"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 5 giugno 2022

Notiziedalbelpaese. 60 Tajani: «La vita di Silvio Berlusconi è la vita di ciascuno di noi!».

 

A lato. "Ponte francese" (2020), acquerello di Anna Fiore.

È da tempo (quasi) immemorabile che non si fa “capolino”, per una sbirciatina insomma, per vedere come se la passa – o se la “spassa”, Covid permettendo -, quel che fu nomato essere il “bel paese”. Colpa certamente della “guerra/nonguerra” che dal 24 di febbraio ha come calamitato la pubblica attenzione e le emozioni da essa – dalla “guerra/nonguerra” - derivanti.

Ma oso azzardare, però, per dire che, “guerra/nonguerra” a parte, quella sbirciatina mancata è derivata dalla certezza della immutabilità dello scenario e del clima – sociale, politico e quant’altro ancora – che regna sovrana – l’immutabilità – sia nelle ombrose colline sia nei ridenti litorali del bel paese. Una certezza che ha spinto i non pochi a tralasciare i ponderosi – ma ponderati mai – commenti ed articolesse della libera stampa sulla “vegetativa” vita politica del bel paese, stante la convinzione diffusa, tra i più, della sua – di quella vita politica asfittica - inutilità ai fini della sopravvivenza personale e sociale. Ed ecco apparire, sull’ultimo numero del settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 3 giugno, a firma di Michele Serra, “La prevalenza del burino” a conforto di quelle certezze di cui sopra si è detto: (…), se Fruttero&Lucentini fossero ancora tra noi non scriverebbero più La prevalenza del cretino, ma La prevalenza del burino. Mi rendo conto che questo incipit rischia di qualificarmi per quello che temo di essere: un anziano borghese di sinistra con inestirpabili radici novecentesche. Ma sarebbe assai peggio se io simulassi di non esserlo. Sì, la forma è sostanza, a tavola ci si confronta con i commensali e non con il web per l’evidente ragione che il rispetto comincia dai presenti, a scuola non si va con le infradito, dire troppo spesso “io” è una forma di maleducazione, le libertà individuali sono importantissime purché non prevarichino sugli altri. Sono ateo ma mi irrita vedere nelle chiese le turiste con le chiappe di fuori. Mi deprimono, a Venezia e Firenze, i bivacchi di mangiatori e bevitori di marciapiede, sbracati, stravaccati e in evidente opposizione ai luoghi. Nel suo magnifico libretto Servabo, Luigi Pintor, comunista, scrisse che l’unico ceffone ricevuto da suo padre fu quando pronunciò la parola “soldi” durante un pranzo di famiglia. Poi vennero Gianluca Vacchi e Flavio Briatore, e si capì che il mondo era molto cambiato. Può anche essere che la pretesa (o la nostalgia) di una forma sia appannaggio di chi ebbe la fortuna di conoscerla, e praticarla. Il decoro borghese così come la forma severa dell’ideologia convergevano nello sconsigliare ogni tipo di esibizionismo. Non possiamo imputare a chi è cresciuto in una società slabbrata, ipersensibile alla suscettibilità individuale ma del tutto ignara di una cultura collettiva, l’evidente incapacità di rinunciare a qualcosa in cambio del rispetto dei luoghi e delle persone. Non rimpiango i liceali in giacca e cravatta – non uso la cravatta nemmeno adesso. Ma ci è toccato, per la legge del contrappasso, arrivare ai liceali in ciabatte e canottiera. Future generazioni, forse, avranno la fortuna di trovare un equilibrio tra formalismo e gentilezza (non sono la stessa cosa). A noi non è concesso. E sempre su quel provvidenziale, generoso numero di quel settimanale, a conforto delle convinzioni di “quei più” e di quel mancato “capolino” - stante l’immarcescibilità della politica nel bel paese – ecco giungere, dopo la “nota sociologica” di Michele Serra, una “nota politica” a firma di Diego Bianchi che ha per titolo “Forza Tajani!”, che è un tutto dire: «Non dobbiamo prendere lezioni da nessuno, noi siamo continuamente europeisti e atlantisti», scandisce Tajani davanti alla folla di onorevoli, quadri e militanti di Forza Italia riuniti a Napoli per il lancio di quella che sarà una lunga campagna elettorale fatta di amministrative, referendum e politiche. Dopo le ambigue ultime uscite di Berlusconi in fatto di relazioni diplomatiche a margine del conflitto in corso, Tajani sente di dover dire qualcosa, dicendo di non dover dire niente. Fin qui, nulla di bizzarro, ma poi arriva l'intemerata il crescendo, il flusso di coscienza strappa applausi, la standing ovation. «Non c'è mai stata un'abiura del comunismo da parte di tutti i partiti della sinistra! Facciano l'abiura per quello che hanno detto quando i carri armati russi invadevano l'Ungheria! Quando invadevano la Cecoslovacchia!» urla agitando le braccia Tajani, che è stato ex presidente del Parlamento europeo ma sbiella come l'ultimo dei fomentati su Facebook. Seduto all'esterno dell'angusta sala scelta alla Fiera d'Oltremare, aspetto l'arrivo del Principale, ascoltando i suoi subordinati dagli altoparlanti. Credo di aver avuto in quel momento, un'espressione ebete e incredula, tra il divertito e lo sconcertato. Mentre Tajani carica le masse, penso a Letta, Zingaretti, Renzi o Bersani, tanto per stare agli ultimi segretari del Pd e al loro non aver fatto abiura per i carri armati in Ungheria. Mentre ragiono sull'assurdità di ascoltare parole così prive di senso e di distinguo, arriva la frase definitiva. «La vita di Silvio Berlusconi è la vita di ciascuno di noi!», dice Tajani puntando l'indice verso gli accaldati militanti. Che in quel momento devono aver pensato «sì, magari». Ed è lì, più o meno, che il corteo di macchine arriva, con Berlusconi e onorevole quasi consorte che scendono, lei perfetta in tutto, lui accaldato e affaticato, ma tenace come sempre. Durante il lungo discorso racconterà aneddoti triti e ritriti, ma rodati evergreen per un pubblico che come sente la parola "comunismo" si eccita e si ritrova. Berlusconi arranca, salta passaggi del discorso preparato per eccesso di improvvisazione, beve in continuazione, preoccupa tutti, ma sostenuto da grandi classici si riprende e taglia il traguardo. «Chi ci crede combatte, chi ci crede supera ogni ostacolo, chi ci crede vince». Ron Mass batte le mani, l'inno di Forza Italia parte e riparte, Tajani è indeciso tra il ruolo di valletto e quello di vocalist. A me, tanto sono tornato giovane, quasi ricrescono i capelli.

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