"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 19 giugno 2022

Eventi. 79 Bergoglio: «Questa guerra, che è stata forse in qualche modo o provocata o non impedita. E registro l’interesse di testare e vendere armi».

 

Ha scritto Sergej Gandlevskij – scrittore russo, che ha abbandonato Mosca a seguito dei tragici fatti del 24 di febbraio – in “Putin ha tradito un popolo”, pubblicato sull’ultimo numero del settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” del 18 di giugno: Nel 2006 presi parte, insieme a un gruppo di letterati, a un pomposo ricevimento nell'enorme villa di Badri Patarkatsishvili, un uomo d'affari caduto in disgrazia; mi pare che fosse ad Avlabari, un quartiere storico di Tbilisi. Nel pieno della festa uno degli ospiti, un po' alticcio, chiese al padrone di casa come era possibile che, un milionario e magnate dei media come lui, fosse di fatto rinchiuso nella sua piccola Georgia, in patria, e gli fosse precluso varcare il con-fine, pena l'arresto, poiché le autorità russe avevano emesso nei suoi confronti un mandato di cattura internazionale. Badri rispose con studiato candore: «Giuro, non saprei. Avevamo convocato Volodja (Vladimir Putin) e gli avevamo dato istruzioni, lui ci aveva ascoltati. Gli avevamo chiesto se avesse capito tutto e aveva annuito. E allora avevamo detto: bene, vai, ed era andato...». Dopo oltre venti anni da quelle istruzioni, le espressioni "bombardamento di Charkiv" o "fuoco d'artiglieria di Kiev e Odessa", che conosciamo dall'infanzia per via dei libri e dei film sulla guerra contro la Germania nazista, sono tornate a imporsi in un contesto completamente diverso, abominevole. Gli eventi che si susseguono dal 24 febbraio sono l'incubo degli scrittori della generazione della Guerra patriottica: Viktor Nekrasov, Bulat Okudzhava, Viktor Astafev, Vasilij Bykov. Per loro fortuna Dio gliel'ha risparmiato. La serie di slogan e di cliché sovietici da manuale come "pace al mondo", "no alla guerra", "la colomba di Picasso" o la straziante cronaca del ritorno dei soldati dal fronte alla stazione Belorusskij sono diventati un atto sovversivo da un giorno all'altro. Mentre sulle strade dell'Ucraina e dei paesi occidentali confinanti si sono riversate folle di profughi con i loro vecchi, bambini, gatti, cani, fagotti e valigie, che hanno lasciato rovine e corpi morti alle spalle ... Non sono un veggente, né voglio ergermi a fine politologo; non appartengo neanche a coloro che criticano a priori il capitale, ma ritengo che esista un legame causa-effetto tra il conciliabolo soprammenzionato e la guerra attuale. Alcuni affaristi di successo hanno deciso che si potevano fidare di un uomo mediocre, abile a infiorare i discorsi con motti da caserma, ma hanno fatto male i conti. Volodja si è rivelato un'acqua cheta, a poco a poco ha fatto rigare dritto gli inetti demiurghi, si è fatto prendere la mano e ha istituzionalizzato il proprio potere a vita. È un uomo mediocre a tutti gli effetti, che non riconosce la sacralità dei luoghi di cultura: ha spianato "le colline della Georgia", care a Pushkin, e ora bombarda l'Odessa di Babel' e di Pushkin; e solo Dio sa quante generazioni di russi serviranno a riparare questo guaio sanguinoso e quante dovranno prendere coraggio per rispondere a chi, all'estero, gli domanda qual è il loro paese di origine. Di seguito, “Cappuccetto rosso e il lupo russo” di Barbara Spinelli, pubblicato su «il Fatto Quotidiano» del 17 di giugno ultimo: (…). Il pezzo ucraino di guerra è specialmente vistoso, perché ha scatenato in Occidente una corsa al riarmo e alle sanzioni che affamerà il pianeta, e perché sono implicate le due superpotenze atomiche: Mosca che in febbraio ha spietatamente attaccato e Washington che da anni arma e addestra gli ucraini. Ma anche questo conflitto, se dura molto, scomparirà dagli schermi pur restando trama dei nostri tempi. Angela Merkel parla di tragedia, nell’intervista del 6 giugno allo «Spiegel», perché lei si sforzò di evitare il peggio: fin dal 2015 si oppose all’invio di armi a Kiev, e con Parigi tentò di conciliare le esigenze russe e ucraine tramite gli accordi di Minsk. Fu boicottata dagli Usa, e Kiev rifiutò l’autonomia, specie linguistica, che gli accordi prescrivevano per le province russofone del Donbass. Oggi la Merkel riconosce che l’ordine di sicurezza europea cui ambiva è fallito, che Putin ha reagito con violenza ingiustificata, ma non si pente: “Se la diplomazia fallisce non è detto che diventi inutile”. Anche nelle nostre menti la terza guerra mondiale c’è e non c’è; non siamo belligeranti ma combattiamo inviando armi in grado di colpire la Russia; formalmente non c’è stato di eccezione ma i grandi giornali pubblicano liste di cosiddetti “putiniani” perché contrari alla linea degli alti comandi. Cos’altro è questo, se non stato di eccezione e maccartismo. Quanto all’alto comando, non ne conosciamo il volto, l’ubicazione. A seconda delle convenienze si addita Palazzo Chigi, i Servizi, il Copasir, i giornali mainstream, in un immondo scarico di responsabilità. Tanto per fare un esempio, il «Corriere della Sera» ripete che la pagina del 5 giugno con la lista di proscritti stilata dai Servizi è uscita perché i giornali seri “danno le notizie”. Ma sono state le firmatarie dell’articolo – una di esse vicedirettore – a decidere l’impaginazione piuttosto indecente della notizia in questione e a corredarla di foto segnaletiche che denunciano, per intimidire chiunque scriva sulla guerra, nove “putiniani”. Non tutti i nomi escono dal Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza. L’affare non è pulito: per il «Corriere» questa guerra ha da farsi anche in casa, senza troppi riguardi. Dice il Papa che dobbiamo abbandonare lo “schema di Cappuccetto Rosso, con Cappuccetto che è buono e il lupo che è cattivo”. Che “qui non ci sono buoni e cattivi metafisici, in modo astratto”. Che le idee prive di esperienza sono “eresie”, perché “scollegate dalla realtà umana”: le idee possono essere discusse, ma “quel che conta è il discernimento che porta all’azione”. Discernere gli eventi era possibile già nel 2014, quando in Donbass insorsero i separatisti russofoni e l’esercito di Kiev contrattaccò assieme alle milizie neonaziste (i neonazisti ucraini dispongono di una trentina di battaglioni, tra cui Azov e Aidar, integrati nell’esercito regolare dopo il colpo di Stato di piazza Maidan). Il 24 febbraio Mosca è intervenuta con innegabile brutalità e ferocia, dice Bergoglio, ma discernere implica che lo sguardo non si appunti solo sul pericolo russo: “Il pericolo è che vediamo solo questo, che è mostruoso, e non vediamo l’intero dramma che si sta svolgendo dietro questa guerra, che è stata forse in qualche modo o provocata o non impedita. E registro l’interesse di testare e vendere armi”. Il dramma comprende l’espansione della Nato, come confidato al Papa da un capo di Stato poco prima dell’invasione russa: “Stanno abbaiando alle porte della Russia. E non capiscono che i russi sono imperiali e non permettono a nessuna potenza straniera di avvicinarsi a loro”. Fino a quando i co-belligeranti occidentali non riconosceranno le proprie responsabilità, e resteranno impigliati nello schema di Cappuccetto Rosso e dell’offensiva antihitleriana, la guerra d’attrito in Ucraina continuerà sempre più mortifera: con le forze russe che devasteranno una città dopo l’altra fino a prendersi la riva destra e sinistra del Dniepr e a ridurre l’Ucraina a un torso di Stato, deprivato delle sue industrie, dello sbocco al mare, degli abitanti (l’Onu prevede 10 milioni di profughi). Non è vero che alla fine entrambi i belligeranti saranno perdenti. La Russia avrà perso moltissimo, ma potrà dire di aver conquistato le parti essenziali, industrializzate, dell’Ucraina. L’Ucraina invece sarà uno Stato fallito, grazie alle armi occidentali che hanno rovinosamente prolungato la guerra. Chi in un’Unione europea già flagellata dalla crisi saprà ricostruire città, fabbriche, campi agricoli? E il Donbass: con quali risorse sarà ricostruito da Mosca? Nonostante le perdite e qualche resipiscenza, Zelensky chiede armi sempre più pesanti ed è in preda al pensiero magico della vittoria. Ma gran parte degli occidentali sa che non sarà così, pur non osando dirlo: in particolare Macron, Scholz e Draghi che ieri erano a Kiev per appoggiare Zelensky ma anche per sondare e propiziare i suoi intenti negoziali. Kiev ha l’appoggio di Polonia, dei Baltici, del Regno Unito, degli Usa, ma anche Washington mostra alcune insofferenze. Alti funzionari Usa si lamentano delle poche informazioni che hanno da Zelensky, sulle perdite e sulle armi disponibili. Poi c’è la “guerra mondiale a pezzi e bocconi” descritta dal Papa. La Turchia si presenta come mediatrice, ma Erdogan profitta del caos ucraino per annunciare nuovi attacchi sterminatori contro le enclave curde nel nord siriano. Per non disturbarlo e scongiurare il veto turco all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, gli Occidentali tacciono. Intanto Biden s’appresta a riconciliarsi con gli assassini di Khashoggi a Ryad, in cambio di più petrolio. Per questo è insensato inviare più armi a Kiev. Tra Russia e Europa si apre un baratro tragico. Di disarmo atomico non si parla più da anni. E la retorica secondo cui Mosca ha il monopolio della brutalità criminale non fa che nascondere gli altri conflitti: in Yemen, Kashmir, Palestina, Siria, ecc. Chi li menziona è sospettato di sminuire l’unica guerra che conta. Chi difende l’innocenza di Julian Assange reo d’aver svelato i delitti Usa in Iraq e Afghanistan è considerato un nemico che svia l’attenzione dai “putiniani” incriminati dal «Corriere».

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