"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 6 giugno 2022

Virusememorie. 89 Galimberti: «Se la specie umana è ciò che ci accomuna, non è tanto la patria che dobbiamo difendere, quanto la terra».

 

“Guerra&Natura”. Ho faticato e non poco a decidere a quale delle “rubrichette” di questo blog attribuire il post di oggi. Alla fine mi sono persuaso che l’unico “posto” in cui farlo “stare” fosse la rubrichetta “Virusememorie”, rubrichetta venuta fuori al tempo dell’insorgere della pandemia da Covid, in virtù del fatto che il “virus” che il post tratta è un “virus” particolarissimo, aggressivo come non mai se ne siano visti nella storia della Terra, pericolosissimo per la sua stessa sopravvivenza: l’Uomo. Ha scritto sul “tema” Umberto Galimberti in “Riflessioni sulla violenza umana”, pubblicato sull’ultimo numero del settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 4 di giugno 2022: L’uomo può emanciparsi dalla brutalità se, alla sua naturale evoluzione biologica si accompagna anche quella culturale abbattendo le barriere tra etnie e religioni. La violenza animale è una legge di natura che garantisce alle diverse specie la sopravvivenza.  Gli animali, infatti, uccidono per nutrirsi, quindi per sopravvivere. Gli uomini invece esercitano la violenza e uccidono non per nutrirsi, ma per ottenere dal vinto il riconoscimento della loro superiorità. Questa è la grande differenza confermata da tutte le guerre e, in modo scenografico, dagli antichi Romani che, dopo la vittoria, nel foro, davanti alla folla, trascinavano il vinto in catene. Questa pratica, che conosciamo dal tempo dell'uomo con la clava fino all'uomo d'oggi, nell'uso delle armi sempre più sofisticate fino alla bomba atomica, la più distruttiva, può avere una fine? Teoricamente sì, perché al pari degli animali, l'uomo evolve biologicamente, a differenza dell'animale, l'uomo può evolvere anche culturalmente se è vero, come dice Nietzsche, che: "L'uomo è un animale non ancora stabilizzato". Ma che significa evolvere culturalmente? Significa abbattere le barriere che dividono l'umanità in razze, etnie, religioni, stati che, dalla loro origine, hanno trovato la loro identità nella logica del nemico che alimenta la guerra, per poi sostituire alla logica del nemico la fratellanza proclamata, ma solo proclamata e mai perseguita, sia dalle religioni che dalle rivoluzioni. A richiedere con urgenza questa fratellanza (che ha le sue radici nel messaggio cristiano dell'amore, e nella fraternité che la Rivoluzione Francese ha proclamato insieme alla liberté e all'égalité) è l'estrema precarietà in cui oggi si trova la terra per effetto dell'azione dell'uomo, definito dal sociobiologo Edward Wilson: "la forza geofisica più distruttiva mai apparsa sulla terra". Anche se, per quanto al momento ne sappiamo, qui e non altrove ci è concesso vivere. Ma per questo è necessario che ogni Stato, ogni popolo e ogni etnia sappia oltrepassare la propria cultura e la propria religione, per estendere a tutta l'umanità quel sentimento di fraternità che, se pur da più parti invocato, ancora non è stato messo alla prova della storia, anche se, grazie alla scienza e all'evidenza degli sconvolgimenti atmosferici, la nostra generazione sa che il tempo della storia è nelle sue mani, a partire dalle decisioni che assume per sé e per le generazioni future. Ma per questo occorre passare dalla "ragione di Stato" che assicura la pace all'interno dei propri confini, al di là dei quali è subito diffidenza, sospetto, ostilità e guerra, alla "ragione d'umanità", a cui oggi sono sensibili i movimenti giovanili, che hanno a cuore i problemi ambientali, se non altro per la consapevolezza che il futuro è loro. Questo passaggio è possibile se si abbandonano le etiche tradizionali che sono tutte a sfondo "antropologico", perché si limitano a contenere la conflittualità tra gli uomini senza farsi carico degli enti di natura, considerati alla stregua di semplice materia prima da usare fino all'usura, e si giunga finalmente a un'"etica planetaria" che estende la fraternità a tutte le cose animate e inanimate sul modello di Francesco d'Assisi, che chiamava "sorella" l'acqua e la luna, e "fratello" il vento e il sole. Se non si fa questo passo, se non si giunge, come scrive il teologo Jurgen Moltmann, "a un'integrazione dei diritti umani con i diritti fondamentali della natura, i diritti umani non possono pretendere nessuna universalità, ma anzi diventeranno essi stessi fattori di disgregazione della natura e porteranno, alla fin fine, all'autodistruzione del genere umano". E allora? Allora se la specie umana è ciò che ci accomuna, non è tanto la patria che dobbiamo difendere, quanto la terra. Di seguito, “Clima, cento giorni di guerra ci ricacciano 30 anni indietro” del meteorologo Luca Mercalli pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, 5 di giugno: Da oltre trent'anni a inizio giugno salgo ai tremila metri del Ghiacciaio Ciardoney, nel Parco nazionale del Gran Paradiso, per effettuare le misure d'innevamento: a questa quota la fine della primavera rappresenta il momento con il maggior spessore di neve dell'anno, tutta quella caduta dall'autunno precedente si trova accumulata in un materasso che di norma è spesso tra i due e i sei metri. È il nutrimento del ghiacciaio e costituisce la riserva d'acqua estiva per i fiumi padani. Non credevo ai miei occhi quando lo scorso primo giugno camminavo sulle pietre tra cespi di sassifraghe rosa già in piena fioritura: mai così poca neve caduta nell'inverno, mai una scomparsa così precoce, un mese e mezzo prima del normale. Per decenni abbiamo avvertito sulle conseguenze del riscaldamento globale, per decenni abbiamo osservato cambiamenti lenti e preoccupanti, ma poi improvviso come un ladro nella notte arriva l’evento estremo che trasforma le previsioni astratte dei grafici a computer in una dirompente realtà. Come i primi missili russi che all'alba del 24 febbraio esplodevano sulle città ucraine. E proprio questa assurda guerra è motivo di grande frustrazione per l'intera comunità scientifica che si occupa di transizione ecologica. Se con grandissima fatica, tra pandemia e interessi economici divergenti, si era comunque riusciti a portare i temi climatici e ambientali all'attenzione del mondo, ora quella consapevolezza, quel senso di urgenza, appaiono totalmente offuscati dalle cronache belliche e dai precari equilibri geo-politici del mondo. La guerra stessa è un potente agente distruttore dell'ambiente, dissipatore di risorse - metalli, esplosivi, carburanti - e produttore di emissioni e rifiuti, anche per quella che sarà la ricostruzione di edifici e infrastrutture così stupidamente devastati. Mi cadono le braccia a pensare quanto è impegnativo ristrutturare una casa per risparmiare un po' di energia, installare pannelli solari, eliminare gli sprechi, e poi, dopo che hai racimolato pochi maledetti watt, ecco che una sola esplosione di un missile cancella trent'anni di lavoro. Mi cadono le braccia a pensare che per anni mi sono sentito dire che per la transizione ecologica non c'erano mai soldi sufficienti - ricordo un commento che mi fece Bersani una decina d'anni fa: "Mercalli, mo l’ambiente costa!" - e poi ecco che per produrre armi decine di miliardi di euro e di dollari sono saltati fuori dai parlamenti come nulla fosse: un fiume di denaro distratto dai più nobili, prioritari obiettivi della sostenibilità ambientale. Ogni dollaro in armi è un dollaro in meno per un pannello solare. Mi cadono le braccia a vedere un'Europa affannatissima a mettere una pezza sull'ammanco di gas russo cercando di siglare contratti di fornitura con altri paesi invece di sfruttare l'occasione per fare una grande campagna di risparmio ed efficienza energetica e passaggio alle fonti rinnovabili. Miliardi di euro ai rigassificatori, che per decenni ci legheranno ad altri fornitori di gas fossile invece che destinarli all'investimento più duraturo e importante della nostra storia: l'indipendenza energetica e la decarbonizzazione dell'economia per ridurre il rischio climatico. Ma inesorabile, mosso dalle immutabili leggi della fisica e non dalle evanescenti chiacchiere umane, il caldo aumenta: il 2021 ha visto il massimo livello di emissioni di gas serra nella storia dell'umanità. L'atmosfera reagisce dunque con ondate di caldo da record: dai 48,8 gradi dell'll agosto 2021 presso Siracusa - valore più elevato d’Italia e d'Europa-, ai 50,7 gradi di Onslow in Australia il 13 gennaio 2022, dai 50 gradi di Pakistan e India dello scorso maggio ai precoci calori mediterranei di queste ultime settimane con i 40 gradi di Alghero registrati ieri, primato di sempre per un inizio giugno. In Italia maggio 2022 ha toccato il record di caldo in oltre due secoli di misure, pari merito con il 2009, evento quindi ravvicinato nel tempo e segno di un trend strutturale. Gli in-verni sono sempre più brevi e tiepidi, le estati sempre più lunghe e roventi. Le previsioni a scala stagionale - pur se ancora poco affidabili - sono concordi nel prospettare da qui a settembre un clima più caldo e asciutto della norma sull'Europa centro meridionale. Il che non è un buon pronostico in un'annata già così esposta alla siccità perla secca invernale: il Po che in maggio avrebbe dovuto avere una portata media di 2mila metri cubi al secondo ne ha convogliati al mare solo 600 e attualmente è a 400 metri cubi al secondo, un valore sotto la soglia di penetrazione del cuneo salino, cioè dell'acqua salmastra dell'Adriatico che è in grado di entrare nella falda per una quindicina di km nell'entroterra del Delta. È un bollettino di guerra, la guerra che stiamo combattendo contro il nostro ambiente, contro il nostro unico pianeta. Una guerra che dovremmo arrestare prima possibile, insieme a quella russo-ucraina - per con-centrarci tutti insieme - otto miliardi di esseri umani - nel ridurre il nostro impatto sui sistemi naturali, nel progettare una società sobria, pacifica, efficiente e sostenibile basata sulle energie rinnovabili, sul riciclo delle risorse naturali e sulla difesa della biodiversità, come richiedono da decenni tutti gli organismi di ricerca scientifici mondiali. Oggi (ieri n.d.r.) è la quarantanovesima Giornata Mondiale dell'Ambiente, ha per tema "Una sola Terra. Prendiamocene cura". Non abbiamo un pianeta di riserva. Siamo drammaticamente soli nell'Universo a noi noto. Se distruggiamo questo meraviglioso e delicato sistema di aria, acqua, suolo e vita, saremo perduti per sempre.

1 commento:

  1. "La crudeltà non esiste tra gli animali, ma soltanto tra gli uomini civili. Essa infatti non è altro che un cosciente arrecar dolore". (Oswald Spengler). "La non violenza conduce all'etica più alta, che è l'obiettivo di tutta l'evoluzione. Fino a che non smetteremo di fare del male agli altri esseri viventi, saremo sempre dei selvaggi". (Thomas Edison). "Saggezza, compassione e coraggio sono le tre qualità morali universalmente riconosciute". (Confucio). "Non è difficile prendere decisioni quando sai quali sono i tuoi valori". (Rosy E. Disney). "La gente priva di morale si considerava spesso più libera, ma per lo più mancava della capacità di amare o di provare sentimenti". (Charles Bukowski). "Se dovessi scrivere un libro di morale, vorrei fosse di cento pagine e novantanove di esse dovrebbero essere bianche. Sull'ultima pagina poi scriverei :" Conosco solo una legge, quella dell'amore ". (Albert Camus). Carissimo Aldo, leggendo questo prezioso post, mi torna in mente quanto afferma Edgar Morin sulla fratellanza e il concetto di Terra-patria in "Insegnare a vivere, manifesto per cambiare l'educazione". Grazie di cuore per questo nuovo gioiello da conservare tra quelli più preziosi... Buona continuazione.

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