Ci provo a venir fuori dal pelago burrascoso della
guerra. Me ne offre l’occasione Pino Corrias il quale, su “il Fatto Quotidiano”
di ieri lunedì 11 di aprile 2022, ci offre la cronaca di un avvenimento
importante ed istituzionale – avvenuto nell’emiciclo del Senato – che misura l’esiguo
spessore delle persone che sono state chiamate a reggere le sorti del bel
paese. Di codesti personaggi d’avanspettacolo ne ha scritto – per tutt’altre
ragioni - Michele Serra sul quotidiano “la Repubblica” del 9 di aprile ultimo
col titolo “E se saltassero un turno?”,
giusto per dire di quali enormi, stratosferiche “cavolate” siano capaci gli
illustri personaggi che occupano gli scranni alti del parlamento: (…). Lo
stacco tra una tragedia storica e il siparietto serale dell'onorevole che in
sei secondi, magari nel tragitto tra Montecitorio e il ristorante, deve dire la
sua sulla tragedia storica, è abissale. Per giunta aggravato dalla qualità,
generalmente alta, dei servizi degli inviati di guerra con il giubbotto
antiproiettile. È probabile che almeno la metà dei dichiaranti colga la
difficoltà di comparire, senza preavviso, in coda al macello: sente la
trascurabilità della parte che il copione gli assegna. E preferirebbe, in cuor
suo, saltare un turno, anche due o tre. Ma il tran tran ormai pluridecennale
non lascia tregua, l'onorevole Tizio teme che, se lui rinuncia, invece Caio
parla, ognuno ha il suo posto assegnato, in quel carosello: è uno sporco
lavoro, ma qualcuno dovrà pure farlo. La politica è un mestiere difficile,
dunque non si vuole infierire su chi, magari per spirito di servizio, si presta
ad apparire, come il cucù dal suo orologio, nei tigì della sera. Può essere
d'aiuto, però, rivedersi il giorno dopo (è molto professionale, rivedersi), e
concludere che era meglio imboccare un vicolo e non farsi trovare dalla troupe;
o lamentare un mal di testa o un mal di denti invalidante, come fanno gli
studenti impreparati per rimandare l'interrogazione. Scoprirsi impreparati o
inadatti, a qualunque età, può spalancare le porte dell'autocoscienza. Il
titolo della “cronaca” di Pino Corrias è “Casellati
meglio della mia amica Mara”: Ho sempre considerato Giovanna Maria
Vittoria Alberti senatrice Casellati, fresca di candidatura al Quirinale per
conto della Destra patriottica, una risorsa della Repubblica. Fonte di buon
umore nei momenti più cupi. E anche stavolta – nel pieno del massacro in corso
– non ci ha deluso. Anzi si è superata, quando ha celebrato, con qualche
lacrima, Giampaolo Pasolini, autore delle “Ceneri di Giangi”, sommo
intellettuale dell’altro secolo, ma così sommo che se lo avesse mai incontrato
una sera a Padova, certamente avrebbe chiamato aiuto e forse anche i
carabinieri. Ascoltando la sua bella prolusione, mi sono ricordato della mia
amica Mara che in quanto a non sapere nulla del mondo e vivere contenta, mi
sembrava, fino a ieri, insuperata e insuperabile. Vi racconto. Non avendo mai
letto un libro intero in vita sua, la mia amica Mara, signora d’attico romano,
esperta d’aperitivi e chiacchiere, si mise in testa di iscriversi a un corso di
teatro contemporaneo per diventare attrice. Al saggio di ammissione portò una
poesia che aveva sentito una volta a scuola e che lesse con voce tonante, come
immaginava si dovesse fare. Diceva così: “Eì fu. Siccome immobile/dato il
mortal sospiro/ stette la spoglia immemore/orba di tanto spiro/così percossa,
attonita/la terra al nunzio sta”. Eccetera. A fine recita, tra risatine, colpi
di tosse e occhi al cielo, i commissari le chiesero come mai, carissima
signora, portava proprio quel bagaglio di poesia risorgimentale al saggio di
teatro contemporaneo. E lei, che non sapeva niente di niente, sciaguratamente
rispose: “Mi ha incuriosito perché è dedicata a Manzoni”. “In che senso
dedicata”? E lei: “Alla fine della poesia c’è proprio la dedica: A Manzoni”.
Due starnuti e un piccolo applauso salutarono la rivelazione. “C’è il punto!”,
esclamò il più impaziente tra i commissari. “Che punto?” “Dopo la A maiuscola
c’è il punto!”. “E allora?” chiese lei irritata dal trascurabile dettaglio.
“Allora quella A col punto sta per Alessandro. Il nome del poeta”. Mara
sbalordì, arrossì, uscì. Per entrare direttamente negli annali. Toccherà anche
alla nostra Nicoletta Letizia Alata Alberti senatrice Casellati. Peccato che
neanche gli occhi sbarrati di Tracia Maraini, vedova di Agostino Moravia, amica
di Giampaolo Pasolini, le abbiano suggerito di fermarsi, respirare, trovare il
modo di arginare la sua stessa rovina con le scuse e la fuga. Invece niente.
Imperturbabile è rimasta. Cocciutamente ignara. Come fu ai tempi in cui
proclamò che davvero Ruby Rubacuori era la nipote di Mubarak, guadagnandosi la
medaglia di “Zia di Ruby”. O quando venne pescata a volare sui voli di Stato,
usati come suo personale vaccino anti Covid, per andare a casa o al mare senza
incontrare l’odioso virus e i monatti al seguito. Sarebbe bello, se mai si
riuscisse di trovare un suo portavoce non ancora licenziato (ne ha fatti fuori
sette) per chiedere un appuntamento e presentarle Mara. Diventerebbero amiche
al cento per cento: lo so, ma non ho le prove. E, per come suggerisce
Michele Serra, gli onorevoli (?) “saltassero
un turno?”. Giammai!
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