Penso - convintamente - che un fatto di grande
portata sia passato (quasi) sotto silenzio nell’infernale “bailamme” creato artatamente
dai media e dai social sulla questione dell’Ucraina. Mi riferisco all’avvenuta
rottura tra la chiesa ortodossa di Kiev e la chiesa ortodossa di Mosca. Un fatto
che certamente avrà un significativo “peso” sugli sviluppi di quella
tragicissima vicenda. Orbene, si parla di due chiese ugualmente “ispirate” prima
del conflitto armato ma che non hanno trovato difficoltà “morali” a schierarsi
ciascuna con la sua parte a guerreggiare, benedicendo, pur da sponde avverse, uomini
ed armi, stendardi e labari e bandiere della propria parte. Come è stato
possibile? Così Lorenzo Milani, al Suo tempo, “strigliava” i Suoi
correligionari “cappellani militari” della Toscana (riportato in “L’obbedienza non è più una virtù. Documenti
del processo di don Milani” – Libreria Editrice Fiorentina, 1965 -): “Diteci
esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L’obbedienza a ogni costo? E se l’ordine
era il bombardamento dei civili, un’azione di rappresaglia su un villaggio
inerme, l’esecuzione sommaria dei partigiani, l’uso di armi atomiche,
batteriologiche, chimiche, la tortura, l’esecuzione d’ostaggi, i processi sommari
per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della
Patria e fucilarlo per incutere terrore negli altri soldati della Patria), una
guerra di evidenti aggressioni, l’ordine d’un ufficiale ribelle al popolo
sovrano, le repressioni di manifestazioni popolari? (…). Ma in questi cento
anni di storia italiana c’è stata anche una guerra ‘giusta’ (se guerra giusta
esiste). L’unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della
nostra: la guerra partigiana. Da un lato c’erano i civili, dall’altra dei
militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall’altra soldati che
avevano obiettato. Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i ‘ribelli’,
quali i ‘regolari’?”. Di seguito, “Gemelli
di guerra preventiva” di Raniero La Valle pubblicato su “il Fatto Quotidiano”
del 24 di maggio 2022: La guerra in Ucraina non accenna a finire e
sta provocando una regressione della cultura politica all'apologia della guerra
e riportando la situazione mondiale alla lotta per il dominio. Oggi non solo è riproposta
la vecchia guerra che la geopolitica racconta come connaturata all'uomo e come
strumento per rimodellare l'intero assetto mondiale, ma viene apertamente
rivendicata e legittimata una nuova guerra che è la guerra preventiva; ciò fa
venir meno perfino i vecchi travestimenti della "guerra giusta",
difensiva o "umanitaria" che fosse, mentre ne viene millantata la
legittimità sulla base di asserzioni politiche del tutto opinabili. Sulla
piazza Rossa, il 9 maggio, Putin per giustificare la sua guerra all'Ucraina ha
detto che "la Russia ha reagito preventivamente contro l'aggressione":
si riferiva a un attacco della Nato "per un'invasione delle nostre terre
storiche, compresa la Crimea; una minaccia per noi assolutamente inaccettabile,
direttamente ai nostri confini... Il pericolo è cresciuto ogni giorno; il
nostro - ha aggiunto- è stato un atto preventivo, una decisione necessaria e
assolutamente giusta, la decisione di un Paese sovrano, forte, indipendente",
mentre gli Stati Uniti minacciavano esclusione e umiliazione. Questa
"prevenzione" è stata un crimine di diritto internazionale (non solo
la guerra ma anche la minaccia dell'uso della forza è proibita dallo Statuto
dell'Onu) ed è stata anche un gravissimo errore di Putin perché in tal modo ha
adottato e legittimato la dottrina della guerra preventiva enunciata dal suo
principale avversario, gli Stati Uniti d'America. Sono stati infatti gli Stati
Uniti di Bush a teorizzarla nella "Strategia della sicurezza
nazionale" del settembre 2002, un anno dopo la tragedia delle Torri
Gemelle dell'11settembre. In quel documento si affermava che "la migliore
difesa è un buon attacco". Una volta concepito il mondo come un composto
formato da Stati perbene e "Stati canaglia" e minacciato dal
terrorismo, la conseguenza era questa: "Non possiamo lasciare che i nostri
nemici sparino per primi". Ciò poteva andare bene durante la Guerra fredda
quando "la deterrenza era una difesa effettiva", mentre oggi, si
affermava, una "deterrenza basata solo sull'attesa di una risposta non
funzionerebbe". D'altra parte, ricordava il Pentagono, "gli Stati
Uniti hanno mantenuto sempre l'opzione dell'azione preventiva per fronteggiare
una minaccia effettiva alla sicurezza nazionale. Maggiore è la minaccia... e
più impellente la necessità di intraprendere un'azione anticipatoria in difesa
di noi stessi, persino nell'incertezza del luogo e dell'ora dell'attacco da
parte del nemico". Né si trattava solo di difesa nazionale: la sicurezza
nazionale degli Stati Uniti consisteva essenzialmente nel dominio del mondo per
il quale si preconizzava un unico modello di società valido per tutti:
"Libertà, democrazia e libera impresa". "Manterremo le forze
sufficienti per difendere la libertà" prometteva il documento, e per
dissuadere qualunque avversario dalla speranza non solo di superare, ma anche
di "eguagliare il potere degli Stati Uniti". Questa era anche la ragione
per disseminare "basi e stazioni all'interno e al di là dell'Europa
dell'Ovest e dell'Asia del Nord", cioè in tutto il mondo. Questa
proiezione militare mondiale non riguardava peraltro solo gli Stati Uniti, ma
era estesa agli "alleati e amici in Canada e in Europa"; la Nato a
sua volta doveva "essere in grado di agire ovunque gli interessi americani
('i nostri interessi') fossero minacciati, creando coalizioni sotto il mandato
della stessa Nato, così come contribuendo a coalizioni sulla base di singole
missioni". Infatti la Nato, agendo come un potere sovrano, aveva pochi
anni prima fatto una guerra preventiva contro la Jugoslavia per la separazione
del Kosovo. E se tutto ciò era stabilito quando, venuta meno l'Unione Sovietica
gli Stati Uniti erano passati "da una situazione di contrapposizione a un
regime di cooperazione con la Russia "tanto più deve valere oggi quando la
Russia è tornata a essere percepita come nemico e insieme alla Cina viene annoverata
tra le "potenze revisioniste" volte a mutare a loro favore gli
equilibri internazionali; la strategia della sicurezza nazionale pubblicata nel
2018, sotto l'Amministrazione Trump, contemplava pertanto "forze armate
più letali" e dichiarava che gli Stati Uniti avrebbero fronteggiato le
sfide alla propria sicurezza "al fianco, con e per mezzo dei propri
alleati e dell'Unione europea". E in questo quadro che si pone l'estensione
della Nato a Est, e l'annunciata acquisizione a essa dell'Ucraina prima, della
Finlandia e della Svezia ora. Secondo la previsione di Limes, "se l'America
vincerà questa semifinale sbarazzandosi di Putin - fors'anche della Russia -
potrà concentrarsi sulla partita del secolo contro la Cina privata dello scudo
russo, circondata per terra e per mare". Si è creata quindi una
reciprocità di guerre preventive a cui tuttavia non partecipa ancora la Cina
che, secondo Hu Chunchun, professore dell'Università di Shanghai, che ne scrive
su Limes, afferma "il primato della pace e dell'armonia". Questo è il
futuro che ci viene prospettato, ma noi possiamo accettare questo? Possiamo
accettare che la guerra accada non per un artificio della nostra cultura ancora
così primitiva, ma per una necessità di natura? Possiamo rinunciare al ripudio
della guerra? Possiamo adattarci a un mondo dove, come dicono i cinesi,
l'Europa (e potrebbero dire l'America) obbedisce alla pulsione che la spinge a
volere un solo vincitore definitivo e despota del mondo intero, mentre proprio
l'Europa “in questo esatto momento” dovrebbe assumersi la responsabilità
storica della pace nel mondo? Possiamo desiderare un mondo senza la Russia e in
lotta contro la Cina? Se non lo vogliamo dobbiamo immaginare e lottare per un
progetto alternativo.
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