"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 24 giugno 2022

Quellichelasinistra 25 «Le mani, le braccia, le gambe, gli occhi dell’uomo, sono macchine raffinatissime. Già ne disponiamo. Già sono collaudate. Solo che bisogna pagarle il giusto».

 

Ha scritto Michele Serra in “La fibra e la vanga” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 12 di giugno 2022: Per cablare il Paese bisogna innervarlo con la fibra, ma la fibra non è immateriale: ci vuole chi scava e ci vuole chi la interra. Solo che non si trova la manodopera per farlo, almeno stando a quanto denunciano le società interessate. Non potrebbe esserci metafora più eloquente di questo passaggio d’epoca: si parla solo di rivoluzione tecnologica, la fibra che decuplica potenza e velocità della comunicazione, il drone che programma tempi e modi dell’agricoltura, il virtuale che annulla le distanze e rende inutile la compresenza, eccetera. Tutto leggero, etereo, quasi metafisico, fino a che questa avanzata gloriosa non inciampa in una clamorosa dimenticanza: quella del lavoro materiale, gli operai, gli scavi, le ruspe, l’infinita gamma di ingegnose fatiche che la robotica non è in grado di rimpiazzare. Le mani, le braccia, le gambe, gli occhi dell’uomo, nonché la sua esperienza, sono macchine raffinatissime, frutto di migliaia di anni di evoluzione e di cultura tecnica. Già ne disponiamo. Già sono collaudate. Solo che bisogna pagarle il giusto. E per pagarle il giusto, bisogna dare il giusto valore, il giusto rispetto al lavoro manuale. Questo valore e questo rispetto furono fortemente inseguiti, e rivendicati, dalla classe operaia del tempo che fu. Cipputi era orgoglioso del lavoro ben fatto. Impossibile ripristinare lo stesso scenario storico, sociale, economico, e però da qualche parte bisognerà pur ripartire per ristabilire un decente equilibrio tra la fibra e la vanga. Il mondo è materia, la vita è un’esperienza materiale, e ogni volta che ce lo dimentichiamo siamo richiamati alla realtà. Senza operai, senza contadini, senza pescatori e pastori, senza infermieri e badanti, zero futuro. Di seguito “Sinistra da ricchi e alla moda” della economista tedesca Sahra Wagenknecht riportato su “il Fatto Quotidiano” del 22 di giugno ultimo in occasione della pubblicazione in Italia del Suo volume “Contro la sinistra neoliberale” per i tipi di Fazi Editore (Euro 20): (…). …nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale, in tutti i Paesi occidentali si è assistito a una lunga fase di ripresa economica. Allora la maggioranza della popolazione guardava con ottimismo al proprio futuro e a quello dei suoi figli. Oggi, parlando di futuro, domina la paura e molti temono che ai loro figli andrà ancora peggio. I motivi di preoccupazione non mancano. Nello scenario internazionale siamo indietro dal punto di vista economico. Le tecnologie del futuro nascono sempre più spesso in altre nazioni. L'economia europea e l'economia tedesca rischiano di finire stritolate nello scontro tra Stati Uniti e Cina. Parallelamente, nei Paesi occidentali le disuguaglianze sono cresciute enorme-mente mentre le garanzie sociali in caso di malattia, disoccupazione e vecchiaia si sono ridotte. Ad avere la peggio, per colpa di un capitalismo globalizzato e senza regole, è soprattutto la cosiddetta gente comune. Il reddito di molti non aumenta ormai da anni, il che costringe queste persone a una lotta senza tregua per mantenere il proprio tenore di vita. Se qualche decennio fa i figli di famiglie disagiate avevano ancora concrete possibilità di ascesa sociale, oggi il tenore di vita individuale è determinato soprattutto dalla famiglia di provenienza. Nell'epoca attuale, a vincere sono soprattutto i proprietari di grandi patrimoni finanziari e aziendali. La loro ricchezza e il loro potere economico e sociale sono cresciuti moltissimo, negli ultimi decenni. Tra i vincitori, però, c'è anche il nuovo ceto medio dei laureati delle grandi città, l'ambiente in cui il liberalismo di sinistra è di casa. L'ascesa sociale e culturale di questa borghesia è riconducibile agli stessi cambiamenti politici ed economici che hanno reso la vita difficile agli operai dell'industria e agli impiegati nel settore dei servizi, ma anche a molti artigiani e piccoli imprenditori. Chi però si trova sul carro dei vincitori ha un'altra visione delle regole del gioco, ovviamente diversa da quella di chi ha pescato la carta perdente. Mentre le differenze di reddito, di prospettive e di mentalità aumentavano sempre più, cresceva allo stesso tempo anche la distanza fisica. Se mezzo secolo fa i cittadini abbienti e quelli meno privilegiati condividevano spesso gli stessi quartieri e a scuola i loro figli erano compagni di banco, l'esplosione dei prezzi degli immobili e l'aumento degli affitti ha fatto sì che benestanti e meno abbienti oggi vivano in quartieri distinti. Di conseguenza sono diminuiti i contatti, le amicizie, le convivenze o i matrimoni che vadano oltre il proprio ambiente sociale. Nella bolla della propria classe. È in questo aspetto che vanno individuate le cause più importanti della distruzione della coesione sociale e della sempre crescente ostilità. Due persone che vengono da diversi ambienti sociali hanno sempre meno cose da dirsi proprio perché vivono in mondi differenti. Se i borghesi laureati e benestanti delle grandi città riescono ancora a incrociare nella vita reale chi è meno fortunato, lo fanno solo grazie al prezioso lavoro di mediazione del settore dei servizi, in grado di offrire loro chi gli fa le pulizie in casa, chi gli recapita i pacchi e chi gli serve il sushi al ristorante. Le bolle non esistono soltanto nei social media. Quarant'anni di liberismo economico, di smantellamento dello Stato sociale e di globalizzazione hanno spaccato a tal punto le società occidentali che la vita reale di molti si muove ormai soltanto nella bolla in cui è situata la propria classe. La nostra società, apparentemente aperta, in realtà è piena di muri. Muri sociali che, rispetto al secolo passato, rendono molto più difficile per i figli delle famiglie più disagiate l'accesso all'istruzione, l'ascesa sociale e il raggiungimento del benessere. E anche muri di indifferenza, che proteggono chi non conosce altro che una vita nell'abbondanza da chi sarebbe felice se solo potesse vivere senza la paura del domani. Via le spaccature, via le paure. Ora che la vita è diventata molto più incerta e il futuro più imprevedibile, i confronti politici mettono in gioco una quantità molto maggiore di paure. E che la paura sia in grado di irrigidire il clima delle discussioni ce l'ha dimostrato lo scontro sulla politica da adottare per contrastare la pandemia. La cui particolare aggressività era naturalmente legata al fatto che il coronavirus è una malattia che può portare alla morte molti anziani e, in determinati casi, anche soggetti più giovani. Al contrario, i lunghi lockdown hanno fatto sì che molti temessero per la propria sopravvivenza sociale, per il proprio posto di lavoro o per il futuro dell'impresa che gestiscono da una vita. Chi ha paura diventa intollerante. Chi si sente minacciato non vuole discutere, vuole solo resistere. È comprensibile. La situazione diventa tanto più pericolosa quando i politici scoprono che si può fare politica alimentando proprio tali paure. E a fare questa riflessione non è stata certo solo la destra. Una politica responsabile dovrebbe fare l'esatto contrario. Dovrebbe preoccuparsi di eliminare le divisioni e la paura del futuro e di garantire più sicurezza e protezione. Dovrebbe introdurre cambiamenti che arrestino la diminuzione della coesione sociale e che ostacolino l'incombente declino economico. Un ordinamento economico in cui la maggioranza dei cittadini pensa che il futuro sarà peggiore del presente non è un ordinamento in grado di garantirlo, il futuro. Una democrazia in cui una notevole quota della popolazione non ha voce né rappresentanza non può chiamarsi tale. Possiamo produrre in maniera diversa, in maniera più innovativa, più legata al territorio e in modo più sostenibile per l'ambiente, e possiamo distribuire quanto prodotto in maniera migliore e più meritocratica. Possiamo rendere democratica la nostra collettività, invece di lasciare che qualche gruppo di interesse per cui conta solo il proprio profitto decida della nostra vita e del nostro sviluppo economico. Possiamo tornare a una convivenza positiva e solidale, che in definitiva giovi a tutti: a quelli che negli ultimi anni hanno perso e che oggi hanno paura del futuro, ma anche a quelli che se la passano bene, ma che non vogliono vivere in un paese spaccato che rischia di finire come gli Stati Uniti di oggi.

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