Tema “Conosciuto,
ancor che tristo, ha suoi diletti il vero” di Giacomo Leopardi.
La natura offre all'uomo spettacoli meravigliosi,
l'arte e il genio producono continuamente opere bellissime, che possono
solleticargli i sensi, le persone amate lo attirano con i loro affetti; egli
potrebbe godere della vita, amando il mondo quale esso appare, contentandosi di
osservare gli effetti dei fenomeni, senza ricercarne le cause. E l'universo si
presta straordinariamente a questa mascherata, perché esso è bellissimo per chi
vuole vederlo tale. E la maggioranza degli uomini inconsciamente si lascia
trasportare dai suoi sogni, cullare voluttuosamente dalla gioia di vivere, e
non cerca di approfondire le sue osservazioni, di cercare se tutto ciò che il
mondo produce sia buono e sia bello.
E del resto questo odio per la speculazione
filosofica è logico: dovendo vivere, è necessario credere che la vita sia un
bene; gli uomini essendo quasi tutti deboli, e vili creature, non saprebbero
soppor-tare le crudeli verità, e se queste apparissero intuitivamente tali,
avverrebbe un disastro. Pure vi sono certi uomini superiori, che si staccano
dal gregge umano, si isolano nella loro coscienza, e non vogliono sotterfugi,
ipocrisie, ma preferiscono far cadere una ad una tutte le illusioni, vedersi
tolta ogni ragione di essere, ogni ideale verso cui dirigere la vita, piuttosto
che accontentarsi vigliaccamente delle vane apparenze, che accontentano solo i
deboli. Essi sono sempre incalzati da un desiderio mai soddisfatto di sapere, e
nella loro speculazione vanno tanto oltre, che si astraggono fuori dalla vita,
e studiando nei fenomeni e i rapporti finiscono per non credere più a nulla,
fuorché alla propria esistenza. Ma siccome sono uomini e soffrono e sentono
come tutti, al vedere svanito ogni loro desiderio, al sentire tutta la vuotezza
della loro esistenza, provano dolore e sono infelici. Perché la verità è una
cosa così bella e così pura che per sé non può essere fonte di dolore. Sono gli
uomini che, abituati a veder la vita per un solo verso, non sanno convincersi
che quella che vedono sia solo una sfaccettatura d'un immenso prisma, e
soffrono e si martoriano se vengono a conoscere che tutto il megaron che hanno
costruito nel loro cervello, non è altro che una vescichetta gonfia che la
punta d'uno spillo può far scoppiare. Maggiormente sono da ammirarsi quelli,
che, pur sapendo che questa loro ricerca è come un arme a doppio taglio che li
ferirà profondamente, si sacrificano e si dilaniano le carni, ma nel tempo
stesso sentono innalzarsi la propria coscienza, che diventa superiore a quella
di tutta la massa degli altri uomini, che vegeta senza aspirare a conoscere le
sorgenti della vita, e rifugge da tutto ciò che potrebbe trarla dal suo errore,
e si attacca anche agli uncini pur di mantenersi nello stato di beata
incoscienza. E il Leopardi prima di morire protestò contro la tendenza degli
uomini a voler negare la verità, anche se chiaramente tale. "Prego i miei
lettori," egli scrive "di industriarsi a distruggere le mie
osservazioni e i miei ragionamenti, meglio che ad accusarne le mie
malattie". Del resto, che merito c'è nell'amare la vita, quando essa
appare un paradiso? Eroismo invece dovrebbe chiamarsi il conoscere il mondo,
quale esso è veramente, e tuttavia mantenervisi. In ciò consiste la differenza
profonda tra l'uomo di pensiero e l'uomo volgare. Egli si è liberato
dall'ipocrisia che domina nella vita esterna ed interna dell'uomo. Egli, anche
soffrendo gli spasimi più atroci, ha voluto conoscere il bene e il male, e dopo
si è sentito solo, isolato dal resto del mondo. Anche nella vita pubblica, nei
rapporti fra uomo e uomo, trionfa il gesuitismo. Si vogliono nascondere i mali
dell'umanità, anzi non si vogliono conoscere; non si vuole che gli stranieri
sappiano tutte le magagne che tarlano il corpo della nazione. Se il popolo
muore di fame, se la nazione è in mano di alcuni imbroglioni senza coscienza,
non importa, purché nulla trapeli al di fuori. Si può ricordare il monte di improperi
rovesciato addosso allo Zola quando pubblicò la sua lettera J'accuse; il
Carducci stesso, quanti nemici non si fece coi suoi giambi, nei quali voleva
colpire a sangue tutti gli gnomi e i pigmei che immiserivano l'Italia, ancora
giovane, strigliandola però bene di fuori perché non apparissero i suoi guidaleschi.
Il Carducci fu accusato di poca pietà di patria, eppure egli dovette soffrire,
nel vedere la patria dei Catoni e nei Bruti preda dei Vanni Fucci e degli
Stenterelli; ma il sentimento del dovere, la sincerità, innata in lui,
l'obbligarono a scagliare contro la patria la parola dell'insulto e del disprezzo.
Le mediocrità non potevano comprendere la grandezza dell'atto, che un giorno,
quando la coscienza nazionale fosse più evoluta, avrebbe riscattato la patria
dalla vergogna. – Quando si farà chiara la concezione che il vero, anche brutale,
è preferibile alla illusione che intorpida i sensi, un gran passo si sarà fatta
nell'evoluzione, e gli uomini saranno anche meno sofferenti di quello che sono
ora.
“Il giudizio dell’insegnante V. A. Arullani ed il
voto”. “Questo ultimo concetto è un po' oscuro: ma il lavoro è meditato e
sentito, pregevole di pensiero e di forma. Il tema è bene inteso, e bene svolto”. (Voto 7-8/10)
“La chiosa al Tema di Gad Lerner”. Affascinante
è cogliere i passi di avvicinamento all'impegno politico e il formarsi della coscienza
di classe nello studente modello che ai compagni di liceo pareva interamente
assorbito dalla speculazione culturale. Ma che invece, grazie al fratello
maggiore Gennaro, già frequentava la Camera del Lavoro e i circoli socialisti
di Cagliari, intenzionato a riunire il pensiero all'azione. Leopardiano per
malinconia e spirito critico, in questo inedito riconosciamo i grandi progetti
che animeranno la sua filosofia della prassi. Gli "uomini superiori che si
staccano dal gregge umano" non diventeranno individualità eroiche, bensì
avanguardie, costruttori di volontà collettive prorompenti dalle classi
subalterne. Non a caso, scrivendo all'amatissima madre Giuseppina, le
assicurava che l'ambizione della sua missione politica mai avrebbe contraddetto
la sua indole di modestia personale. "Del resto - leggiamo qui - che
merito c'è nell'amare la vita, quando essa appare un paradiso?". Lui, che non
godette mai di alcun privilegio sociale, liquida con ironia il cervello dei
cercatori di verità che si riduce a "una vescichetta che la punta d'uno
spillo può far scoppiare". Eccolo in nuce, dunque, lo spirito del
rivoluzionario, sarcastico nel denunciare il gesuitismo che pervade la vita pubblica.
"Eroismo invece dovrebbe chiamarsi il conoscere il mondo, quale esso è
veramente". Che è poi il contrario del "nascondere i mali dell'umanità",
al solo scopo di evitare "che gli stranieri sappiano tutte le magagne che tarlano
il corpo della nazione". "Se il popolo muore di fame, se la nazione è
in mano di alcuni imbroglioni senza coscienza", Gramsci cita l'esempio di
intellettuali come Émile Zola, coperto di improperi quando pubblicò il suo J'accuse.
E così la maschera di Stenterello, qui ripresa dal Carducci, anticipa la
celebre metafora che ritroveremo nel 1917 in un suo articolo pubblicato sull'Avanti!
Grazie a Gramsci, Stenterello diventerà "il prototipo della borghesia
italiana, chiacchierona, vanitosa, vuota".
P. s. Il titolo del post è stato ripreso da “il
Fatto Quotidiano” del 25 di giugno 2022 che ha riportato il secondo “Tema” (1911)
ritrovato di Antonio Gramsci.
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