata dieci anni dopo dagli Epigoni (i "discendenti"), si è pensato che il monumento rievocasse entrambe le fasi, e che i Bronzi rinvenuti a Riace facessero parte di un nutrito gruppo, piuttosto complesso.  Chi erano? Le due teste sono rese entrambe con eccezionale maestria: i riccioli delle barbe e dei capelli sono lavorati e inseriti a uno a uno, gli occhi sono in avorio e pasta vitrea (il canale lacrimale, in "A”, è addirittura indicato da minuscole pietrine rosa), le labbra (come del resto i capezzoli) assumono una colorazione rossa grazie all'uso del rame. Ma, al di là di questa perfezione tecnica, le espressioni sono ben diverse: "A" mostra uno sguardo fierissimo e digrigna i denti (eseguiti peraltro in argento), "B" appare meno aggressivo. Per Moreno raffiguravano rispettivamente Tideo con la sua sovrumana ferocia e Anfiarao, il timoroso che però si salva. In una serie di ricerche svolte nell'ultimo quindicennio, Daniele Castrizio ha rivoluzionato il panorama. I Bronzi riconducono, sì, alla vicenda dei Sette contro Tebe, ma non raffigurano Tideo e Anfiarao, bensì i fratelli nemici Eteocle e Polinice. Un autore cristiano del II secolo d.C., Taziano il Siro, rimprovera i pagani di non disapprovare il fratricidio: "Vedendo le figure di Polinice e di Eteocle, non seppellite insieme al loro autore Pitagora... ". Esisteva dunque un gruppo dei Fratricidi, opera di Pitagora di Reggio, nato a Samo ma trasferitosi poco dopo il 500 a. C. in Magna Grecia. Attivo qui e nel Peloponneso, era secondo Plinio il Vecchio il quarto bronzista del mondo ellenico dopo Fidia, Policleto e Mirone. Già nel I secolo d. C. un poeta epico, Papinio Stazio, nella sua Tebaide, aveva parlato di Polinice che "guardava in modo ostile il fratello", e anche della madre Giocasta, "nuda nel petto coperto di graffi", che manifestava la sua disperazione per il disastro incombente. Sembra quasi che Stazio avesse sott'occhio il gruppo di cui parla Taziano, integrato dalla figura femminile disperata. I due autori operano a Roma. Possibile? Per la verità esistono testimonianze di una certa popolarità, nell'Urbe, del tema dei Fratricidi. In un sarcofago rinvenuto a Villa Pamphilj, nell'ambito di un lungo rilievo spicca un gruppo di cinque figure: alle estremità i due guerrieri, al centro la madre disperata, dietro di lei una fanciulla e un vecchio: la figlia Antigone e l'indovino Tiresia che, nella tormentata vicenda, secondo altre fonti tentarono una mediazione. Le figure sembrano sei, ma è la prima a sinistra che, molto peculiarmente, si "sdoppia" in due momenti, dalla stasi all'attacco. I Bronzi a Roma, dunque, alle due estremità di una composizione che "faceva scuola". Mentre si era finora pensato che le due statue, al momento della caduta in mare, stessero viaggiando verso l'Urbe, risulterebbe ora che invece vi erano già state. L'ultimo viaggio era perciò diretto altrove: forse, in età tardoantica, da Roma verso Costantinopoli, la nuova capitale.

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