“Laguerranascosta”. Ha scritto Marco Travaglio in “Via dall’altra guerra” pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” di oggi, 21 di aprile 2022: (…). La favoletta delle armi per
i civili inermi che resistono all’invasore russo s’infrange contro tutte le
evidenze che neppure la forsennata propaganda atlantista riesce più a nascondere.
Mariupol, la porta del Donbass sul Mar Nero, da un mese è controllata dagli
invasori russi a prezzo di immani stragi e devastazioni. Ma è pure prigioniera
dei nazisti del battaglione Azov, che la fanno da padroni dal 2014 a prezzo di
immani stragi e devastazioni. E, non volendo ammettere di averla persa, restano
asserragliati nell’acciaieria Azovstal senza speranze di successo e usano come
scudi umani centinaia di donne e bambini, intrappolati nel luogo più pericoloso
del mondo e costretti a rifiutare le offerte russe di uscire incolumi. Chi
invoca nuove Norimberga dovrà trovare un posticino sul banco degl’imputati per
questi figuri con la svastica che dettano legge sui media democratici e
antifascisti: per i loro crimini in Donbass denunciati per 8 anni da Onu, Osce
e Amnesty, e per quelli freschi di giornata. È a loro e a quelli come loro
(militari angloamericani travestiti da addestratori, contractor e foreign
fighter), non ai civili inermi, che va la gran parte delle armi che seguitiamo
a inviare senza domandarci chi le usa, a che scopo e a chi andranno dopo. La
guerra non è più la stessa del primo mese, perché la sacrosanta resistenza del
popolo aggredito è stata ingoiata dal conflitto per procura di Biden &C.
per liberarsi di Putin. Cioè per decidere con le armi, i morti ucraini e il
rischio nucleare sempre più incombente, una questione politica che interessa
solo agli Usa e ai loro camerieri. Non all’Europa e tantomeno all’Italia, per
giunta vincolata da una Costituzione che “ripudia la guerra… come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali”. Già era incostituzionale
inviare armi nella fase 1 a un Paese aggredito non alleato. Lo è ancor di più
nella fase 2, segnata da due fatti nuovi: il Donbass ormai in mani russe
malgrado l’enorme arsenale ucraino; e il proposito dichiarato dagli Usa di
cogliere la guerra al balzo per rovesciare il capo dello Stato russo. Cioè di
usare la guerra come mezzo di risoluzione di una controversia internazionale. A
questa nuova guerra Usa-Russia la Germania ha deciso di sottrarsi, e si spera
che altri Paesi Ue la seguiranno. (…). Di seguito, “Salvare la dittatura del dollaro: la vera guerra di resistenza Usa”
di Fabio Mini, pubblicato su “il Fatto Quotidiano del 16 di aprile 2022: Per
capire la guerra finanziaria che abbiamo (anche noi italiani) dichiarato alla
Russia e le sue conseguenze bisogna leggere un libro scritto dal generale
cinese Qiao Liang nel 2015 e ora in Italia nell’edizione della Libreria
editrice goriziana (LEG) dal titolo L’arco dell’impero, con la Cina e gli Stati
Uniti alle estremità. Poteva apparire profetico sette anni fa ma oggi è cronaca
e presto sarà Storia. Vi si legge la strabiliante invenzione della finanza Usa
che riesce a staccare la moneta dalla realtà economica e da qualsiasi valore
oggettivo di riferimento e convertibilità. E fa capire come la fede religiosa
stampata su tutti i biglietti del dollaro “In God we trust” (Fede in Dio) sia
diventata “In Gold we trust” (fede nell’Oro) e poi “in Bucks we trust” (fede
nei dollari). La moneta della fede in Dio rappresentava la speranza in un Nuovo
mondo pieno di promesse e nella volontà di realizzarle. Con la tenacia e il
lavoro si è prodotta ricchezza e la moneta convertibile in oro ne era il pegno,
ma ogni nazione faceva a modo suo e gli scambi internazionali erano
difficoltosi. Nel 1944, a Bretton Woods, Stati Uniti e Gran Bretagna ritengono
necessario stabilizzare il mercato e individuare una moneta (dollaro o
sterlina) come riferimento per tutti gli scambi monetari, parzialmente
convertibile in oro. Vince il dollaro: da quel momento l’oro e il dollaro
sarebbero stati accettati in modo intercambiabile come riserve globali. I
dollari sarebbero stati rimborsabili in oro su richiesta a 35 dollari l’oncia
(oggi vale 1.960 dollari). I tassi di cambio delle altre valute furono fissati
rispetto al dollaro e per l’America e il mondo si inaugura l’era del “in Gold
we trust”. Dove il Gold è quello americano di Fort Knox. Nel 1971, con due
guerre non vinte (Corea e Vietnam) e la minaccia di molti Paesi (Francia in
testa) di chiedere oro in cambio dei dollari, il presidente Nixon decide di
eliminare l’ancoraggio del dollaro all’oro, del quale sta esaurendo le scorte.
Continua però a imporlo come moneta di riferimento per gli scambi
internazionali. La moneta non ha più alcuna garanzia concreta se non l’economia
della nazione e la fiducia degli altri. La fede nei dollari deve essere cieca:
“in Bucks we trust”. Liberi dai vincoli di Bretton Woods, gli Usa stamparono
enormi quantità di moneta e il valore del dollaro crollò rispetto alle altre
valute. Per sostenerlo Nixon e Kissinger fecero un accordo con l’Arabia Saudita
e i Paesi dell’Opec secondo il quale essi avrebbero venduto petrolio solo in
dollari, e i dollari sarebbero stati depositati nelle banche di Wall Street e
della City di Londra. In cambio, gli Stati Uniti avrebbero difeso militarmente
i Paesi Opec. (…), una crisi petrolifera collegata a una breve guerra
mediorientale fece quadruplicare il prezzo del petrolio, e l’accordo Opec fu
concluso nel 1974. L’accordo rimase in vigore fino al 2000, quando Saddam
Hussein lo infranse vendendo il petrolio iracheno in euro. Il presidente libico
Gheddafi seguì l’esempio. Entrambi i presidenti finirono assassinati, e i loro
Paesi furono distrutti dalla guerra. Il ricercatore americano-canadese Matthew
Ehret osserva: “Non dobbiamo dimenticare che l’alleanza Sudan-Libia-Egitto
sotto la leadership combinata di Mubarak, Gheddafi e Bashir, si era mossa per
stabilire un nuovo sistema finanziario sostenuto dall’oro al di fuori del
Fmi/Banca Mondiale per finanziare lo sviluppo su larga scala in Africa. Questo
programma è stato condotto al fallimento, dalla distruzione della Libia guidata
dalla Nato, dalla spartizione del Sudan e dal cambio di regime in Egitto”. Senza
tali interventi “il mondo avrebbe visto l’emergere di un grande blocco
regionale di Stati africani che modellano i propri destini al di fuori del
gioco truccato della finanza controllata dagli angloamericani per la prima
volta nella storia”. Per l’Europa i fallimenti africani sono una benedizione. Ma
il ciclo della contestazione del monopolio finanziario è appena iniziato. La
Cina che ha fatto dell’Africa un suo polo di attrazione, deve sottostare agli
umori degli Usa in termini commerciali e militari. Ma la Russia, a partire dal
2008 (questione Georgia) è bersaglio di sanzioni sempre più pesanti. All’inizio
di dicembre 2021, il Xi Jinping e Vladimir Putin hanno sottolineato l’esigenza
di accelerare il processo di formazione di strutture finanziarie indipendenti
al servizio degli scambi di Russia e Cina. Con la guerra in Ucraina, il
distacco dal dollaro per la Russia è divenuta questione di sopravvivenza
politica. Le sanzioni provocano la prima sfida da parte di una grande potenza
al petrodollaro e al sistema occidentale della finanza. Le misure occidentali
hanno tra l’altro compreso il congelamento di quasi la metà dei 640 miliardi di
dollari della Banca centrale russa in riserve finanziarie. E la Cina si rende
conto di essere nel mirino finanziario prima ancora di quello dei cannoni e
accelera il processo di distacco. Venerdì 11 marzo l’Unione economica
eurasiatica (Eaeu) e la Cina hanno concordato di progettare il meccanismo per
un sistema monetario e finanziario internazionale indipendente. L’Eaeu –
composta da Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Bielorussia e Armenia – sta
facendo accordi di libero scambio con altre nazioni eurasiatiche e si sta
progressivamente interconnettendo con la Belt and Road Initiative (BRI) cinese. La fiducia riposta nel dollaro statunitense come valuta di riserva globale è
incrinata e le ritorsioni sono prevedibili e gravissime. Putin, il 16 marzo,
afferma che Usa e Ue sono venuti meno agli obblighi, e che il congelamento
delle riserve della Russia segna la fine dell’affidabilità dei cosiddetti asset
di prima classe che comprendono le istituzioni a garanzia dei maggiori
strumenti finanziari e monetari. La confisca dei patrimoni e il congelamento
dei depositi e investimenti all’estero operata contro i russi preoccupa tutto
il mondo finanziario. È un “furto” che può capitare a tutti, basta entrare in
una lista nera redatta dagli americani. Putin non si limita a rilanciare le
accuse, ma impartisce direttive chiare per le misure strutturali e
infrastrutturali da lanciare all’interno del Paese. Il 23 marzo, Putin annuncia
che il gas naturale della Russia sarà venduto a “Paesi ostili” solo in rubli
russi (o in oro), piuttosto che in euro o dollari. Quarantotto nazioni sono
contate dalla Russia come “ostili”, tra cui Usa, Gran Bretagna, Ucraina,
Svizzera, Corea del Sud, Singapore, Norvegia, Canada, Giappone e Italia. L’economista
Michael Hudson ha notato che le sanzioni economiche e finanziarie “stanno
costringendo la Russia a fare ciò che è stata riluttante a fare da sola:
ridurre la dipendenza dalle importazioni e sviluppare le proprie industrie e
infrastrutture“. Proprio il piano che avrebbe voluto lanciare Obama per sanare
la perdita di capacità manifatturiera causata da decenni di delocalizzazione e
dipendenza dal commercio estero. Progetto, secondo Qiao, ormai tardivo e che
comunque non porterà a diminuire il debito e relativa dipendenza commerciale. Ci
sono però le guerre che possono bilanciare le carenze strutturali interne e non
servono solo a stabilire principi. Le “guerre senza fine” del Pentagono –
scrive Qiao – sono in realtà progettate per garantire “che non solo i dollari
fluiscano senza problemi fuori dal Paese (sotto forma di cessioni finanziarie e
di crediti) ma anche che il capitale in movimento nel mondo torni negli Stati
Uniti”. Questo meccanismo, che ha straordinariamente arricchito l’America negli
ultimi 40 anni (raddoppio del Pil) in buona parte a spese del resto del mondo,
è l’aspettativa più concreta della guerra per procura alla Russia. La questione
del gas ha aperto un altro fronte di guerra e ha oscurato la questione del
dollaro. Ma la ragione dell’oscuramento non è un effetto del gas. Nel libro
Qiao cita l’episodio di Alan Greenspan che all’atto di assumere la direzione
della Federal Reserve disse ai suoi nuovi dipendenti: “Qui alla Fed potete
parlare di tutto, ma non del dollaro”. Di fatto è un tabù. Che sta per essere
infranto.
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