"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 13 aprile 2022

Eventi. 57 «Io sono russo. Dunque, sono un mostro».

 

Ha scritto Michele Serra in «In lode della funzione “off”» pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 2 di aprile 2022: (…). La gravità della guerra non basta a dissuadere la chat universale di tutti su tutto, specie se la partecipazione al dibattito concede a ciascuno il suo quarto d'ora (al giorno) di visibilità, che è il surrogato scadente della celebrità della quale parlava, esagerando assai, Andy Warhol. Quando saremo in prossimità della fine del mondo, un colorito coro di voci e di facce sorridenti o piangenti, in una pioggia di emoticon, vorrà dire la sua su questo tema: la scomparsa dell'umanità. Per chi vorrà trascorrere i suoi ultimi istanti con i suoi (pochi) cari, e in silenzio, rammento la funzione "off", la sola che rassomigli alla voce di Dio, che come è noto non ha mai aperto un account su Instagram. Di seguito, “Io, giornalista russo di fronte al tribunale della Storia” di Valerij Panjuskin, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 5 di aprile 2022: Come si sente un mostro? Ora lo so. Io mi sento un mostro, e non perché la gente mi scansi appena mi sente parlare. Sono io che faccio un balzo indietro, quando la mattina mi avvicino allo specchio con il rasoio in mano. È un sillogismo elementare. I russi hanno iniziato una guerra che solo dei mostri possono scatenare. Io sono russo. Dunque, sono un mostro. Alcuni anni fa ho tenuto una lezione di scrittura creativa all'Università di Kiev. Parlavo agli studenti di "arco di trasformazione del personaggio", "opposizione quadrangolare", "compattezza del testo" e altre astuzie che servono a raccontare storie interessanti. Ma quando venne il momento delle domande, si alzò una ragazza e chiese se non ritenevo necessario scusarmi subito, lì in quell'aula, a nome di tutti i russi e mio personale, perché la Russia aveva aiutato a falsificare le elezioni in Ucraina e aveva sostenuto l'usurpatore Janukovy?, quando aveva dato ordine di sparare sulla folla che manifestava in Majdan Nezaležnosti. In quel momento non mi sentivo per nulla in colpa. Invitai gli studenti a cercare il mio nome su Google e a leggere quel che diceva di me Wikipedia. Da Majdan avevo scritto reportage che i manifestanti stessi avevano letto ad alta voce nella piazza, per mostrare che non tutti i giornalisti russi mentivano. Ho scritto undici libri, di cui due sull'opposizione russa. Il mio libro Gazprom: la nuova arma russa avverte esplicitamente di quanto sia pericolosa per il mondo libero la dipendenza energetica dalla Russia. Sono stato arrestato a Mosca a un comizio dell'opposizione. Sono inserito nelle liste dei "nemici della Russia" in tutti i cosiddetti siti "patriottici". I miei amici sono in carcere o in esilio... Allora nell'aula dell'università di Kiev ero certo di non essere complice dell'ingerenza russa negli affari dell'Ucraina: al contrario, avevo manifestato la mia opposizione. Ma adesso no. Dal 24 febbraio, dal momento dell'invasione militare dell'Ucraina, ho fatto in tempo a scrivere uno degli ultimi articoli contro la guerra, prima che subentrasse la censura totale. Quando già vigeva la censura, ho scritto e pubblicato la canzone pacifista Il sole nero. E nondimeno mi sento colpevole. Il russo colto ha già inscritto nel genoma il concetto di guerra che propone Lev Tolstoj in Guerra e pace. All'inizio del terzo libro di Guerra e pace Tolstoj scrive che una sciagura immane come la guerra non può prodursi per volontà di un solo uomo, che sia uno zar, un condottiero o un presidente. Perché la guerra abbia inizio, non solo il sovrano deve dare l'ordine, ma i generali devono ubbidire, e i soldati non devono fuggire sparpagliandosi nelle case, e i diplomatici devono essere disposti a scrivere le relative note, e i giornalisti devono esaltare la guerra, e perfino i semplici cittadini devono sostenere la guerra, se non altro permettendo ai loro figli di andarci. Perché ci sia una guerra, - scrive Tolstoj, - è necessario il concorso di migliaia di volontà umane, migliaia di circostanze, milioni di azioni umane. Se è così, allora nella guerra che la Russia ha iniziato il 24 febbraio 2022 c'è anche la mia piccola volontà, che vi ha concorso insieme alle altre. Dove ho sbagliato? Tre anni fa sono andato in vacanza in Ingria, invece di pubblicare per la millesima volta un articolo ispirato a sentimenti umanitari? Ho scritto testi sui bisogni dei bambini nelle cliniche oncologiche pubbliche invece di gridare contro la sproporzione fra le spese militari russe e quelle per la sanità? Ho pagato le tasse servite a fabbricare le armi che oggi uccidono i civili a Mariupol', Charkiv e Kiev? Ho portato a spasso i miei figli invece di partecipare una volta di più a una manifestazione di protesta nel centro di Mosca? Dove ho sbagliato? Non lo so. Ma la lettura di Tolstoj suggerisce che la guerra scatenata dalla Russia è anche colpa mia. D'altra parte, se di questa guerra sono ritenuti colpevoli tutti, tutto il popolo russo, il risultato è che, concretamente, non è colpevole nessuno. Se un giorno tutti i 140 milioni di abitanti s'inginocchieranno pentiti, risulterà che sono ugualmente colpevoli il comandante in capo e il ministro della guerra, i propagandisti televisivi e il tornitore, il fornaio e la maestra d'asilo... E il premio Nobel per la pace Dmitrij Muratov (il cui giornale Novaja Gazeta è stato chiuso, ndr). E Natal'ja Sindeeva, il cui canale televisivo è stato chiuso. E Aleksej Venediktov, caporedattore dell'emittente radiofonica "Echo Moskvy", che è stata chiusa dopo trent'anni di attività. I giornalisti, gli artisti, gli scienziati, i musicisti, i professori costretti a fuggire dalla Russia. E il leader dell'opposizione Aleksej Naval'nyj, il quale peraltro al momento dell'inizio della guerra era in carcere, cuciva guanti da lavoro e aspettava un colloquio con la moglie Julija, che non vedeva da sei mesi. Tutte queste persone, dunque, sono colpevoli, e il presidente, il ministro della difesa, i deputati della Duma di Stato e i propagandisti televisivi sono colpevoli insieme a loro - magari al pari di loro? Io capisco che al culmine della catastrofe umanitaria, schiacciato dall'ondata di profughi, il mondo non sia molto propenso a discernere chi ha scritto in Russia e che cosa. Ma vorrei tanto che il mondo discernesse. Ne ho bisogno personalmente, perché io stesso, in cuor mio, sento la colpa. Un tribunale militare britannico dopo la Seconda guerra mondiale condannò il feldmaresciallo hitleriano Erich von Manstein a 18 anni di carcere. Fu liberato dopo quattro anni e in seguito il cancelliere tedesco Konrad Adenauer lo invitò a prestare servizio nella Bundeswehr in qualità di esperto militare. La colpa era stata espiata. La mia colpa, credo, è di gran lunga minore di quella di Manstein, ma non esiste un meccanismo socialmente riconosciuto per espiarla. È una sensazione infantile: spiegatemi di che cosa esattamente sono colpevole e come posso espiare la mia colpa. Insomma, voglio comparire davanti a una corte internazionale, poiché la determinazione della colpa e della pena mi permetterebbe infine di liberarmi dai sentimenti che ogni istante mi rodono dentro, di dolore per i morti e i profughi, di vergogna nei loro confronti. Purtroppo, oggi in Russia ho molte più probabilità di comparire davanti a un tribunale come "traditore nazionale", proprio per questi miei sentimenti e pensieri.

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