“Guerra&Media”. Ha scritto Alessandro Robecchi
in “Il popolo-colesterolo, quello buono
vota bene, quello cattivo è zozzone”, pubblicato su “il Fatto Quotidiano”
29 di giugno dell’anno 2016: Insomma, ecco qui: abbiamo un problemino col
popolo. A giudicare dai solenni scritti sul referendum britannico sembrerebbe
una gran rottura di palle, e le analisi si concentrano sulla particolare
composizione dell’elettorato inglese: da una parte i colti, benestanti, saggi,
europei con casa in centro, libri e afflato democratico, e giovani; dall’altra
buzzurri, contadini, anziani scontenti, razzisti, xenofobi e tutti quelli che
fanno la doccia solo al giovedì. Non è facile trovare le parole per questo, ma
si può sempre provare: quello buono è il popolo, e gli altri sono i populisti. Ora,
questa faccenda dei populisti sembra sistemare ogni cosa: tamponi
sull’autostrada? Colpa dei populisti. Non ti viene il soufflé? Populismo! È una
nuova accezione della parola popolo che pare accettata a sinistra: come il
colesterolo, c’è quello buono (progressista, che legge i giornali e vota come
si deve) e quello cattivo (zozzoni). Un dibattito che non è solo inglese, basti
pensare che la parola popolo qui si pronuncia “periferie”, cioè quelle che
bellamente nelle recenti elezioni se ne sono andate facendo ciaone al Pd.
Dopodiché, giù analisi sulle periferie che “le abbiamo abbandonate”, che “ora
sono la priorità”, eccetera eccetera. Il berlusconismo buonanima aveva risolto
il problema privilegiando la “gente” a discapito del “popolo”, ma poi non aveva
resistito al suo speciale populismo e si era battezzato Popolo delle libertà,
un testacoda notevolissimo. Testacoda anche inglese, perché a chiamare il
popolo a votare era stato quel Cameron (uno che ha studiato a Eton e Oxford,
uno per cui il popolo è quello che ti sella il cavallo nella tenuta di
campagna) che sperava nel plebiscito, e poi è passato da “dinamico leader” a
“coglione conclamato”. Eravamo abituati a pensare alla Gran Bretagna come a un
posto decisamente fighetto, compostamente in coda alla Tate Gallery, e ormai
quando qualcuno ci faceva vedere la vera Inghilterra (tipo Ken Loach) si
mormorava: uh, che palle, ancora con questi poveri! E come sono brutti! Perché
non si comprano qualcosa in Oxford Street? Ma resta il problema: ammesso e non
concesso che il 52 per cento dei britannici sia incolto, burino, razzista,
ignorante, stupido ed egoista, quale democrazia matura mantiene più della metà
del suo popolo in condizione di incultura, burinaggine, razzismo, ignoranza
stupidità ed egoismo? È una specie di equazione della democrazia: se i poveri
sono ignoranti bisognerà lavorare per avere meno poveri e meno ignoranti.
Questo significa welfare e riduzione delle diseguaglianze, mentre invece da
decenni – in tutta Europa e pure qui da noi – si è ridotto il welfare e si è
aumentata la diseguaglianza. La sinistra dovrebbe portare il popolo alla Tate
Gallery, non sputargli in un occhio dicendo che è diventato razzista. Eppure. Che
il popolo sia una gran rottura di coglioni è peraltro noto da sempre, chiedere
a Luigi XVI, agli zar, ai tedeschi in ritirata sulla linea gotica. E in più ha
una sua specifica tigna: o gli tocca qualche quota nella distribuzione della
ricchezza e del benessere, oppure si incazza con modalità impreviste, anche
deplorevoli. Ora va di moda dire che il popolo inglese ha seguito
l’impresentabile Farage, che però vanta meno di un quarto dei consensi raccolti
dalla Brexit. Così come qui prevale la moda di dire che il popolo poi sceglie
Salvini, mentre Salvini conta, per fortuna, meno del due di picche. Insomma,
abbiamo un problemino col popolo brutto, sporco e cattivo. Un tempo, quando si
leggeva Marx (uh, che noia!) si sarebbe detto che siamo alle prese con una
questione di classe. Oggi che tutto è più moderno e veloce, si sistema la
questione archiviando il popolo come nemico, incolto, malvestito e un po’
ignorante. È più facile, è più smart, ma un po’ rischioso. Di seguito, “Guerra, i cartoon per il popolino” di
Fabio Mini, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 14 di aprile 2022: (…).
…il politico o la politica odiano i dettagli e la politica dei dittatori (e non
solo) tenta di aggirarli passando agli ordini secchi e alle minacce. I
dittatori di tutto il mondo si sono sempre premurati di dare ordini vaghi non
perché temano i tribunali speciali: quelli contro i crimini di guerra, perché
sanno benissimo che non si mettono a giudicare chi vince. Lo fanno perché
temono che l’eventuale insuccesso sia attribuito agli ordini chiari che così
possono essere gli scudi anche per gli errori, la dabbenaggine e la crudeltà
dei sottoposti. Gli ordini chiari presuppongono l’esame dei dettagli. Ma è lì che
si nascondono i demoni e allora meglio ignorarli. Inoltre, se i militari sono
rompipalle maniacali con le loro fisime sui “dettagli”, i capi politici sono
allevati alla scuola del “meno sai meglio è”. Ecco perché la regola principale
di uno stato maggiore che deve informare il vertice politico è quella di
sintetizzare: tutto ciò che si deve dire (per avere le carte a posto) occorre
dirlo in una paginetta per il generale, mezza per il ministro e una riga per il
Re. A questa stringatezza forzata si tenta di ovviare con le rappresentazioni
grafiche che meglio di qualsiasi altra forma di comunicazione illustrano dei
concetti senza entrare nei fastidiosi dettagli. Sono stati pochi i responsabili
di governo o alto comando che non abbiano preferito sottrarsi a corposi e
noiosi briefing per privilegiare la “grafica”. Churchill disegnava le manovre
sulla sabbia, Hitler aveva un plastico per ogni teatro di operazioni. Di
contro, Napoleone si sciroppava chilometri a cavallo per ispezionare il terreno
e le sue truppe. Amava i dettagli e tra essi scovava i suoi demoni. Sebbene
avesse detto che “la geografia è già un destino” prediligeva la topografia: il
dettaglio che gli faceva individuare le vie migliori per la manovra dei suoi
soldati con gli scarponi o i cavalli e con le sue artiglierie. Divino cocktail
di forze, fuoco e movimento. Come sempre, tra i monarchi ci sono gli illuminati
e i fulminati (“una questione di volt”, come direbbe la mitica Francesca
Reggiani), i dittatori e i dittattori e nei teatri di guerra imperano i
teatranti. Tutti assuefatti alla mistificazione. Ma oggi, che con la democrazia
il Sovrano è il Popolo, anche a esso bisogna dire poco, in fretta e senza
dettagli, meglio se con immagini elementari, perché sarà sovrano ma sempre
ignorante. Per le grandi manovre ci sono le rappresentazioni e le narrazioni
semplici, per le atrocità ci sono i flash d’immagini simboliche che dicono
soltanto ciò che lo stesso Sovrano potrà elaborare… in una direzione ben
precisa. La grande manovra della Russia in Ucraina è stata spiegata al Sovrano
popolo con i cartoni animati tratti dai videogiochi. Per i meno tecnologici si
è ricorso alle mappe opportunamente semplificate e gli spilli con le capocchie
colorate a rappresentare le armate corazzate, le armate combinate, i corpi
d’armata e i carrarmatini, gli omini e le freccette. Ecco, le frecce: belle
come la stella cometa, che poste in corrispondenza di ogni spillo ne indicano
la direzione, il movimento e il punto di arrivo. Frecce diritte per la manovra
d’incontro, curve per le manovre sui fianchi e sul tergo, gli aggiramenti, gli
avvolgimenti e i contrattacchi. E le frecce spiegano che sei armate russe dalla
Bielorussia e altre dalla Russia e dal sud si sono dirette su Kiev
contemporaneamente per la distruzione della città e l’occupazione di ciò che
sarebbe rimasto. Occorreva fare presto e la popolazione doveva essere evacuata.
Ma le armate rosse (migliaia di carri e decine di migliaia di soldati) hanno
velocità diversa, ingolfano le strade e finiscono in un grandioso ingorgo
proprio fuori Kiev. Come ogni ingorgo sulla tangenziale o il Raccordo anulare,
è un imprevisto, ci sono tamponamenti a catena, i mezzi di soccorso non possono
arrivare e via via i poveri viaggiatori si trovano a corto di acqua, benzina e
viveri. Ecco perché erano fermi! Non potevano andare né avanti né indietro e la
resistenza eroica di Kiev che il Sovrano vedeva allestire barricate e bombe
molotov aspettava invano mentre una brigata ucraina (1200 uomini e 80 carri)
riusciva a decimare le armate corazzate. Tutto questo desumibile dalle
freccette. E poi Kiev non viene attaccata, i russi sbloccano l’ingorgo e si
ritirano “lasciandosi dietro una scia di cadaveri”. La gente inizia a
rientrare. È fatta, l’Ucraina ha vinto e da questa posizione intende trattare.
Nessuna freccia però spiega che forse, la Russia non aveva nessuna intenzione
di occupare o distruggere Kiev. O almeno non voleva farlo con le forze
schierate. Forse quelle forze, ferme, dovevano stare ferme in attesa che si
sbloccasse qualcos’altro più importante dell’ingorgo: magari un negoziato o un
accordo sottobanco o un colpo di mano politico. Chissà! Di fatto le armate
corazzate dal nord si dirigono sugli obiettivi dichiarati per finire il lavoro
che nel frattempo altre forze russe avevano portato a “buon punto”. Le frecce
allora si spostano e invece di formare nuovi ingorghi dirigono sugli obiettivi
da sempre dichiarati: Donbass e coste del Mar Nero. C’è anche una variante
nelle capocchiette di spillo in corrispondenza dell’alto comando delle operazioni
in Ucraina. Il generale Aleksandr Dvornikov non sostituisce nessuno, ma
riunisce in un comando le forze che fino a quel momento erano praticamente
autonome. In guerra bisogna trarre gli insegnamenti non solo quando è finita,
ma mentre viene condotta. Ora c’è chi spera che il provvedimento prettamente
operativo possa portare a un ridimensionamento delle operazioni e chi teme un
peggioramento con l’innalzamento del livello dello scontro. Staremo a vedere,
ma qualsiasi cosa succeda non potrà essere spiegata soltanto con gli spilli e
le freccette, si dovrà entrare in quei dettagli così invisi ai politici, così
rifiutati dai monarchi e così negati al (popolo) Sovrano.
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