Ha scritto Michele Serra in “La fibra e la vanga” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del
12 di giugno 2022: Per cablare il Paese bisogna innervarlo con la fibra, ma la fibra non è
immateriale: ci vuole chi scava e ci vuole chi la interra. Solo che non si
trova la manodopera per farlo, almeno stando a quanto denunciano le società interessate.
Non potrebbe esserci metafora più eloquente di questo passaggio d’epoca: si
parla solo di rivoluzione tecnologica, la fibra che decuplica potenza e
velocità della comunicazione, il drone che programma tempi e modi
dell’agricoltura, il virtuale che annulla le distanze e rende inutile la
compresenza, eccetera. Tutto leggero, etereo, quasi metafisico, fino a che
questa avanzata gloriosa non inciampa in una clamorosa dimenticanza: quella del
lavoro materiale, gli operai, gli scavi, le ruspe, l’infinita gamma di
ingegnose fatiche che la robotica non è in grado di rimpiazzare. Le mani, le
braccia, le gambe, gli occhi dell’uomo, nonché la sua esperienza, sono macchine
raffinatissime, frutto di migliaia di anni di evoluzione e di cultura tecnica.
Già ne disponiamo. Già sono collaudate. Solo che bisogna pagarle il giusto. E
per pagarle il giusto, bisogna dare il giusto valore, il giusto rispetto al
lavoro manuale. Questo valore e questo rispetto furono fortemente inseguiti, e
rivendicati, dalla classe operaia del tempo che fu. Cipputi era orgoglioso del
lavoro ben fatto. Impossibile ripristinare lo stesso scenario storico, sociale,
economico, e però da qualche parte bisognerà pur ripartire per ristabilire un
decente equilibrio tra la fibra e la vanga. Il mondo è materia, la vita è
un’esperienza materiale, e ogni volta che ce lo dimentichiamo siamo richiamati
alla realtà. Senza operai, senza contadini, senza pescatori e pastori, senza
infermieri e badanti, zero futuro. Di seguito “Sinistra da ricchi e alla moda” della economista tedesca Sahra Wagenknecht
riportato su “il Fatto Quotidiano” del 22 di giugno ultimo in occasione della
pubblicazione in Italia del Suo volume “Contro
la sinistra neoliberale” per i tipi di Fazi Editore (Euro 20): (…). …nei
decenni successivi alla Seconda guerra mondiale, in tutti i Paesi occidentali si
è assistito a una lunga fase di ripresa economica. Allora la maggioranza della
popolazione guardava con ottimismo al proprio futuro e a quello dei suoi figli.
Oggi, parlando di futuro, domina la paura e molti temono che ai loro figli
andrà ancora peggio. I motivi di preoccupazione non mancano. Nello scenario
internazionale siamo indietro dal punto di vista economico. Le tecnologie del
futuro nascono sempre più spesso in altre nazioni. L'economia europea e
l'economia tedesca rischiano di finire stritolate nello scontro tra Stati Uniti
e Cina. Parallelamente, nei Paesi occidentali le disuguaglianze sono cresciute
enorme-mente mentre le garanzie sociali in caso di malattia, disoccupazione e
vecchiaia si sono ridotte. Ad avere la peggio, per colpa di un capitalismo globalizzato
e senza regole, è soprattutto la cosiddetta gente comune. Il reddito di molti
non aumenta ormai da anni, il che costringe queste persone a una lotta senza
tregua per mantenere il proprio tenore di vita. Se qualche decennio fa i figli
di famiglie disagiate avevano ancora concrete possibilità di ascesa sociale,
oggi il tenore di vita individuale è determinato soprattutto dalla famiglia di
provenienza. Nell'epoca attuale, a vincere sono soprattutto i proprietari di
grandi patrimoni finanziari e aziendali. La loro ricchezza e il loro potere
economico e sociale sono cresciuti moltissimo, negli ultimi decenni. Tra i
vincitori, però, c'è anche il nuovo ceto medio dei laureati delle grandi città,
l'ambiente in cui il liberalismo di sinistra è di casa. L'ascesa sociale e
culturale di questa borghesia è riconducibile agli stessi cambiamenti politici
ed economici che hanno reso la vita difficile agli operai dell'industria e agli
impiegati nel settore dei servizi, ma anche a molti artigiani e piccoli
imprenditori. Chi però si trova sul carro dei vincitori ha un'altra visione
delle regole del gioco, ovviamente diversa da quella di chi ha pescato la carta
perdente. Mentre le differenze di reddito, di prospettive e di mentalità
aumentavano sempre più, cresceva allo stesso tempo anche la distanza fisica. Se
mezzo secolo fa i cittadini abbienti e quelli meno privilegiati condividevano
spesso gli stessi quartieri e a scuola i loro figli erano compagni di banco,
l'esplosione dei prezzi degli immobili e l'aumento degli affitti ha fatto sì
che benestanti e meno abbienti oggi vivano in quartieri distinti. Di
conseguenza sono diminuiti i contatti, le amicizie, le convivenze o i matrimoni
che vadano oltre il proprio ambiente sociale. Nella bolla della propria classe.
È in questo aspetto che vanno individuate le cause più importanti della
distruzione della coesione sociale e della sempre crescente ostilità. Due
persone che vengono da diversi ambienti sociali hanno sempre meno cose da dirsi
proprio perché vivono in mondi differenti. Se i borghesi laureati e benestanti
delle grandi città riescono ancora a incrociare nella vita reale chi è meno
fortunato, lo fanno solo grazie al prezioso lavoro di mediazione del settore
dei servizi, in grado di offrire loro chi gli fa le pulizie in casa, chi gli
recapita i pacchi e chi gli serve il sushi al ristorante. Le bolle non esistono
soltanto nei social media. Quarant'anni di liberismo economico, di
smantellamento dello Stato sociale e di globalizzazione hanno spaccato a tal
punto le società occidentali che la vita reale di molti si muove ormai soltanto
nella bolla in cui è situata la propria classe. La nostra società,
apparentemente aperta, in realtà è piena di muri. Muri sociali che, rispetto al
secolo passato, rendono molto più difficile per i figli delle famiglie più
disagiate l'accesso all'istruzione, l'ascesa sociale e il raggiungimento del
benessere. E anche muri di indifferenza, che proteggono chi non conosce altro
che una vita nell'abbondanza da chi sarebbe felice se solo potesse vivere senza
la paura del domani. Via le spaccature, via le paure. Ora che la vita è diventata
molto più incerta e il futuro più imprevedibile, i confronti politici mettono
in gioco una quantità molto maggiore di paure. E che la paura sia in grado di
irrigidire il clima delle discussioni ce l'ha dimostrato lo scontro sulla
politica da adottare per contrastare la pandemia. La cui particolare
aggressività era naturalmente legata al fatto che il coronavirus è una malattia
che può portare alla morte molti anziani e, in determinati casi, anche soggetti
più giovani. Al contrario, i lunghi lockdown hanno fatto sì che molti temessero
per la propria sopravvivenza sociale, per il proprio posto di lavoro o per il
futuro dell'impresa che gestiscono da una vita. Chi ha paura diventa intollerante. Chi si sente minacciato non vuole discutere, vuole solo resistere. È
comprensibile. La situazione diventa tanto più pericolosa quando i politici
scoprono che si può fare politica alimentando proprio tali paure. E a fare questa
riflessione non è stata certo solo la destra. Una politica responsabile
dovrebbe fare l'esatto contrario. Dovrebbe preoccuparsi di eliminare le
divisioni e la paura del futuro e di garantire più sicurezza e protezione.
Dovrebbe introdurre cambiamenti che arrestino la diminuzione della coesione
sociale e che ostacolino l'incombente declino economico. Un ordinamento
economico in cui la maggioranza dei cittadini pensa che il futuro sarà peggiore
del presente non è un ordinamento in grado di garantirlo, il futuro. Una
democrazia in cui una notevole quota della popolazione non ha voce né
rappresentanza non può chiamarsi tale. Possiamo produrre in maniera diversa, in
maniera più innovativa, più legata al territorio e in modo più sostenibile per
l'ambiente, e possiamo distribuire quanto prodotto in maniera migliore e più
meritocratica. Possiamo rendere democratica la nostra collettività, invece di
lasciare che qualche gruppo di interesse per cui conta solo il proprio profitto
decida della nostra vita e del nostro sviluppo economico. Possiamo tornare a una
convivenza positiva e solidale, che in definitiva giovi a tutti: a quelli che
negli ultimi anni hanno perso e che oggi hanno paura del futuro, ma anche a quelli
che se la passano bene, ma che non vogliono vivere in un paese spaccato che
rischia di finire come gli Stati Uniti di oggi.
Nessun commento:
Posta un commento