"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 13 giugno 2022

Piccolegrandistorie. 22 Edgar Morin: «Lo strapotere incontrollato del profitto che determina la crisi ecologica e aggrava in tutto il mondo la crisi delle democrazie».

 

“Uomini&Storia”. Tratto da “Il rosso e il nero. Breviario di filosofia russa” di Edgar Morin pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” dell’11 di giugno 2022: Che cos'è la Russia oggi? Per capirlo è necessario sapere che cosa sta tornando a essere, pur essendosi trasformata. La Russia zarista era un impero immenso che si estendeva su due continenti, dal mar Baltico all'oceano Pacifico. Mentre Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo e Paesi Bassi colonizzavano terre lontane su altri continenti, la Russia colonizzava terre che si trovavano oltre i suoi confini, verso ovest (parte della Polonia e i paesi baltici) e verso est, nelle regioni tatare e turcofone e in tutta la Siberia, abitata da Burlati, Jacuti e da una trentina di etnie diverse, fino a Vladivostok, sulla sponda del Pacifico, e russificava in parte la Siberia soprattutto grazie ai deportati, cosa che in maniera meno brutale continuerà a fare anche l'Urss. La continuità territoriale rese più agevoli e più durature le sue conquiste. Dopo le guerre seguite alla Rivoluzione d'Ottobre del 1917, che rischiarono di disgregare l'Impero, l'Urss recuperò gran parte di quei territori e pensò di decolonizzarli concedendo ai loro abitanti la cittadinanza sovietica: da un lato ne riconobbe la nazionalità (indicandola sui passaporti, compresi quelli degli ebrei, la cui religione fu considerata una nazionalità) e dall'altro represse le aspirazioni nazionali delle etnie più importanti. Bisogna ricordare che la Russia, durante il periodo sovietico, fu sottoposta al governo dittatoriale di un georgiano, Iosif Vìssarìonovìé Dzugasvìlì, detto Stalin e poi di un ucraino, Nikita Sergeevìé Chruséèv, assistiti da ministri armeni (Anastas Mikojan) e georgiani (Lavrentij Berija, Eduard Shevardnadze), senza che il popolo russo ne fosse turbato. Ciò detto, la lingua e la cultura dell'Urss furono sempre quelle russe e Stalin, dopo la vittoria, ci tenne a fare un brindisi speciale dedicato "al popolo russo". La Germania di Hitler provò a trasformare questo impero schiavo nel proprio impero coloniale ma il fallimento di questo tentativo portò a un'ulteriore espansione dell'Impero sovietico sui protettorati (Polonia, Germania dell'Est, Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria, Romania). I protettorati europei si sono emancipati durante fora Gorbaciov, così come i paesi baltici (1991) ma è sotto Eltsin, che cercò di ristabilire una nazione russa indipendente, che l'impero sovietico si è in gran parte disgregato e Ucraina, Bielorussia, Armenia, Azerbaigian, Georgia, Kazakistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Kirghizistan si sono emancipati. Più del passaggio dalla Santa Russia zarista, ortodossa e capitalista all'Urss è stato stupefacente il passaggio dall'Urss alla Santa Russia ortodossa e ipercapitalista. L'Impero si è ridotto fino a diventare una gi-gantesca nazione multietnica a maggioranza russa. E tuttavia Eltsin non ha saputo rassegnarsi all'e-mancipazione della Cecenia e l'ha recuperata provvisoriamente con una guerra (1994-96). Pur essendo straniera per cultura e religione scossa da frequenti rivolte nel corso del Diciannovesimo secolo, fino alla capitolazione del capo Shamìl (consiglio di leggere Chadii-Murat di Tolstoj), la Cecenia è un territorio geopoliticamente essenziale per il Caucaso. Putin, succeduto a Eltsin, non ha esitato a scatenare una guerra durata dal 1999 al 2009 e una sanguinosa repressione (esasperata dagli attentati ceceni a Mosca) contro la Cecenia nuovamente rivoltosa, poi reintegrata come repubblica autonoma all'interno della Federazione Russa. Non so in quale momento abbia preso consistenza il grande sogno di Putin di ricostituire la Grande Russia imperiale e sovietica, reintegrandovi in particolare le nazioni slave, Ucraina e Bielorussia, e la Georgia (annessa nel 1801), una parte essenziale del Caucaso che per la Russia ha un'importanza geostrategica fondamentale. Non potendo impossessarsi di nuovo di tutto il Caucaso, nel 2008 la Russia ha attaccato la Georgia e le ha strappato l'Ossezia del Sud e l'Abcasia ma non è riuscita a prendere tutto il paese. Ormai però dispone di basi sufficienti per controllare la regione, anche grazie al conflitto permanente fra l'Armenia cristiana e l'Azerbaigian musulmano. Per quanto riguarda l'ovest slavo, fin dal 1997 si è costituita un'unione fra Russia e Bielorussia e, pur senza un'integrazione, i governi che si sono susseguiti sono rimasti filorussi, nonostante le grandi manifestazioni, brutalmente represse, del 2020-21. L'Ucraina indipendente, che ospita al suo interno una forte minoranza russa, ha oscillato fra governi filorussi e filo-occidentali. Questi ultimi avevano aspirato a entrare nell'Unione Europea ma nel 2013, sotto la pressione di Mosca, hanno rinunciato. La rivoluzione democratica filo-occidentale di Maidan del 2014 ha rafforzato la tendenza verso l'Occidente ma ha provocato la secessione delle regioni russofone del Donbass. Gli accordi di Minsk non sono riusciti a porre fine alla guerra che ha visto l'esercito ucraino contrapposto alle forze separatiste, rifornite e sostenute dalla Russia. Questa guerra, che secondo Markovitz prima del 2022 avrebbe fatto 13 mila morti, è un vero e proprio ascesso che è diventato purulento e ha diffuso l'infezione. Il 20 settembre del 2019 è stato eletto presidente dell'Ucraina il candidato apartitico Zelenski. A partire dal 2014 l'Ucraina si è riarmata, beneficiando non solo di aiuti tecnici e informatici ma anche di armi e addestramento americani. Si è rafforzata proprio quando Putin la credeva divisa e indebolita, con un comico come presidente; Putin era convinto che la dualità della sua composizione etnica la rendesse fragile. Sapeva anche che gli Stati Uniti, dopo il ritiro dall'Afghanistan, non avrebbero potuto imbarcarsi in una nuova impresa militare lontano da casa. Vedeva infine le nazioni dell'Unione Europea divise e le credeva indebolite da quei modi effeminati che il suo machismo disprezza. Così, dopo aver annesso la Crimea, penisola tatara russificata, e armato fin dal 2014 le "repubbliche" secessioniste dell'Est, nel 2022 ha lanciato la sua offensiva, sicuro di poter decapitare l'esecutivo ucraino e ottenere la resa dell'esercito. Sotto la guida di Putin, la Russia è stata sempre più schiacciata da un regime autoritario mascherato da repubblica parlamentare, le cui elezioni sono blindate dal potere. Il ritorno alla Santa Russia prerivoluzionaria è stato suggellato dalla restituzione alla chiesa ortodossa della sua sacralità tutelare. Eltsin non ha aperto la porta solo alla concorrenza di mercato ma anche alla formazione di enormi oligopoli che nessuna legge antitrust controlla. La corruzione e le mafie hanno mano libera. Questa Russia dal capitalismo sfrenato si combina con l'eredità diretta del regime di polizia dell'Urss. Ex ufficiale del Kgb, Putin ha adottato i metodi di sorveglianza e soprattutto di eliminazione fisica dell'epoca staliniana, e non si fa scrupolo a ricorrere ad assassini mirati e a omicidi camuffati, persino all'estero. La guerra in Ucraina aggrava il carattere repressivo del putinismo, che stronca sul nascere qualsiasi opposizione all'avventurismo militare. La Russia è sottoposta a sanzioni, alle quali sembra essersi preparata accumulando riserve, ma le sanzioni avranno effetti a lungo termine, colpendo anche l'economia dei sanzionatori che dipendono dal gas, dal petrolio e dal grano russo, così come dipendono dal grano e dalle materie prime di un'Ucraina economicamente paralizzata dalla guerra e impossibilitata a esportare, finché le sue coste saranno occupate o controllate dalla Russia a meno che un minimo di lucidità reciproca non conduca a un accordo, Russia e Ucraina sono impegnate in una guerra lunga, con il rischio costante di un'escalation che devasterebbe l'Europa e il mondo intero. Oltretutto, al flagello di questa guerra, che ha già conseguenze economiche disastrose e su cui incombe il rischio di una generalizzazione devastante, si aggiungono il brutale riscaldamento globale, la siccità, la crisi incompiuta del Covid e il probabile ritorno della pandemia in autunno. Il contesto storico. L'evoluzione delle relazioni internazionali tra la Russia e le potenze occidentali è stata caratterizzata da alleanze tra regimi incompatibili e improvvise inversioni di rotta. Va ricordato che nel 1892 fu stipulata un'alleanza franco-russa tra la Terza Repubblica francese e la dispotica Russia zarista per far fronte alla minaccia che la Germania rappresentava per entrambi i Paesi e questa alleanza, in vigore durante la Prima guerra mondiale, lo rimase fino alla sconfitta russa e alla rivoluzione sovietica del 1917. A quel punto l'Urss fu messa al bando e accerchiata dalle potenze capitaliste, fino a quando l'ascesa al potere di Hitler e la rimilitarizzazione della Germania non fecero rientrare l'Urss nella Società delle nazioni e il ministro degli esteri francese Pierre Laval, nel maggio del 1935, andò a Mosca a firmare un patto di mutua assistenza nel quale Stalin accettava di difendere la nazione francese, che fino a quel momento aveva combattuto i partiti comunisti. Stalin aveva già dimostrato di essere un dittatore sanguinario: le grandi purghe erano iniziate dopo l'assassinio di Kirov nel 1934, così come i processi demenziali contro i "traditori" e le "spie", fra cui i due vecchi bolscevichi Kamenev e Zìnov'ev, che l'anno dopo sarebbero stati processati come spie hitlero-trotskiste. Dopo Monaco, e nonostante il processo di Mosca e le enormi purghe, liquidazioni e deportazioni staliniane, Francia, Inghilterra e Urss ripresero i negoziati al fine di studiare un'alleanza per proteggere la Polonia dalle ambizioni di Hitler, ma fallirono perché gli anglo-francesi rifiutarono di accettare che, in caso di guerra, l'Urss penetrasse in territorio polacco. Ciò contribuì a portare Stalin verso il patto Molotov-Ribbentrop, uno scandalo intellettuale che unì in un patto di non aggressione due acerrimi nemici. Il patto tuttavia non impedì alla Germania di Hitler, dopo aver invaso la Polonia (spartita con l'Urss) e la Francia, di invadere anche l'Unione Sovietica. L'Urss fu sostenuta militarmente dall'Inghilterra in Nord Africa, dove il generale Montgomery salvò il petrolio del Medio Oriente fermando l'esercito di Rommel a El Alamein. Poi, mentre l'Urss invasa cercava di salvare Mosca, alla fine del 1941, l'America, coinvolta nella guerra dall'attacco giapponese a Pearl Harbour, fornì ai sovietici notevoli aiuti materiali e militari. Più tardi, nel giugno 1966, in piena Guerra fredda, De Gaulle si recò a Mosca per firmare un accordo di cooperazione militare con l'Urss (che per lui era la Russia), ignorando il totalitarismo sovietico, per controbilanciare l'egemonia americana in Europa. Ciò dimostra che nel cinico mondo degli Stati e degli interessi nazionali una democrazia può stringere accordi o addirittura alleanze con una dittatura. Ne consegue che, se la fine della dittatura di Putin è auspicabile, la sua continuazione non rappresenta in sé un ostacolo per i negoziati. Detto questo, passiamo a esaminare il contesto storico successivo alla Guerra fredda. Quando Gorbaciov ha chiesto agli Stati Uniti di non estendere la Nato oltre la Germania, di cui nel 1990 aveva accettato la riunificazione, e ha ottenuto una promessa verbale dal presidente George Bush, l'intento era profondamente pacifico ma mirava a mantenere una zona neutra fra la Nato e la Russia. Questa promessa è stata dimenticata dagli Stati Uniti. Eppure, il 17 maggio del 1997 era stato siglato un accordo fra la Russia e la Nato, l'Atto fondatore per la costruzione di una pace durevole in Europa. Dopo la firma, la Nato aveva dichiarato di «non avere alcuna intenzione [...] di stabilire forze permanenti né di collocare armi nucleari sul territorio dei nuovi membri». La Nato non ha mantenuto le promesse e si è estesa verso la Russia, accogliendo gli ex satelliti, o nazioni annesse: i Paesi baltici, la Polonia, la Re-pubblica Ceca, la Slovacchia, la Romania. L'allargamento è avvenuto su richiesta dei paesi interessati, preoccupati prima per la guerra in Cecenia e poi per gli interventi militari russi in Georgia e le pressioni sull'Ucraina. Così la Russia, che aveva sperimentato l'accerchiamento capitalista del periodo tra le due guerre mondiali e poi il "contenimento" della Guerra fredda, si è trovata di nuovo oggettivamente accerchiata. Nasce da qui il sentimento soggettivo di accerchiamento delle élite dirigenti russe e in particolare di Putin. Ricordiamo che Kennan, protagonista rigoroso del "contenimento" dell'Urss durante la Guerra fredda, giudicò l'allargamento un errore fatale, opinione condivisa anche da Brzezinski, ex consigliere di Carter e Obama. Un accordo tra Russia e Stati Uniti non si è mai verificato, si è sviluppata invece un'opposizione che è diventata conflittuale. Va inoltre notato che gli Stati Uniti sono stati silenziosamente presenti in Ucraina fin da quando si è manifestata una forte tendenza democratica ad aderire all'Unione Europea e hanno lavorato per contrastare l'influenza delle pressioni russe e degli elementi russo fili. L'intero processo che ha portato all'invasione dell'Ucraina non può essere isolato da questa dialettica, che ha visto il gioco tra la Russia, gli Stati Uniti e le nazioni confinanti con la Russia trasformarsi gradualmente in una contrapposizione, fino a portare nel 2014 alla guerra interna all'Ucraina e poi alla guerra di invasione del febbraio 2022. Torniamo alla Russia. La guerra ha irrigidito la dittatura di Putin. Potrebbe provocare un colpo di Stato per rovesciarlo, ma sembra improbabile perché la polizia segreta mantiene un controllo stretto. Putin ha assunto su di sé sia l'eredità zarista che quella staliniana, senza essere né uno zar né uno Stalin, ma ha recuperato il culto della grande e Santa Russia zarista e la supremazia della polizia segreta staliniana, di cui perpetua i metodi. Non indulge nel culto della personalità ma di tanto in tanto non gli dispiace mettere in mostra la sua virilità. È diventato sempre più autoritario e repressivo. Ha sofferto per il crollo dell'Unione Sovietica, sapendo di non poterla resuscitare: «Chi vuole ricostituirla non ha testa chi non la rimpiange non ha cuore». Conserva la volontà di ricomporne almeno il nucleo slavo e di mantenere piedi e occhi nel Caucaso. Del resto, la realtà ucraina si è imposta da sé, mentre Putin la vedeva solo come un aggregato di russi e "piccoli russi" (il nome tradizionale che in passato i russi davano agli ucraini). Non ne percepiva l'unità nazionale. Non immaginava che l'aggressione russa avrebbe completato e consolidato quell'unità. Eppure i nostri media hanno trascurato la complessità dell'Ucraina. Anche escludendo il Donbass, essa contiene una minoranza russofona (impossibile da quantificare) divisa tra l'ostilità verso la Russia dittatoriale e devastatrice e il sentimento filorusso. Florence Aubenas ha riferito su Le Monde di una piccola manifestazione filorussa che si è tenuta il 9 maggio nientemeno che a Kiev. C'è l'ambiguità di un culto che ha eretto statue a Bandera, leader dell'indipendenza ucraina emigrato ai tempi dell'Urss e poi collaboratore dei nazisti e complice delle loro angherie durante l'occupazione dell'Ucraina da parte della Wehrmacht. Il banderismo ha lasciato un'eredità nazista, anche se minoritaria, ma sono stati i fascisti ucraini a trovarsi in prima linea nella guerra contro i separatisti del Donbass e a commettere abusi in quella zona; il reggimento Azov, sotto comando fascista, è stato integrato per opportunismo nella guardia ucraina, a scopi bellici. È vero che l'Ucraina è diventata più democratica grazie all'urbanizzazione e si è occidentalizzata nei consumi grazie al boom economico. L'antico antisemitismo popolare dell'Ucraina rurale si è progressivamente ridimensionato e un ebreo è stato eletto presidente. Tutto questo gioca a favore di una via d'uscita dalla guerra che restituisca all'Ucraina la È possibile un accordo? Per avere una pace per resa, come quelle della Francia nel 1871 e nel 1940, ci vuole una sconfitta totale, altrimenti si avrà una pace per compromesso, che si raggiunge in base ai rapporti di forza e alle sottigliezze della diplomazia Al momento le forze in campo grossomodo si equivalgono, la Russia fatica a occupare tutto il Donbass ma un'eventuale occupazione modificherebbe il rapporto di forza senza determinare la sconfitta dell'Ucraina. Se ipotizzassimo invece un'offensiva ucraina in grado di respingere le forze russe fino alla frontiera, la Russia resterebbe comunque una potenza militare enorme. Un accordo di pace è quindi possibile, nonostante le accuse reciproche e l'esasperazione dell'odio tentino di impedirlo. L'accordo presupporrebbe l'indipendenza dell'Ucraina, che è assolutamente indispensabile, ma indipendenza non significa necessariamente integrità territoriale. Ed ecco che si pone la questione del Donbass, regione industriale edificata e in gran parte popolata da russi fin dai tempi dell'Urss e ancora oggi russofona e russofila. Un certo numero di russofoni (quanti esattamente al momento è impossibile dirlo) è diventato certamente ostile alla dittatura di Putin e alla brutalità dell'invasione russa, una gran parte di essi però è coinvolta dal 2014 nella guerra contro l'esercito ucraino. È difficile immaginare il ritorno di questa regione in seno all'Ucraina attuale, diventata visceralmente antirussa. Se accadesse, gli insorti subirebbero una dura repressione e non cesserebbero di ribellarsi. È altrettanto difficile immaginare di integrarla in un'Ucraina federale. Sarebbe auspicabile indire un referendum per scegliere fra lo status di repubblica "indipendente" e l'integrazione con la Russia, ma ciò non può accadere se non in cambio di una garanzia di indipendenza per l'Ucraina, in virtù di un accordo internazionale che veda coinvolta anche la Nato, o di una neutralità secondo il modello austriaco o ancora di un'integrazione dell'Ucraina nell'Unione Europea. Aggiungo che sarebbe importante considerare anche la possibilità di una futura inclusione della Russia nell'Unione Europea, come soluzione positiva dei rapporti fra Russia e Occidente. Dato che per l'Ucraina il Donbass ha un'importanza economica e strategica, bisognerebbe in ogni caso prevedere un accordo russo-ucraino per condividerne le ricchezze. È da decidere anche lo status delle coste del mar d'Azov. Si potrebbe pensare di lasciarle sotto il controllo russo in cambio della trasformazione di Mariupol e Odessa in porti franchi, come avvenne per Tangeri. Sarebbe inoltre auspicabile prevedere fin dall'armistizio la possibilità di esportare il grano ucraino e quello russo verso i Paesi che ne hanno bisogno. Le spese per le riparazioni di guerra e la ricostruzione dell'Ucraina non dovrebbero essere sostenute solo dalla Russia ma anche con la cooperazione degli occidentali che, fornendo aiuti per la guerra, hanno anche oggettivamente contribuito alla distruzione. Infine l'isteria antirussa, non solo in Ucraina ma anche in Occidente, ad esempio in Francia, dovrebbe attenuarsi e sparire, così come si è spenta l'isteria nazionalista della Germania nazista e l'isteria antitedesca che identificava la Germania con il nazismo. La messa al bando di artisti, ballerini, registi e sportivi russi è vergognosa e deplorevole ed è un bene che, nonostante la richiesta dei cineasti ucraini, quelli russi non siano stati esclusi dal festival di Cannes. Infine, dobbiamo sperare che la pace arrivi al più presto, non solo per le irrimediabili tragedie umane che la guerra produce in Ucraina ma anche perché peggiora le condizioni di vita nel resto del mondo e mette molti paesi a rischio di carestie e perché, cosa che tendiamo a dimenticare, fa passare in secondo piano problemi vitali che dobbiamo affrontare da decenni, come il degrado ecologico del pianeta, da cui deriva il riscaldamento climatico; lo strapotere incontrollato del profitto che determina la crisi ecologica e aggrava in tutto il mondo la crisi delle democrazie; la crisi della globalizzazione, peggiorata dalla dimensione planetaria della pandemia, che non è ancora stata debellata e rischia di riprendere vigore. Cerco di non disperare, non tanto per me che ho già molto vissuto quanto per il bene delle nuove generazioni e dei nostri discendenti.

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