Ha scritto Marco Travaglio in “Tra quanti morti?” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi,
martedì 19 di aprile 2022: (…), il dibattito pubblico sta atterrando
con quasi due mesi di ritardo sulla realtà che i veri esperti videro subito:
una guerra regionale per il Donbass spacciata dagli attori in campo (palesi e
occulti) per una guerra mondiale. La lenta marcia dei tank su Kiev era un
diversivo per impegnare parte dell’esercito ucraino (tutt’ altro che inerme: una
potenza militare armata fino ai denti da Usa e Uk e ora pure dall’Ue) e un’arma
di pressione per i negoziati (anche con stragi orribili, vedi Bucha): nessuna
volontà di occupare la capitale (Mosca avrebbe usato l’aviazione e calato le
truppe dalla Bielorussia), rovesciare Zelensky, sostituirlo con un fantoccio e
annettere il Paese (mission impossibile con la popolazione ostile, l’economia
al collasso, la gran quantità di armi e milizie mercenarie riconvertibili alla
guerriglia e al terrorismo). Stando così le cose, quanti morti ucraini
serviranno ancora alle potenze (palesi e occulte) per sedersi al tavolo e
prendere atto della realtà? L’iniziativa non la prenderà Putin, che dopo
Mariupol e Kherson tenterà di sfondare su Odessa per avere altre merci di scambio
a prezzo di nuove stragi. Non la prenderanno Biden e Johnson, che soffiano sul
fuoco con altri allargamenti della Nato, nuovi invii di armamenti e
“addestratori”, aumentando i rischi di incidenti fatali. E non la prenderà
Zelensky, ubriacato dai falsi amici che gli raccontano che sta vincendo la
guerra e presto i suoi marceranno su Mosca. Possono prenderla i governi
europei, smettendo di inviare armi e subordinando la fine delle sanzioni a una
trattativa seria, che parta non dai sogni, ma dalla realtà. La realtà che il
cancelliere Scholz vide già quattro giorni prima dell’invasione russa, quando
offrì invano a Zelensky un compromesso migliore di quello che uscirà dal
negoziato post-bellico. Era due mesi fa, migliaia di morti fa. “Guerra&Memorie”.
Di seguito, “Terra e libertà l’anima
cosacca che fece l’Ucraina” di Fernando Gentilini pubblicato sul quotidiano
“la Repubblica” del 13 di aprile ultimo: (…). Gli europei danno poca importanza ai
memoriali dei morti ammazzati, avendo scordato cos'è la guerra. E invece le
guerre bisognerebbe ricordarsele sempre, specie quelle cosacche visti i tempi. Anzitutto
perché la storia ucraina è storia europea, e ci riguarda da vicino. E poi
perché le vite da romanzo di questi etmani ci dicono che l'invasione di Putin
non è diversa da quelle tartare, lituane, turche, polacche e zariste che
l'hanno preceduta: nessuna delle quali riuscì a conquistare le steppe ucraine,
né a sottomettere la stirpe cosacca che le abitava già nel XIV secolo. A quel
tempo la resistenza partiva dalla Sic, un accampamento oltre le cataratte del
Dnepr, dove i cosacchi zaporoztsy si allenavano al combattimento allevando
cavalli, cacciando orsi e facendo baldoria. La più gloriosa fu quella
sull'isola di Chortitsa, "tagliata a colpi d'ascia". Per anni, tra il
XV e il XVIII secolo, fu la patria della cosacchità, il quartier generale dove
si preparavano le incursioni contro turchi, polacchi e russi. Un reame
semifiabesco, avvolto nel mistero, sul quale è difficile fare piena luce poiché
russi, ucraini, polacchi, rumeni, turchi, lituani e svedesi raccontano la sua
storia in modi diversi. Su un fatto sono tutti d'accordo: che i cosacchi del
Dnepr non facevano parte di alcuna comunità, né pagavano tributi. Erano
"uomini liberi", una fratellanza guerriera. Per secoli gli etmani
furono il bastione degli zar, con cui condividevano la fede ortodossa,
respingendo verso sud gli infedeli tartari e turchi e verso ovest i cattolici
polacchi. Ma a un certo punto Mosca cominciò a temere i loro reggimenti
indisciplinati, e il sentimento di ribellione che li animava. E così, nel 1764,
Caterina II fece radere al suolo la Sic e cancellare l'Etmanato dalla carta
geografica. Senza per questo intaccare il mito dei cosacchi e delle loro guerre
alla frontiera europea (Ucraina vuol dire "terra di confine"):
un'epopea che non ha uguali nel resto del continente e che rimanda al Far West
americano. Bisogna partire da Ivan Pidkova, eroe della resistenza ai turchi nel
XVI secolo, per avere un'idea di cosa sia un destino cosacco. La sua statua è
quella di Lviv, in Ucraina occidentale, dove venne decapitato dai polacchi nel
1578. In vita aveva sconfitto i maomettani sulle coste del Mar Nero, per poi
inseguirli con una flottiglia di baïdaks fino a Tsargrad (Costantinopoli). Il
poema di Taras Shevchenko rievoca i corpi senza vita dei suoi cosacchi, coperti
da drappi rossi. E a rileggerlo penso che almeno loro morirono da soldati. A
differenza dei civili uccisi in questi giorni dai russi, cui per giunta, invece
del drappo rosso, tocca un anonimo sacco nero. A Bohdan Khmelnytsky, in sella a
un cavallo di bronzo nella piazza più moscovita di Kiev, si ispirò Gogol per il
suo Taras Bulba. In realtà, oltre che per i pogrom, è ricordato per lo storico
patto del 1654 con cui si sottomise allo zar, in cambio di aiuto nella rivolta contro
i polacchi. Con esso l'Ucraina fu risucchiata nell'orbita russa, e la Polonia
uscì per sempre di scena. Nessuna sorpresa quindi che nel romanzo Col ferro e
col fuoco del Nobel polacco Henryk Sienkiewicz - quello di Quo Vadis? -
l'etmano venga paragonato a un "vampiro". E che ad esaltarlo siano
invece i russi (Krusciov, nel 1954, "regalò" a Kiev la Crimea per
celebrare i 300 anni dal suo patto con lo zar) e gli ucraini (per aver dato
forma all'Etmanato antesignano dell'Ucraina moderna). Poi venne il tempo di
Ivan Mazepa, la cui statua non poteva che trovarsi a Poltava, il campo di
battaglia dove nel 1709 finirono i suoi sogni di gloria. Protagonista di un amore
e di un tradimento alla vigilia dello scontro fatidico, si schierò infine con
l'esercito svedese di Carlo XII anziché con quello vittorioso di Pietro il
Grande. Il che lo costrinse alla fuga, trasformandolo in eroe romantico e
letterario. Scrissero di lui Byron e Hugo. Ma fu Puskin - nel poema Poltava - a
ritrarlo da una prospettiva zarista. Corrotto, malvagio, imprevedibile. Il
fatto poi che avesse tradito lo zar assieme a una parte dei suoi reggimenti,
provava senza ombra di dubbio l'inaffidabilità dei cosacchi del Dnepr. Di qui
la decisione di Caterina II di farla finita con l'Etmanato e di incorporarlo
all'impero. Il che, oltre a mettere fine al sogno cosacco di indipendenza, fu
la premessa per la nascita della questione nazionale ucraina che come sappiamo
doveva risolversi solo con la dissoluzione dell'Urss. Ora a questo proposito
ciascuno è libero di pensare quel che vuole, ci mancherebbe altro: ma certo è
difficile non vedere nell'invasione di Putin dell'Ucraina l'ennesima variazione
sul tema, ormai millenario, dei rapporti di forza tra l'impero russo e i popoli
limitrofi. "Non ho altro modo di difendere i miei confini se non quello di
espanderli" diceva Caterina II. Che è esattamente quel che Putin ripete ai
suoi generali da un paio di decenni a questa parte, come si era già visto in
Cecenia, in Georgia, in Crimea, nel Donbass... Ecco perché i soldati ucraini
che oggi difendono le loro città dall'attacco russo fanno pensare ai cosacchi
della Sic. In fondo continuano a combattere per la stessa terra, per la stessa
causa, per la stessa nazione. In una guerra che vede da una parte la Russia di
Putin, la più zarista di sempre, e dall'altra un'Ucraina indipendente, sovrana
ed europea che affonda le proprie radici nel mito dell'Etmanato. Il che ci
riporta (…), all'importanza di questa pagina di storia cosacca per decifrare il
presente continentale. Perché al mondo, diceva Eliot, i morti contano più dei
vivi. E quindi la verità, che abita nel tempo profondo, si coglie solo se si
sanno frequentare i pensieri e le azioni di quelli venuti prima. "Attorno
a ogni statua che noi innalziamo loro, i morti aleggiano" scrisse Gustav
Fechner nel suo Libretto sulla vita dopo la morte. Dove non tanto tramite il
mito, il cristianesimo e i classici, come Eliot, ma più che altro con la
filosofia e la psicologia sperimentale, anticipando Freud, cercò una via per
collegarsi al passato mediante la comunità dei defunti. Una lettura luminosa,
che insegna a vedere più cose di quelle che ci mostrano gli occhi. E che al
cospetto dei nostri tre bronzi cosacchi a Lviv, Kiev e Poltava, può oggi
aiutarci a percepire tutta la loro furia, la loro collera e la loro
indignazione. Per questo ennesimo assalto dello zar all'Etmanato, di una
brutalità che neanche l'orda dorata mongola.
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